domenica 30 agosto 2009

Anno Domini 2553

Sopravviviamo al viaggio in bus; partenza ore 20.30, ma con ca. mezz'ora di ritardo, siamo contenti perche' cosi', anziche' arrivare alle 4.30, dovremmo arrivare alle piu' umane 5; invece, nonostante le molte fermate, la strada di montagna e una lunga pausa nel mezzo del viaggio in uno spiazzo con sole bancarelle di cibo... giungiamo a destinazione alle 3.50 am!!! Completamente tramortiti dal sonno, cerchiamo i bagagli tra la selva di quelli degli altri passeggeri, quasi tutti diretti a Sungai Petani, e tiriamo giu' le bici semi smontate sotto lo sguardo del guidatore che non ci aiuta minimamente. Il bus riparte. Restiamo solo noi, due auto che aspettano qualcuno, un tassista deluso che se ne va poco dopo, un paio di cani. Ci sono grosse pozze, speriamo che non inizi a piovere e montiamo le bici, per fortuna c'e' un lampione dove il bus fa la fermata. Non sappiamo bene cosa fare. Arriva un local e ci dice a gesti che se vogliamo mangiare c'e' un posto. Ci sembra un po' prestino. Ci mettiamo al primo piano di una sorta di centro commerciale, tutto chiuso ad eccezione di un rivenditore di mobili (?!) e motorini (?!), dove il custode dorme su uno dei suoi pezzi esposti. Ci diamo una lavata (c'e' un bagno aperto!!! questa e' vera civilta'!), ci travestiamo da ciclisti, ma poi decidiamo di dar fondo alle nostre piccole scorte di cibo, nonostante l'ora. Ale fa poi un giro di ricognizione e vede una luce che sembra provenire da un locale vicino. Armi e bagagli, scendiamo e procediamo verso il presunto locale: e' un ristorante cinese! enorme! aperto! con i panini cinesi appena tolti dal vapore! e il te' !!! Ci sono gia' alcuni avventori (sono ca. le 5 am) che leggono il giornale e bevono te'. Ordiniamo due caffe' e due panini dolci, ma dobbiamo aspettare perche' sono troppo caldi e non li servono cosi'. Piove. Poi arriva uno dei gestori e ci chiede del nostro viaggio, dandoci anche una cartina della citta' subito al di la' del confine. Altri due panini e caffe' e, alle prime luci dell'alba, partiamo: la Thailandia ci aspetta.

Ramadan e dintorni
Prima di prendere il bus, facciamo un giro al famoso mercato del venerdi' sera di K. Terengganu. Vale la pena venire in questa citta' anche solo per visitarlo e gustare le sue prelibatezze gastronomiche e la festa di persone che lo anima. Troviamo alcune specialita' mai fino ad ora assaggiate e dolci mai visti. Ale segnala spiedini di giganteschi gamberi.
La sera dopo, ad Alor Setar, tornati sulla costa ovest, ci troviamo nel mezzo di uno straordinario banchetto di strada, probabilmente allestito per il primo week-end di Ramadan, anzi il primo giorno. Gia' dal pomeriggio presto, i primi piatti vengono esposti e noi non resistiamo. Torniamo la sera, intorno alle 19, ora del tramonto, quando sta per terminare il digiuno ed e' un'atmosfera da vera sagra paesana, con famiglie intere che acquistano sacchetti e sacchetti di cibarie e si predispongono intorno ai tavoli, aspettando pazientemente che arrivi la chiamata del muezzin. All'ora fatidica, iniziano tranquillamente a mangiare, mentre noi, un po' per liberare il tavolo, un po' per fame, non abbiamo resistito e ci godiamo solo lo spettacolo di un rito davvero sentito e collettivo.

Confini
La mattina piove; consumiamo la colazione e attendiamo; Ale sostiene che "in un paio d'ore tutto si risolve": giochiamo a dadi per due ore e ancora piove. Alle 10.30, alla speranza si sostituisce la determinazione: partiamo.
Al diluvio si alterna la pioggia, non c'e' mai traccia di cielo all'orizzonte. Temiamo che non smettera' che a dicembre, termine del monsone. In piu', la strada e' la superstrada che collega Malesia e Thailandia e passano anche tanti mezzi pesanti che sollevano onde fantozziane su di noi. Anche i canali lungo la strada tracimano. Arriviamo, gia' zuppi, in frontiera. La doganiera malese e' malesemente gentile e rapida, mentre quella thai non parla inglese e ci manda a compilare dei foglietti, nonostante abbiamo gia' il visto. Glieli restituiamo, anche loro, zuppi.
Al di la' della barriera, la Thailandia: acqua fitta, casino, donne dalla dubbia professione che guardano da sotto i porticati, grossi pick-up dai vetri oscurati.
Proseguiamo fino alla citta' di Sadao dove abbiamo il primo impatto con i caratteri thai a noi incomprensibili e l'ignoranza dell'inglese anche nell'unico hotel che troviamo.
Capiamo che e' un hotel solo perche' ha i caratteri arabi "24" ad indicare che e' sempre aperto (mentre mr. Tuffy gia' cerca di decrittare la scrittura, nonostante sia fradicio fino alle ossa).
Scopriamo di dover spostare le lancette dell'orologio un'ora indietro e passare dall'anno (islamico) 1430 a quello (buddista) 2553! e tutto in soli 65 km!

Primi passi
Per chiedere la carta igienica, Gaia deve scendere alla reception con la carta igienica; in seguito dovra' fare il verso del maiale per evitare di vederselo mettere nel piatto: la questione linguistica si rivela, dopo mesi, per la prima volta, dura. Anche perche', chi sa che verso fa una seppia? La nostra guida riporta una frase che dovrebbe significare: "Sono vegetariana", ma la prima volta che, facendosi coraggio (la pronuncia della lingua thai non ci e' chiara ancora adesso), Gaia la utilizza, la ristoratrice le fa eco: "Sei di Taiwan?". Passiamo percio' ad indicare cio' che vogliamo mangiare, quando si puo', ovviamente.
Un giorno Gaia indica il pollo e dice: "No!", scuotendo il dito indice con veemeza, ma si trova nel piatto del manzo. Da subito, per fortuna, ci sollevano il morale i dolci thai e un caffe' ottimo bevuto in un baraccio "per soli uomini" dove la sera si raduna una piccola folla per vedere un partita di calcio (o forse un incontro di thai boxe...).
Caffe' e te', pero', sono da subito cosa difficile da reperire sia dove si mangia, sia in generale. Quando ci sono, sono in genere pieni di ghiaccio!
Il cibo riserva, pero', alle volte, delle sorprese: e' il caso delle mitiche "mele cannella": un caso di false friend. Al mercato, vediamo delle palle color pera Kaiser e Ale esclama con sicumera: "Mele cannella!" e Gaia annuisce convinta, pagandone subito una. Da il primo morso e scoppia a ridere: trattasi di spugnone di una strana pasta (tipo pan di spagna) con al centro...un wurstel!!! mai fidarsi delle apparenze.
Questo Paese e', invece, anora meglio della Malesia in fatto di stall di cibo di strada, davvero si puo' acquistare di tutto a prezzi ancor piu' bassi e la qualita' e' ottima.
Per molti km dopo la frontiera, il paesaggio e' quello di una classica zona di terziario, con molti capannoni e ditte varie, ma anche piantagioni di gomma (una di proprieta' nientepopodimenoche della Bridgestone!). Non vediamo nulla che ci faccia pensare che siamo in Oriente, a parte qualche tempio buddista. L'asfalto continua ad essere ottimo, la pioggia abbondante. Siamo sulla costa ovest, quella piu' battuta dal monsone, gia' evidentemente arrivato.

Procedendo a zig zag
Da Sadao, ci spostiamo a Songkhla, riguadagnando la costa est e il suo mare che qui si chiama Golfo di Thailandia. Il panorama subisce una variazione evidente, soprattutto rispetto alle conurbazioni, piu' dense e caotiche quelle thai; il paesaggio si arricchisce di acqua, con laghi e fiumi ricoperti di fiori di loto, ninfee, giacinti d'acqua. Le case, finalmente, hanno differenti fogge e materiali, dal legno al cemento, dalle rialzate su pali in stile malese (e del Queensland!), alle villette all'europea, alla catapecchia ma non troppo. Tutte pero' o quasi, hanno dei meravigliosi tetti di plastica colorata e finalmente abbandonano la copertura di lamiera che caratterizza anche le case piu' belle in molte parti del mondo meno sviluppato: la plastica serve a qualcosa! I colori sono bellissimi e vari e fanno molto casa e per nulla baracca.
I bisogni fisiologici piu' che quelli spirituali ci spingono a visitare il nostro primo wat, il tempio thai buddista. Le aree di servizio qui scarseggiano e ci viene indicato il tempio come luogo ideale per trovare bagni a disposizione.
Non dedichiamo alla citta' di Songkhla il tempo che meriterebbe perche' siamo alla ricerca di un nuovo copertone per la bici di Gaia. Un ragazzo in moto ci aiuta a trovare un ciclista; prima di congedarci ci fa la classica domanda: "Where are you going?" e noi, con le bici scariche e una papaia da due chili sul portapacchi rispondiamo: "A nord, a Bangkok": lui resta perplesso, ma non ribatte.

Come riconoscere un meccanico da un impostore
Il titolare di un negozio di bici ne sa qualcosa se, alla vostra richiesta di un copertone, controlla di quale avete bisogno leggendo sulla vostra ruota la dimensione (visto che la lingua non aiuta); l'impostore, si avvicina e, con sguardo un po' ebete, si accuccia e inizia a battere la vostra ruota, in genere, posteriore, con indice e pollice, come a volerla far suonare. Poi si alza e scuote la testa, commentando in thai rivolto agli altri astanti (in genere almeno tre), senza piu' rivolgervi ne' la parola, ne' lo sguardo.
Scopriamo comunque che in Thailandia reperire una gomma della nostra dimensione e' impresa ardua; troveremo qualcosa (un copertone da bici da corsa) solo da James cycles: il titolare, un cino-thai alto alto che, pur non parlando inglese, comunica benissimo con noi e ci fa vedere anche le sue foto da giovane quando vinceva le gare ciclistiche, prima su strada, poi con mountain bike.

Zigzagando (continua)
In uscita dalla citta' di Songkhla, percorriamo i due ponti in cemento piu' lunghi della Thailandia che collegano Ko Yo con la terra ferma. La strada 408 ha da una parte il mare del Golfo e dall'altra un lago di acqua salmastra che forma una laguna che si snoda per una ottantina di km alla nostra sinistra. Non vediamo pero', ne' l'uno, ne' l'altra a causa della fitta vegetazione. Dormiamo a Ranot dove finalmente possiamo andare alla scoperta del lago seguendo il corso del fiume che attraversa la cittadina. Qui il paesaggio e' proprio quello dell'oriente profondo, acqua, verde, mucche, risaie, tetti a pagoda.
E' qui che scopriamo le infinite possibilita' offerte dai mercati al coperto: e' questo il luogo dove vengono prodotte quasi tutte le delizie che si trovano poi in vendita nelle bancarelle. Ma qui si possono mangiare, direttamente dal produttore, anche i piatti piu' particolari che in giro non trovi: frittelline di jackfruit, banana, manioca, riso, verdure per tacer dei crostacei; curry, "gialli", "rossi" e "verdi" a base di ogni tipo di carne/pesce; dolci tradizionali; zucca in padella (anche qui), in pastella e dolce. La sera si mangiano anche piatti piu' classici come i noodles (spaghetti locali), di ogni foggia e materiale di base.
Siccome ficchiamo il naso culinario ovunque e vediamo un mastello di legno da cui estraggono bean curd (a noi pare)... ecco, siccome siamo cosi', prendiamo una porzione di questa cosa che e' proprio budino di soia in brodo (dolce) caldo allo zenzero: una delizia! Quando, cosi' per provare, abbiamo chiesto al gestore del baracchino se la cosa nel mastello fosse dolce o salata, lui ci ha risposto dicendoci il nome della cosa che noi, non masticando nulla di thai, non abbiamo capito: la nostra gola ci diceva di prenderla e aveva ragione!

Supereroi
Raggiungiamo la citta' di Nakhon Si Thammarat, dove sfondiamo la soglia dei mitici 10.000 km pedalati. Citta storica del sud della Thailandia, e' zeppa di templi. E' in uno di questi che, sulla porta dei bagni, troviamo affissi due cartelli: "Toiletman" e "Toiletwoman". Ci chiediamo che tipo di compiti sara' chiamato ad affrontare un supereroe di questo genere...

Zigzagando, in cerca di "er puparo"
La citta' e' una pulsante, piccola capitale del sud che, seppure abbia perso parte della sua importanza storica, conserva molte vestigia del passato, mentre il fascino e' dato dalla vitalita', ancora una volta, dei venditori di strada e delle persone che ne usufruiscono, giorno e notte. Oltre a mura e templi, molto belli e di rilevanza nazionale, l'orgoglio della citta' e' rappresentato anche dal suo Teatro delle ombre e, in particolare, dal maestro Suchart con il suo atelier dove, oltre ad insegnare l'arte della fabbricazione delle figure (fatte su pelle di mucca), ancora tiene rappresentazioni in occasioni speciali e impiega la sua notorieta' per sensibilizzare su tematiche come AIDS e malaria. Anche il re ha assitito ad una rappresentazione, spingendo l'artista ad aprire un museo che ora si puo' visitare gratuitamente. Qui si possono ammirare anche personaggi vecchi di oltre duecento anni, provenienti da India, Cina e persino Turchia.
Per strada, fuori e dentro le citta', anche qui, in molti ci salutano, ma soprattutto ci fanno dei sorrisi incredibili.
Tutto e' molto pulito e' c'e' un servizio di nettezza urbana pubblico che sembra molto efficiente.
Da Nakhon Si T. decidiamo di virare nuovamente verso ovest, potremmo arrivare a Bangkok in una settimana circa, ma come immaginate non seguiamo la "retta via" e ritorniamo sulla costa delle Andamane. Tagliamo la catena montuosa piu' alta del sud (nulla di che, pero') e facciamo una piccola deviazione al parco di Khao Luang per vedere le cascate di Namtok Karom (cascate su 19 livelli di cui solo 7 visitabili); lungo il sentiero sentiamo gli insetti che si richiamano con un suono simile ad una trombetta. L'eco non e' quello del Taman Negara, ma e' suggestivo lo stesso. .
Raggiungiamo cosi' Thung Yai, paese che ci serve solo come tappa di trasferimento, ma interessante poiche' si sviluppa anarchicamente lungo i tre crocevia che lo compongono.
A differenza della Malesia, dove i venditori di strada sono ormai quasi tutti motorizzati, qui vediamo venditori di strane scopette in bici (che cercano di venderle proprio quando le casalinghe sono fuori per accompagnare i figli a scuola...) e diamo la palma d'oro alla categoria venditori di scale. Costoro tirano la carretta nel vero senso della parola, girando con numerose scale anche molto alte che speriamo almeno siano di alluminio. La menzione speciale riguarda la fatica e la difficolta' del business (quante scale si possono mai vendere al giorno??).
Anche qui, come da noi agli ingressi delle autostrade, sono in vendita degli orribili animali (da giardino?), in gesso o forse terracotta, formato gigante o altezza ridotta. La prima categoria comprende, tra gli altri, un gallo, alto come uno struzzo, la seconda giraffe, elefanti e canguri mignon.
Arriviamo a Krabi non prima di esserci mangiati due gargantueschi pomelo su di un tavolaccio messoci a disposizione dai venditori che, impietositi dalle dimensioni del nostro coltellino da viaggio, ci prestano anche una mannaia, mostrandoci il modo perfetto per aprire, sbucciare e mangiare il fruttone.
A pochi km dall'ingresso in citta', per segnalare il nostro ritorno ad ovest, un acquazzone ci blocca proprio di fronte ad un ristorante: come non approfittarne? Il commento della cameriera al nostro girare in bici il Paese e': "Adventure!", lo stesso commento gia' utilizzato da altri due malesi: non siamo piu' fit, come per gli australiani, bensi' avventurosi...
Qui ci godiamo un po' di riposo visitando la famosa spiaggia di Railay, prima di prendere il battello alla volta di Ko Phi Phi. Vediamo se il monsone ci dara' tregua!

venerdì 21 agosto 2009

Mar cinese meridionale

Siamo a Kuala Terengganu in attesa, come molti anche noi, di un bus notturno che ci riporti sulla costa ovest della Malesia da dove passeremo il confine, pedalando, per entrare in Thailandia. Qui ad est, nelle provincie meridionali thai, c'e' troppo pericolo dovuto a velleita' secessioniste di matrice islamista, sembra che abbiano rotto la tregua che proteggeva i turisti e che sparino anche a bambini e monaci buddisti... Mr Tuffy ovviamente voleva passare lo stesso, ma Gaia si e' opposta fieramente. Tra l'altro, domani inizia il Ramadan che purtroppo spesso marca l'inizio di ondate di violenza.

Limau kasturi
Questo il nome della nostra bevanda preferita (ma l'abbiamo forse gia' detto?) qui in Malesia, ma che vorremmo poter bere anche certe sere d'estate milanese quando la sete e' inarginabile. Trattasi di limonata a base pero' di lime con, a dare il tocco aspro (sour), una prugna particolare (forse cinese!), la sour plum, appunto; si puo' avere sia calda che fredda, noi propendiamo per la prima versione.
Come in Indonesia, anche qui ci sono succhi di frutti tropicali i piu' disparati anche miscelati tra loro, dai colori sorprendenti e culturalmente difficili da accettare...ad es. esistono due versioni di succo del frutto del drago, uno bianco, uno viola paramento quaresimale!
A proposito di succhi, nell'ottimo ristorante (cinese!) di ieri sera, entra un tipo assurdo, macchina fotografica che penzola sull'addome, barba sfatta, calzini in stile Fantozzi. Entra ed esce parecchie volte, con quell'aria un po' cosi', da matto... dopo aver finalmente ordinato, guarda il cartelone dei succhi e, girandosi verso di noi esclama: "Hanno dei nomi molto interessanti, questi succhi!" e si mette a fotografarli uno per uno (dalla A alla T!), quindi aggiunge: "Da dove venite?", percio' osiamo la stessa domanda e lui: "Japan": nemmeno lo stereotipo piu' estremo poteva disegnare meglio un giapponese piu' giapponese di questo che, forse reduce da 5 continenti in 5 giorni, risulta piu' bollito dell'uovo nelle nostre zuppe.

Essendo prossimo il Ramadan, sui banchi dei supermercati e mercati, hanno iniziato a comparire pile e pile di datteri di provenienza per lo piu' tunisina; decidiamo che sono ottimi anche per le nostre tappe piu' toste, ma acquistiamo quelli iraniani, alla faccia di Bush padre e figlio: pedaliamo in una delle regioni piu' temute dagli USA per la forte componente islamica, mangiando datteri del nemico numero uno dopo i Talebani!
Ah, se nel vostro piatto credete di vedere degli occhi, beh sono degli occhi! Gaia a volte fatica a trovare piatti di sola verdura; un giorno, dopo aver chiesto se la portata fosse di sola sayur, si e' ritrovata ad essere guardata da molti occhietti: erano pescetti che definiremmo piuttosto placton per le dimensioni, tutt'occhi, povere bestioline. A Gaia e' parso che ci fosse del pesce nel suo piatto, ma Ale ha negato recisamente; al che lei ha iniziato ad estrarli uno ad uno, Ale li ha guardati e loro hanno guardato Ale!

Ionesco in bicicletta
Lasciamo Gua Musang per Kuala Krai, dove stiamo in un hotel per il quale Gaia conia una nuova categoria: topaia autocosciente onesta. E' infatti un alberghetto con bagno in comune (ma acqua calda!!!), dove risiedono per lo piu' lavoratori locali, con ampi spazi comuni dove non e' un problema lavarsi i vestiti o mangiare durian. Le stanze sono basic, ma ariose e comode. Perfino i muri fanno meno schifo del solito. E il prezzo e' "onesto".
Da qui, proseguiamo alla volta di Kuala Besut, da dove, come 7 anni fa, intendiamo prendere la barca per raggiungere una delle isole Perhentian (luogo meraviglioso, dove pero' Gaia aveva avuto l'otite e 40 di febbre...).
Capita spesso che, mentre si pedala, si cerchi di comunicare anche ad una certa distanza e con le auto che passano, usando segni che Ale ritiene "convenzionali". Siccome il piu' delle volte Ale indica uccelli meravigliosi (che Gaia non vede mai) o scorci panoramici quando ormai sono passati da km, Gaia tenta sempre di interpretare la gestualita' scarna e improvvisa del compagno. Ancora immersi nella jungla, Ale fa uno scarto repentino verso il centro della strada, frenando, e inizia a sbracciarsi (con un braccio solo) forsennatamente (mentre pedala), muovendo l'arto da sinistra a destra con la mano aperta e bofonchiando qualcosa di incomprensibile; Gaia, dietro di qualche centinaio di metri, controsole, guarda prima i fili della luce (spesso ricettacolo di inverosimili martin pescatore), poi il cielo (un'aquila, forse?), poi alla sua sinistra (chissa', magari una lizard gigante...), raggiungendo nel frattempo Ale; che a questo punto la investe di improperi perche' quello che ha cercato di indicare era un serpente arrotolato a bordo strada che la nostra Mrs. Magoo ha evidentemente sfiorato senza vedere. Il nostro rettile si e' limitato, dal canto suo, ad alzare un po' la testa, forse nel tentativo, anche lui, di comprendere le movenze disarticolate di Ale.

O, ancora, il nostro fa segno a Gaia, con il pollice destro, verso un punto imprecisato alle sue spalle: Gaia guarda, ma non vede, come al solito, nulla. Ale si ferma, poco dopo, ripetendo il gesto: si scopre che intende chiedere a Gaia se vuole fermarsi a bere!! Non ha evidentemente fatto scuola di mimo!
Viceversa, Gaia tiene lunghe conversazioni con se stessa, dal momento che Ale dice di non sentire mai nulla di cio' che di importantissimo Gaia ha da riferirgli.

A-a-bbronzatissimi
Adesso i nostri due quarantunenni lombardi, lasciate alle spalle le montagne, hanno un fisico che puo' definirsi "tonico", ma il cui colore si presenta cosi'. Mani: a parte le prime falangi, sono bianche, fino al polso; braccia: nere (per quanto puo' essere "nero" l'arto di un lombardo "bianco") fino ai bicipiti. Da qui in su (faccia a parte) e in giu': ancora bianco. Con un distinguo: mentre Ale e' bianco fino a mezza coscia, Gaia e' ora bicolore dal momento che, essendo passati nella zona hard muslim, indossa i piu' casti pantaloncini muslim friendly che arrivano fino a sotto le ginocchia; da qui in giu' c'e' di nuovo un colore che puo' definirsi (senza tema di smentite) "cuoio". Beh, fino ai piedi, che sono quasi del tutto bianchi.

Bambini, rondini e ghiaccio
Nonostante a K. Krai non ci sia nulla da fare, i nostri arrivano troppo presto per non fare davvero nulla (dopo le tappe di montagna, collina e pianura ce le mangiamo!), quindi fanno il classico giro della citta' (noi italiani cerchiamo sempre la piazzetta...). Scorgiamo, di lontano, un tempietto cinese, che qui nel nord est e' cosa piu' rara, e puntiamo decisamente in tale direzione. Mentre ci avviciniamo al cancello, decidendo di non entrare a visitarlo, un signore cino-malese, seduto li' forse da tempo immemorabile, ci invita ad entrare e a sedere con lui, offrendoci subito del te che, tiene a dirlo, e' cinese. Impossibile rifiutarlo; viene continuamente riversato in piccolissime tazzine (che sembrano piu' quelle da sake') non appena ne svuotiamo una. In questa zona franca, ci intrattiene, parlando nel suo cino-inglese, di come va l'economia malese, dell'istruzione e chiedendoci della comunita' cinese in Italia (che siamo imbarazzati anche solo a ricordare visto come viene trattata, soprattutto a Milano). Ci invita anche al festival vegetariano interetnico che si terra' il 22 ottobre. Non potremo esserci. Lo congediamo, facendo i conti sulla sua eta', visto che dice di aver lavorato in passato (?), per una British estate, per 70 anni: ma quanti anni ha?
A K. Krai, come in moltissime altre citta' e' pieno di rondini che occupano interi edifici in disuso e che al tramonto dominano i cieli con il loro garrire strano (chioccano, non sappiamo come altro definire il loro suono diverso da quello delle nostre) e il loro volo.

I cinesi ne raccolgono i nidi per la loro famosa prelibatezza culinaria (i nidi di rondine appunto) che qui abbiamo visto inscatolati da export in un supermercato.
Qui in Malesia e' bello vedere le enormi scuole, come ce ne erano anche da noi negli anni trenta, che accolgono migliaia di studenti, dalla mattina fino alle 2 del pomeriggio: l'educazione e' stata la forza di questa nazione, insieme al petrolio, ovviamente, che pero' da solo non costruisce nulla. Quanta differenza con Sumatra, dove abbiamo visto bambini-lavoratori in stile indiano e dove non si capiva mai che orari facessero le poche scuole che abbiamo incontrato e gli studenti erano fuori a tutte le ore...pensiamo anche ad alcune nostre zone dove i bambini frequentano un altro
genere di scuola che non li portera' certo all'universita'...

La professione del futuro, ancora oggi, qui nella Malesia delle Petronas towers? Il venditore di ghiaccio, of course! Camion e camioncini che portano ghiaccio, in blocchi o gia' a cubetti, solcano le strade della Federazione. Qui, come in Italia ancora negli anni '50, prima dell'arrivo del frigidaire, il ghiaccio tutti se lo procurano... comprandolo. I cubetti piu' belli sono a forma di maccheroncino, col buco in mezzo!

Uova di tartaruga
K. Besut e' diventata, in 7 anni, una vibrante cittadina votata al turismo: tutto ruota intorno al trasporto e alla prenotazione (per quelli piu' in) dei soggiorni sulle isole, ma la cosa ha permesso uno sviluppo ancora sostenibile, migliorandola di molto. Purtroppo, pero', il boom turistico ha fatto perdere parte del romanticismo che caratterizzava la traversata e la permanenza in questo vero paradiso tropicale. Ora degli scafisti fanno la spola a tutta velocita' (tranciando anche grossi barracuda, lo abbiamo visto coi nostri occhi, ne mancava la meta'), tra la costa e le varie baie delle due isole. Mentre prima si passava da una scafo all'altro, ora per sbarcare hanno costruito quasi ovunque dei jeti (che non sono gli abominevoli uomini delle nevi, ma la parola malese per jetty, molo).

Nonostante l'aumentato traffico umano e meccanico, il mare e' ancora meraviglioso, ritroviamo i pesci multicolore e multiforma, le conchiglie, il corallo a pochi passi dalla spiaggia. Ma soprattutto, rivediamo e nuotiamo con le tartarughe! ce ne sono tantissime che "brucano" nei fondali di Besar, l'isola maggiore e sono anche molto grandi. La zona e' parco marino protetto, speriamo che duri... Passiamo tre giorni splendidi di snorkeling e camminata su Kecil, lungo i bei sentieri che, attraversando la jungla, collegano le varie baie, alcune delle quali deserte perche' i turisti tendono a stare solo nelle due baie principali o davanti al proprio hotel. Vediamo anche due aquile di mare, gli squaletti dei fondali con i quali Mr. Tuffy ovviamente nuota raggiante come un bambino e un calamaro di 30/40 centimentri che ci guarda, sperando che Ale non abbia troppo appetito!
Purtroppo, nel mercato a K. Terengganu, vediamo in vendita centinaia di uova di tartaruga, nonostante sia illegale.

Tom e Jerry
La permanenza nella baia che scegliamo (D'Lagoon) e' caratterizzata dalla presenza di un gatto lunatico che scompare di giorno per comparire la sera, quando tutti hanno finito di mangiare... miagolando nevroticamente; quando cerchi di accarezzarlo se ne va, sempre miagolando. Un topolino agita, invece, la notte dei turisti che lo cacciano urlando dalla propria stanza, mentre noi lo accogliamo nella sua tana ai piedi del nostro letto, dopo averlo fatto uscire dal nostro sacchetto del pane la notte precedente.
Nella nostra stanza, poi, compare un grosso geko a pois azzurri, forse influenzato dai colori inverosimili della barriera corallina.
Ci sono poi alcune grosse lizard, genere varano, che si aggirano per l'isola e fanno anche il bagno nella spiaggia davanti a noi.

Gaia compie quella che definisce "azione di resistenza civile", scrivendo sulla lavagnetta del ristorante: "Liberate la scimmia!" (si riferisce ad un povero primate che viene tenuto legato con una corda al collo proprio li' davanti). Il pomeriggio, non sappiamo se per effetto della scritta, alla scimmia viene concessa un'ora d'aria, anche se sempre al guinzaglio...
Insomma, e' una riedizione sui generis dell'arca!

Stati attraversati in Malesia e amenita' varie
Tornati a K. Besut, inforchiamo le bici e raggiungiamo in una volata K. Terengganu, ultima tappa ad est del nostro ritorno malese. Seguiamo la strada lungo la costa, dove in questi sette anni alcuni paesini sono sorti attorno a baie e spiaggie bellissime, mentre altri si sono trasformati in belle stazioni di villeggiatura per malesi. Incappiamo anche in un hotel che ha come insegna una bici con bagagli al seguito, segno che molti ciclisti passano di qui: com'e, come non e', quando incontriamo cicloturisti lungo la costa, ci dicono di preferire la montagna, ma poi in montagna non ne vediamo nessuno. E questa volta nemmeno in pianura (mentre la scorsa volta eravamo tanti)... e comunque, non dormiamo li', bensi' all'hotel Sinaran di K. Terengganu che ci piace per la pulizia, per l'accoglienza della sua proprietaria (cinese) e perche' non ci sono turisti occidentali (tutti nell'hotel a fianco segnalato dall'EDT o in quelli di "lusso").

L'arrivo in citta' e' segnato dall'attraversamento dell'imponente Sungai Terengganu, il fiume che da il nome allo stato e alla citta', su un ponte lunghissimo, a 4 corsie e con la pista ciclabile! Vediamo anche, sulla destra, protesa sul fiume, la moschea da fiaba chiamata di cristallo, tutta in acciaio e vetro. K.T. e' una citta' piacevole che ha il suo punto di forza in una Chinatown architettonicamente splendida, ben ristrutturata e all'altezza di quella di Penang. Ci sono tanti negozietti in cui curiosare, ma soprattutto un ristorante (T. Homemade Cafe') dove ceniamo e pranziamo con specialita' cucinate e servite in claypot (padelle di terracotta) a base di noodles o di riso; dei succhi abbiamo gia' riferito. Niente di cio' che mangiamo nei ristoranti cinesi qui e' neppure vagamente simile a quello che si trova in quelli in Italia e non ci riferiamo alla qualita', ma proprio alla tipologia del cibo. La citta' offre anche altri punti dedicati al cibo di strada.
Il mercato centrale e' uno spettacolo: diviso nei vari settori, vi si trova ogni cosa, soprattutto oggi che e' la vigilia del mese sacro, ogni genere di cibo, dolce e salato, fritto o alla brace, di verdura, di frutta, di pesce secco (il famoso keropok). Mentre sotto si affetta e sventra (reparto carne e pesce), sopra si vendono batik e ogni genere di stoffa, ma anche i famosi pugnali kriss e altre spadine tipicamente malesi. Anche lo zucchero di palma, venduto in grossi e pesantissimi dischi di ca. 2 cm di spessore, e' presente assieme ai tamarindi e ai sacconi di riso.
Ci sono, ovviamente, anche loro, i gattoni malesi rispetto ai quali l'aggiornamento tassonomico circa la coda e' nelle secche. L'ultima questione, disorientante, riguarda il carattere, recessivo o meno, della codina mozza...

Abbiamo attraversato i seguenti stati malesi: Johor, Melaka, Perak, Pahang, Kelantan, Terenegganu. Ora, se usciamo vivi dal bus notturno (8 ore per fare + o - 400 km), dovremmo pedalare anche nel Kedah per entrare in Thailandia, dove nuovi punti di riferimento, odori, sapori, colori ci aspettano, insieme ad una nuova, sconosciuta lingua dai caratteri incomprensibili.
Siamo quasi ai mitici 10.000 km pedalati!! vi diremo esattamente dove li raggiungeremo!

Lucciole per lanterne
Un'immagine per chiudere dalla Malesia: la marea di lucciole gigantesche che, nella notte passata nel rifiugio del Taman Negara, ci fanno compagnia; le prime che vediamo sono cosi' grandi e luminose che le scambiamo per occhi di animali della notte tropicale!

mercoledì 12 agosto 2009

Nella jungla malese

Ehi, c'e' nessuno??? speriamo che la maggior parte di voi si stia godendo il meritato riposo!
Per quanto ci riguarda, scriviamo da Gua Musang, Malesia del nord, ridente cittadina che almeno ha due internet point!! con ventilatore!! Siamo di ritorno dal parco nazionale e da qualche giorno di completo isolamento e vero trekking in stile viet cong!

Abbandonato cugino It a Georgetown
Dopo l'Indonesia, Gaia ha deciso di liberarsi della folta e lunga di 20 anni capigliatura: quale miglior posto se non un parrucchiere, gestito da una bella signora cinese, di Penang? E' stato strano vederli per terra, ormai privi di vita, un mucchio davvero impressionante. Ora Gaia sfoggia un taglio piu' consono alla sua eta', ma non vede l'ora di vederli ricrescere (fanno compagnia, specie d'inverno!).
Approfittiamo di tutti i servizi che questa meravigliosa citta' offre per riposare, mangiare a quattro palmenti nei superlativi ristorantini dell'isola, farci rifare le sacche porta-bici da un artigiano della gomma locale (sempre cinese) e acquistare (Ale) un nuovo travestimento da ciclista. Anche il contachilometri (rottosi gia' in Australia) di Ale viene sostituito, cosi' come vengono riparate le vetuste scarpe da Superpippo, sempre di Ale (qui il suo numero e' di difficile reperimento...). Gaia si decide finalmente per l'acquisto di guantini da ciclista che con il clima tropicale estivo servono per non scivolare; anche lei ora avra' le mani bianche (e cosi' ora siamo davvero a striscie...). Restano da trovare delle nuove borse da bici (quelle di Gaia hanno davvero dato!) e nuovi copertoni (Gaia), qui solo per mountain bike.

Conosciamo un interessante signore malese che per scelta gestisce un baracchino sulla strada dove vende bellissimi bigliettini, dipinti da lui a mano, con gatti che fanno yoga; lui infatti e' uno yogi che insegna anche tai chi e ji cong (lo chiamano anche all'estero), ma ama stare on the road e "vedere gente".
Per avere un'anticipazione su cio' che sara', acquistiamo una specialita' thai, sticky rice al cocco con mango fresco: una delizia!
Lasciamo a fatica questa citta', la strada ci chiama.

Verso le Cameron highland, mangiando dokong
Prendiamo il traghetto, questo certificato ISO 9001, che dall'isola porta gratis (!!!) sulla terraferma e ci dirigiamo verso Taiping, cittadina cinese ai piedi delle montagne. Sulla strada siamo travolti da un mega temporalone con raffiche di vento, mentre ci godiamo, in estasi, i meravigliosi dokong, piccoli frutti di cui forse gia' abbiamo riferito, ma che vogliamo specialmente menzionare: sono buonissimi e superdissetanti. Ripariamo sotto una tettoia di ristorante, dove tutti spostano le moto per farci spazio, gentili come al solito. Dei malesi uno scrittore ha detto che sono i piu' gentili tra gli asiatici, e forse e' vero... poi fradici, riprendiamo a pedalare: per fortuna fa caldo e ci si asciuga abbastanza in fretta.

Il primo hotel selezionato da Ale e' repentinamente scartato da Gaia (che, ricordiamo, e' l'addetta all'ispezione) con la frase: "Non ci lascerei neppure una valigia per paura di non trovarla quando torno in stanza". Passiamo la notte nella classica "topaia sicura" che pero' solleva il seguente interrogativo: come mai il geko della stanza transita tranquillo sul letto anziche', come sempre, sui muri?. Mangiamo, in un ristorante dove tutto e' scritto solo in ideogrammi cinesi, la specialita' chiamata poh, buonissimi panini, dolci o salati, cotti al vapore, digeribilissimi perche' di farina di riso. E' quel genere di locale dove o ti prendono in simpatia o chiamano la mafia per farti fuori; la proprietaria sembra voler fare la seconda cosa, ma quando andiamo via, tutti ci sorridono, lei compresa.
Da qui, proseguiamo verso Ipoh, sempre zona a maggioranza cino-malese, pedalando in un paesaggio che, del pari, ricorda certa iconografia mandarina.
Sulla strada, ci fermiamo nel solito baracchino di frutta dove, come sempre, acquistiamo e consumiamo, in loco, tra i due e i tre kili di fibra; qui, papaya, pulasan e dokong. Quando stiamo per andarcene, la fruttivendola, consultatasi con il marito, ci offre un durian; le facciamo capire che ci e' impossibile trasportarlo; allora lei prende un casco (!) di banane (almeno un chilo e mezzo), ce lo imbusta e, non ci sono santi, ce lo regala!

Ad Ipoh, telefoniamo, come d'accordo, alla coppia (lui cino-malese, lei indonesiana di Giava) incontrata sul traghetto di ritorno da Sumatra, Rina e Fong. Ci hanno invitati a casa loro, ma decidiamo di dormire nel solito hotel imbarazzante e di passare il solo pomeriggio con loro. In realta', loro ci aspettavano trepidanti e avevano gia' preparato la stanza per noi e un posto per le bici! Ci portano in giro per la citta' e anche fuori, insistendo per pagare tutto cio' che consumiamo, frutta compresa! Fong dice che e' cosi' che i cinesi trattano i loro ospiti! Vivono da qualche anno more uxorio (in segreto) e l'anno prossimo si sposeranno. Sono davvero simpatici e accoglienti. Rimangiamo con loro il durian, questa volta scelto da Fong, vero esperto in materia, che si rivela molto meglio di quello mangiato 7 anni fa. Non e' il nostro frutto preferito, comunque, ma almeno si lascia mangiare...se doveste provarlo anche voi, assicuratevi che abbia una forma allungata, le spine della buccia accuminate, un odore non troppo forte e che non sia troppo grande; la polpa deve essere color latte/crema (e non bianca). Mangiamo anche il famoso frutto di Ipoh, il pomelo (una sorta di pompelmo grosso quanto un pallone da calcio), sia dolce che aspro, davvero buono.
Fong ci racconta di mangiare spesso come un lupo (6/8 piatti di riso col pollo), a causa di un'infanzia di stenti e che persino la sua mamma, quando lo vede mangiare cosi' tanto, si spaventa e lo implora di smettere! Questa mamma cinese viene in visita dal Quandong almeno tre volte l'anno, facendosi 10 ore di viaggio!
Lasciamo il nostro indirizzo e speriamo di poter contraccambiare un giorno con la tipica ospitalita' italiana!

Quanta salita!
La strada prosegue per pochi kilometri in piano, per poi inerpicarsi fino ai 2000 metri in circa 50 km. Il panorama e' stupendo, nonostante le nuvole basse non facciano risaltare i colri e impediscano di vedere le cime delle montagne, dove peraltro saremo anche noi non molto tempo dopo. Risuonano i versi delle scimmie (diversi da quelli fin'ora uditi), il rumore del becco degli hornbill e il richiamo di altri uccelli e veniamo inondati dal rosa e viola di tantissime orchidee selvatiche e dal batter d'ali di tantissime farfalle (in particolare le kupu kupu ovvero Rajah Brooke o troides brookiana) colore verde-turchese e dalla forma allungata o a goccia. Diversamente dalle montagne indonesiane, dove non sembrava esserci alcuna forma di vita, qui si fatica immersi in un mare di colori e suoni animali e vegetali. In mezzo a tanta bellezza, ogni tanto purtroppo ci sono cave o serre che sventrano queste fresche e bellissime montagne di arenaria e ad un certo punto anche una discarica! In cima alla vetta piu' alta, dopo molti km di nulla, vi e' solo una grossa bancarella che, nella desolazione di una cava, vende solo giocattoli!
Per fortuna abbiamo le nostre provviste, che vengono consumate tutte, insieme all'acqua, poco prima che il solito acquazzone si abbatta inesorabilmente su tutto e tutti. Qui fa anche freddo, accidenti.

Scendiamo tra le serre (soprattutto di fragole, infatti acquistiamo dei biscotti alla fragola e della marmellata degli empori annessi) a gestione cinese e ci fermiamo a Kampung Raja, dove a fatica troviamo un albergo che pero' e' davvero bello (e caro! ben 18 euro che qui sono una fortuna). Ci sono persino l'acqua calda e la cucina a disposizione che utilizziamo, visto che tutti i ristoranti li' vicini sono chiusi, forse perche' qui la sera non ci sono avventori a sufficienza. Il paesino turistico e' infatti 10 km piu' a valle nella direzione per noi sbagliata.

Ripartiamo per raggiungere Gua Musang, ma purtroppo le salite non sono ancora finite e dopo un'iniziale mega discesa di 20 km circa, saliamo e scendiamo ancora per i restanti 80. Tra le montagne di qui, non c'e' nulla, neppure i venditori di piante e germogli di bambu' della tappa precedente o le usuali bancarelle. Le strade, pero', che qui non sono "autostrade" dai nomi improbabili lo sembrano veramente!
Verso ora di pranzo, finalmente, il miraggio: un locale per mangiare e comprare acqua!
Non c'e' nessuno, anche se fuori c'e' un motorino acceso. Dopo ripetuti richiami, compare il proprietario, con solo una salvietta intorno alla vita, bagnato! Rivestitosi, ci serve e ristora.
A 7 km dall'arrivo, Gaia fora la gomma davanti, a causa del copertone troppo usurato; Ale e' costretto a cambiare anche quello. Pochi metri e psss la gomma e' di nuovo a terra! La tappa sembra non aver fine! Ale ricambia la camera d'aria e finalmente arriviamo! L'hotel e' anche dignitoso.
Sono due giorni di "lacrime e sangue", ma alla fine superiamo la catena montuosa piu' alta della Malesia peninsulare!

Sanguisughe, ruggiti e motorini
Raggiungiamo il Taman Negara, il parco nazionale, carichi di aspettative. Abbiamo deciso di entrare dall'ingresso di Sungai Relau, anziche' dal piu' turistico ingresso di Kuala Tahan (Jerantut), per evitare le folle che sembrano prenderlo d'assalto Questo pero' significa essere isolati (il paese piu' vicino e' a 7 km di salita senza mezzi pubblici di collegamento) e non poter disporre di tutti i ristoranti e negozi dell'ingresso sud.
E' domenica e l'ufficio del parco e' chiuso. Siamo costretti a bussare ad una delle abitazioni dei membri dello staff. Dopo un sommario controllo, ci dicono che nessuna stanza e' disponibile e ci offrono la camerata dell'ostello; ovviamente accettiamo. Per dare un'idea, descriviamo i soli materassi: sporchi, quasi tutti pieni di muffa e con sospette macchie di sangue. Gaia e' schifata, Ale piu' pragmaticamente, si sceglia il meno peggio. Non c'e' nulla, neppure l'acqua potabile o una cucina per autogestirsi e siamo costretti a tornare indietro in paese per comprare qualche provvista "secca". Per fortuna, lungo la strada numerosi alberi da frutta si offrono ai poveri viandanti! Peccato che i buonissimi rambutan gialli si rivelino una trappola per mr.Tuffy-raccoglitore: voracissime formiche rosse!
La sera, al campo-base, siamo solo noi e le scimmie: nonostante i turisti malesi siano ripartiti tutti, nessuna stanza, causa assenza di personale il sabato e la domenica, viene rifatta!
Alle 21 facciamo la nostra prima attivita' decisa al momento del check-in: safari notturno in fuoristrada. Per cercare di vedere il maggior numero di animali, la visita avviene tutta nella confinante piantagione di palma da olio anziche', come pensavamo, all'interno del parco. Causa pioggia, vedremo pero' solo cinghiali locali, una civetta malese (felino locale), un leopard cat, un gufo e due cani selvatici, tipo dingo. Siamo noi, la jeep e ben tre accompagnatori malesi che non parlano inglese.

Il giorno dopo, facciamo invece il trekking che ci porta a Gua Gaja, la grotta degli elefanti; la guida e' un ragazzetto con il cerchietto che hanno certi calciatori e che non parla una parola di inglese, ma in compenso scatarra per tutto il tempo; pero' almeno sa il fatto suo nella jungla. Il trekking e' veramente impegnativo, ma si arriva ad un massiccio di arenaria con all'interno grotte dove gli elefanti si ritrovano spesso (le loro caccone sono li' a testimoniarlo). Visitiamo anche la grotta, buia, sottostante piena di pipistrelli che, illuminati, volano all'impazzata. Con noi anche un misterioso "secondo" gentile che ci aspetta quando, al ritorno, la nostra guida decide di staccarci e volare verso la strada asfaltata, incurante di cio' che ci puo' capitare.
Sia all'andata che al ritorno, camminaimo nella jungla fitta e fangosa e veniamo presi d'assalto, soprattutto Ale (che se ne ritrova una anche sulla pancia!), dalle numerose sanguisughe che qui trovano il loro habitat ideale. Il brutto e' che, una volta tolte, le ferite continuano a sanguinare per molti minuti (ecco spiegate le macchie sui materassi!!).
Decidiamo, poi, di passare la notte in un capanno di avvistamento che si trova in prossimita' di depositi di salgemma che attraggono gli animali, sempre nel fitto della jungla. Vengono a prenderci ancora in tre (probabilmente qui funziona come per i nostri carabinieri!), ma solo un ragazzo restera' con noi, come da regolamento. Non avvistiamo nessun animale (piove ancora verso le 21.30), ma i suoni e l'esperienza di dormire nella foresta malese sono davvero incredibili e imperdibili, anche se ovviamente il capanno e' ancora piu' spartano del dormitorio. Per arrivarci, altre sanguisughe ci si attaccano!

Gaia ha paura anche solo a scendere al piano inferiore, dove ci sono le toilet! Udiamo suoni indecifrabili che ci ricordano ora un citofono dai decibel insostenibili, ora un'acuta tromba da stadio, ora una sirena, ora un antifurto per auto: sono tutti animali che si svegliano al calar delle tenebre. Nel buio completo, consumiamo il nostro umile pasto puntando ogni tanto la torcia per vedere se qualche animale si fa vivo. La mattina, il concerto viene aperto dalle scimmie, i gibboni e altri tipi di primate che qui vivono.
Qualche ora dopo, eccoci di nuovo nella jungla: vogliamo fare un sentiero che pare semplice ed e' dotato di cartelli esplicativi. Dopo pochi passi (e' ancora presto), tutti i rumori cessano ed entrambi trasaliamo: udiamo quiello che sembra in tutto e per tutto un ruggito! Gaia, con l'espressione di Stanlio quando ha paura, gira i tacchi e dice: "Me ne vado", Ale ribatte: "Dammi la macchina fotografica!" sparendo nella jungla! Pero' poco dopo tutto pare tornare normale e i suoni della foresta riprendono... in questa zona vengono avvistate il maggior numero di tigri e ci chiediamo se ne abbiamo sentita una... il brivido lungo la schiena e' stato pari all'eco del ruggito. Il Taman Negara sembra essere il tratto di foresta originale piu' antica del mondo (ca. 130 milioni di anni), piu' antica anche di quella africana e amazzonica; questo grazie al fatto che le glaciazioni non l'hanno toccata ed all'assenza di eruzioni vulcaniche. Questo fa si che vi siano alberi ed anche insetti di dimensioni gigantesche, come nella preistoria dell'essere umano. Vediamo una formica grande quanto una rana vista in Australia! Anche durante questa "passeggiata", che si rivela un trekking, siamo attaccati dalle sanguisughe.
L'attrazione principale di questa parte del parco sembra pero' essere un particolare tipo di pesce, il Tor Tombroides, Kelah in lingua locale, dalle scaglie che lo fanno sembrare di bronzo; puo' raggiungere i 30 kg di peso ed e' in via di estinzione. Quelli che vediamo noi sono pero' molto piu' piccoli.
La vera attrattiva della sede del parco sono per noi, invece, i membri dello staff che incessantemente, per qualsiasi ragione, inforcano i loro motorini anche solo per fare 50 metri e, a turno, vengono a farci domande o a vedere cosa stiamo facendo sui divanetti che dovrebbero essere solo una sala d'attesa, ma che per quanto ci riguarda, unici turisti durante la settimana, diventano soggiorno e sala da pranzo!
Oggi ritorniamo nel consesso civile, a Gua Musang; lasciamo il Taman Negara con varie cicatrici di sanguisuga, salutati da cinghiali che ci attraversano la strada facendoci spaventare.
Gatti, antichi come il Siam, ci guardano sornioni dai baracchini di frutta ancora chiusi.
Ora la nostra destinazione e' la costa est.

Ancora sull'Indonesia
Ma davvero non abbiamo menzionato il meraviglioso gattino che a Bukit Lawang veniva ronzando a cercar coccole e che una volta ha cercato di sottrarre il pollo a mr. Tuffy??? Beh, era proprio carino e giocava a rimpiattino con il pet-coniglio bianco nel giardino: che balzi, il coniglio, che belli gli animali diversi che giocano tra loro!
Ma davvero non abbiamo menzionato i meravigliosi satay (spiedini) Padang che Ale si mangiava comprandoli dalle bancarelle di strada di Berastagi? Beh, erano davvero buoni, serviti con una salsa piccante al cocco e curry e manioca.
Ma davvero non abbiamo menzionato, i due cicloturisti incrociati lungo la strada, che avevano i surf sul carrellino posteriore? Beh, ci siamo appena visti salutati e siamo stati subito inghiottiti dal traffico locale e dalla polvere. Avevano il nostro stesso sguardo, un misto di fatica e di chi si sta chiedendo: "Che ci faccio io qui?"
E non abbiamo detto del caffe' indonesiano e di quanto e' buono e fatto come usa in Turchia e nei Balcani, con la spessa palta di residuo che deve depositarsi sul fondo prima di poter essere bevuto? Ci manca gia'!
O riferito del proprietario dell'hotel di Medan che e' nato e cresciuto nella jungla del Borneo e che portava i capelli lunghi fino alle natiche perche' c'erano troppe cose da fare per poterli tagliare? E' stato bello passare la serata a chiacchierare dei rispettivi usi e costumi.
O del lancio della pattumiera o di qualsiasi altro oggetto, borse del vomito incluse, dai finestrini dei bus? Niente, per fortuna, ci ha mai raggiunto.
O dei serpenti che ci hanno attraversato la strada? Ad Ale, uno e' passato tra la ruota anteriore e quella posteriore; per fortuna il serpente, come insegnano le antiche scritture, e' un animale intelligente ed e' riuscito a passare incolume e senza arrotolarsi tra i raggi. Ale si e' limitato ad alzare le gambe, per istinto di sopravvivenza; la cosa si e' chiusa con una scarica di adrenalina. Lo stesso tipo di serpente, lungo piu' di un metro e verde prato, dall'andatura veloce e zigzagante, ha tagliato la strada anche a Gaia che lo ha pero' ammirato da una distanza di sicurezza.

domenica 2 agosto 2009

Orang utan, orang, barat e francesi!

Siamo di nuovo in piattaforma continentale euroasiatica. Sono successe un po' di cose. Un po' belle, un po' no. Ma Georgetown e' ancora piu' meravigliosa dell'ultima volta che l'abbiamo vista, 7 anni fa. Una societa' in declino o in avanzamento, la si vede anche da come gestisce i suoi piani urbanistici, la sua ricchezza; beh, qui decisamente, sono avanzati molto piu' che a Milano! Tentiamo di scrollarci di dosso un po' di squallore milanese per continuare a raccontare.

Finalmente, anche le rose!
Lasciamo Padang Sidempuan alla volta di Tarutung, solo un'altra tappa nel percorso di avvicinamento al lago Toba. La strada e' di quelle ipermontuose, e sara' cosi' ancora per molti giorni. L'asfalto e' per lunghi tratti inesistente; alcune buche sono profonde meta' ruota e interamente piene d'acqua. Passiamo dei villaggetti che occupano quel che resta della strada con teloni lunghi metri per stendere ad asciugare le derrate agricole piu' disparate. Finalmente, pero', una citta' degna di questo nome con un fiume che la taglia a meta', un piano urbano minimo, non troppo traffico. E' zeppa di sartorie. Le cuoche del sottostante ristorantino del tipico "hotellaccio" dove alloggiamo, sembrano bambine e ci spiano e salutano dalla porta della cucina. Anche la sera, qualcuno cerca un saluto dalla finestra: "Hello, Miss" (chissa' se e' diretto a Gaia o ad Ale!). Tutti sono, come sempre, gentilissimi.
Il giorno dopo, proseguiamo, sempre in salita, per Dolok Sanggul e lungo il percorso ci salutano persino i bambini che, essendo domenica, si stanno lavando nei vari corsi d'acqua e sono completamente nudi, ma lo stesso fanno capolino festosi escalmando "Horas!" (il saluto locale) o altre parole di saluto, tipo: "Ajo' ", che non e' un richiamo sprezzante, ma un'altra parole di benvenuto. E' interessante vedere come i fiumi si riempiano di persone che si lavano e lavano ogni genere di cose nello stesso posto, all'indiana, dalla biancheria al motorino, nei giorni di festa.

Religo.
In questa zona, oltre alle moschee, che si fanno piu' rade, spuntano tantissime chiese cristiane soprattutto protestanti. Anche se l'Indonesia e' il Paese al mondo con piu' fedeli musulmani, qui la minoranza cristiana si fa maggioranza: come i partigiani, qui i cristiani sono proliferati in montagna! Sara' un caso, ma qui e' l'unica zona dove qualcuno ci domanda dei soldi (la tipica brutta abitudine indotta da certa Chiesa...). Ripensando alle missioni del centro Australia e alla dipendenza indotta proprio dalla presenza cristiana, viene automatico fare delle analogie.
La particolarita' dell'Islam di Sumatra e' data dal richiamo del muezzin che qui, prima della vera e propria chiamata alla preghiera, intona lunghe melodie in lingua locale e dal fatto che i rapporti uomo-donna sono molto piu' paritari. Nella parte orientale della Malesia, invece, addirittura le panchine sono divise per sesso e nessuno si sogna di sedersi in bus vicino a qualcuno dell'altro sesso che non sia suo parente naturale o acquisito. Qui, poi, molte donne hanno il velo, ma molte altre no.

Orang
A Dolok Sanggul incontriamo due businessmen di Jakarta che ci chiedono preoccupati se abbiamo paura o pensiamo di andare via dall'Indonesia a causa delle bombe che hanno fatto saltare il mega hotel di lusso.
A cena, un avventore locale, che parla un po' di inglese, si preoccupa di farci da interprete, verificando che il cibo sia di nostro gradimento e ricordandoci che possiamo averne dell'altro se quello che abbiamo non ci basta!
In un negozio, dove acquistiamo una delle due birre Bintang che beviamo a Sumatra, un altro avventore English speaking scambia due chiacchiere con noi e ci dice che il business locale e' legato all'ingrediente delle sigarette che qui producono che viene anche usato in Thailandia per pregare; chissa' di cosa si tratta...questo spiega la presenza di cosi' tante persone in posto altrimenti dimenticato da dio...
Da qui, ci aspetta l'ennesima salita prima di un'impegnativa e pericolosa discesa di 22 km che ci porta al lago Toba, sulla penisola/isola di Samosir. La discesa ha una pendenza per alcuni tratti improponibile e presenta lunghi tratti non asfaltati, costringendoci a scendere dalla bici per evitare cadute e rotture dei cerchioni (Ale ne ha due nuovi, ora!).
Ma la prudenza si limita all'uso della bici: Gaia infatti scende dal mezzo per fare una foto al cratere sottostante (scendiamo dal rim di un antico vulcano verso il suo centro, il lago appunto) e scivola da un masso coperto di ghiaietta sbucciandosi il gomito e battendo anca e macchina fotografica! Lo spavento e' maggiore dei danni, per fortuna.
Dopo tanta fatica e sangue, a Pangururan (il primo paesino, dove pranziamo) ci aspetta, incredibile a dirsi, della mozzarella locale di bufala! una delle piu' buone mai mangiate! roba da indigestione o tbc bovina (pero' per fortuna non ce n'e' a sufficienza...)! Non la ritroveremo da nessuna altra parte, pare che piaccia solo ai locals...
Scopriamo che il meraviglioso Danau Toba e' cio' che resta di un'eruzione esplosiva di 100.000 anni fa, la piu' imponente che si conosca; Pulao Samosir e' invece cio' che rimane di un'ulteriore eruzione di 30.000 anni fa. Il lago e' il piu' grande del sud est asiatico e uno dei piu' alti al mondo (e' a ca. 1000 msl).
Questo posto ci riconciglia definitivamente con Sumatra per tranquillita' e bellezza. Mangiamo anche meravigliosamente al Caffe' Juwita (gado-gado e curry di jackfruit, curry di patate dolci, cap cay, tra i piatti locali che ci rimarranno nel cuore), dove la signora Edi (che tiene anche lezioni di cucina) ci intrattiene piacevolmente nel dopo cena, raccontandoci di lei e soddisfando alcune nostre curiosita'. Qui, ad es. in molti sanno qualche parole di italiano perche' fino agli anni novanta era pieno di turisti anche italiani che evidentemente hanno costretto i locali ad imparare la loro lingua, oltre che a fare la pizza (alcuni ristorantini la propongono). La vendita di benzina per le strade e' legale ed e' un servizio legato alla presenza di pochi distributori ufficiali. Il prezzo e' percio' maggiorato anziche' scontato come pensavamo.
In questa zona ci sono anche finalmente dei resti storici visitabili, cioe' antiche case Batak (la popolazione locale) in legno, tombe dei relativi re e un luogo sacro dove si prendevano decisioni importanti soprattutto in materia di giustizia. C'e' anche il posto dove avvenivano le esecuzioni capitali. Tutto e' fatto di pietra. Molti dei piccoli villaggi lungo lago sono nello stile tipico.
In tutta la zona Batak, ivi compresi gli altipiani, veniamo salutati con l'appellativo di barat che, ci dicono in seguito, si traduce come straniero che viene da occidente e ha la pelle chiara. Per estensione, turista.

Dormire a Bethseda
Lasciato il lago in traghetto (diquellichedicibellopero'nonvorrestimaichefosseinmareperche' affonderebbedisicuroequialmenopuoiarrrvareallarivaenoncisonoglisquali!), ci attende nuovamente la salita che ci riporta in quota sulla sponda opposta. Tra le montagne incontriamo anche dei ragazzi in motorino con due fucili a tracolla. Rispondiamo prontamente al loro saluto con il sorriso delle migliori occasioni, cerchiamo di non pensare alla frase buttata li' da uno di loro ("I'm looking at you"...) e alla domanda "dove state andando" Ale risponde "verso nord' indicando un punto vago in direzione del sole.
La strada e' molto impegnativa, sempre in salita, ma la fatica e' finalmente ripagata dal paesaggio rigoglioso e dagli splendidi scorci sul lago che possiamo vedere per km e km. Decidiamo di fermarci in un posto chiamato Bethseda, non segnalato da alcuna cartina solo perche' siamo sfatti e vediamo un'insegna: "Guesthouse +/- 100 mt." La ricerca ci portera' al locale ospedale dove i sanitari, dopo una lunga attesa e la domanda ripetuta sulla durata del nostro soggiorno, ci conducono in una stanza decente, messa probabilmente a disposizione dei parenti dei pazienti (per fortuna e' sabato e non c'e' nessuno).
Mangiamo nell'unica rumah makan degna di questo nome, dove la proprietaria decide che dobbiamo assaggiare un succo fatto, lo scopriamo poi, di rapa e custard apple locale: delizioso!!! Ha una bimba celebrolesa ed e' qui, infatti, che lasciamo l'unica mancia di tutto il viaggio.

Francesi
Arriviamo a Berastagi, un'amena localita' (montana bien sure) per fare trekking sul locale vulcano, il Sibayak.
Anche questo paese e' molto bello, vale per panorama, aria buona e frutta: Berastagi e' infatti al centro di cio' che viene definito il granaio di Sumatra e vi si trova ogni tipo di frutta e verdura. La sera, oltre ai ristoranti, ci sono decine di bancarelle estemporanee di cibo che proviamo ripetutamente perche' offrono specialita' differenti, ivi compreso un dolcetto al cocco fatto cuocere al vapore dentro pezzetti di canna di bambu' (putu' bambu).
Il trekking sul vulcano e' impegnativo, ma stupendo: si passa tra la jungla fitta prima, per poi salire e proseguire tra le fumarole, camminare sulla crosta della caldera e ridiscendere per un erto sentiero che riprecipita nella foresta.
Alla base del vulcano, finito il trekking, ci si puo' poi rilassare nelle splendide pozze di acqua termale calda. Per tornare in citta' facciamo l'autostop e ci carica un camion vuoto. Viaggiamo gratis nel suo rimorchio godendoci la strada senza pedalare, dall'alto!.
Ma facciamo un passo indietro.
A Cairns avevamo incontrato l'ennesimo francese strano di quest'annata di viaggio, un ragazzo che parla come il romano incaricato di seguire Asterix nel film "Le sette fatiche di Asterix". Scambia nella cucina dell'ostello le seguenti battute con una ragazza cinese:
fr. "Ho mangiato cibo cinese una volta era tremendamente piccante" Cinese "No, il cibo cinese, assolutamente non e' piccante!"
fr. spalancando gli occhi e inarcando il sopracciglio "Allora, ho sbagliato Paese!"
Un tedesco li' vicino allora interviene dicendogli: "Perche' sei stato in Cina?"
fr. "No, solo a Hong Kong"...
A Bukkitingi abbiamo incontrato Benoit, un francese in viaggio per l'Indonesia che, viste le nostre bici, ha iniziato a raccontarci di quando ha viaggiato in bicicletta in Sud America sulle Ande raggiungendo altitudini, ci tiene a sottolinearlo, ben al di sopra del Monte Bianco, per poi chiederci noi fino a che altezza avevamo pedalato e commentando i nostri 2.000 metri con un "sono molto deluso". Ci dice di avere un blog dei suoi viaggi e, quando gli diciamo di aver incontrato una coppia di cicloturisti polacchi che pero' non parlavano inglese, lui stupito ci dice: "Perche' non parlate polacco? Io si'!" tutto in francese!
A Berastagi, infine, ci aggancia nostro malgrado un ragazzo francese logorroico che ci da consigli non richiesti su scalata del vulcano e trasporto locale e ci suggerisce di non mangiare nell'hotel perche' non e' buono. Ce ne liberiamo a fatica anche la sera quando tenta di autoinvitarsi a giocare a carte con noi. Lo vediamo per due giorni di seguito mangiare il cibo dell'hotel mattina, mezzogiorno e sera! Nonostante ripetiamo piu' volte che viaggiamo in bici e siamo davanti alle bici quando lo diciamo, continuera' a chiederci se usiamo bus o taxi per spostarci! Sul cratere del vulcano, una famiglia francese visibilmente disorientata ci chiede indicazioni in un inglese stentato, non sembra crederci e poi ci pedina quando prendiamo il sentiero per discendere. Non li vedremo mai arrivare alla base della montagna...se non avevamo preconcetti, ora scappiamo a gambe levate non appena udiamo l'idioma transalpino!

Orang utan
Lasciamo Berastagi per l'ultima tappa a lungo desiderata: Bukit Lawang e il suo santuario degli oranghi, il Taman National Gunung Leuser. Il villaggio si e' appena ripreso da una tremenda alluvione nel 2003 essendo posto alla confluenza di tre fiumi che spesso straripano. Ma come ha detto una guida, "No rain, no rainforest"...
Per andare da una parte all'altra della sponda del fiume ci sono solo tre ponti sospesi mobili pedonali estremamente... mobili! Per recarsi al parco nazionale, invece, si passa il fiume in canoa. Decidiamo di fare un trekking di un giorno nella foresta dove vediamo, con l'ausilio di una guida, un'oranga incinta: e' un momento davvero emozionante e lei e' piu' umana di molti umani che conosciamo. Orang utan significa infatti "persone della foresta" e va ricordato che questi primati condividono con noi il 97% del patrimonio genetico. La loro pelliccia, cosi' arancione da vicino, nel folto della foresta si mimetizza incredibilmente con i colori che la circondano. Gli oranghi di qui sono piu' piccoli di quelli del Borneo e vivono solo sugli alberi a causa della presenza di numerosi predatori, tra cui la famosa tigre di Sumatra, in via di estinzione anche lei.
Ci guardiamo a lungo e lei si gratta la testa e pare pensosa come tante altre mamme in attesa.

Si ritorna
Da Berastagi, raggiungiamo poi Medan dopo un'altra faticosa tappa che dai 1400 metri ci porta quasi al livello del mare, tra la jungla e la selva di camion ed autobus che corrono all'impazzata per ottimizzare i tempi. Pedaliamo pochissimo, ma le nostre mani soffrono per il continuo frenare e il cuore per la paura costante di essere stirati da tergo o da davanti!
A Medan purtroppo scopriamo che dobbiamo prendere il traghetto il giorno dopo o attendere 4 giorni, che ci paiono davvero troppi, per il successivo, anche se questa citta' e' la meno brutta tra quelle grandi viste.
Sabato ci imbarchiamo in un viaggio della speranza, su un "traghetto veloce" che ci pare piu' una carretta e che sopporta il mare mosso dello stretto di Melacca per ben 6 ore. E noi con lei! All'arrivo non si attracca: i marinai tengono la barca vicina al molo e c'e' solo una passerella ancora una volta estremamente mobile per toccare la terraferma.
Di Sumatra ci manchera' soprattutto l'incredibile benvenuto ricevuto dalle persone ovunque siamo stati.
E, insomma, eccoci a Penang, Malesia.