domenica 27 settembre 2009

Nel regno di Sua maesta'

Approfittiamo di questo lento, ma gratuito, internet della splendida guesthouse che ci ospita, qui ad Ayutthaya per un breve (?) aggiornamento.
Entrare a Bangkok e' come essere in un videogioco dove, pero', piu' vai avanti piu' perdi punti vita anziche' guadagnarli! Tra l'altro sei tu il bersaglio!
La sensazione e' di fare il controllore di volo al JFK di New York: cosi' tante variabili che credere di poterle tenere sotto controllo e' una chimera.
I taxi, che qui sono dei piu' svariati colori (rosa shocking, arancione, verde acido etc.) sono come i pesci pilota con gli squali: sempre dietro, attaccati ai bus per vedere se alle fermate riescono a sottrarre qualche cliente, quindi noi rischiamo due volte lo schiacciamento laterale. Si frena, dribbla, urla, supera e ogni tanto, a sprazzi, si va via lisci.. Pero' l'aria non e' mefitica come in Indonesia o a Dehli, forse anche perche' i famosi tuk tuk stanno quasi scomparendo grazie all'ottimo sistema di trasporto pubblico locale, davvero all'avanguardia (c'e' pure una metropolitana leggera stile giapponese, la skytrain! e le stazioni dei bus in centro sono wi-fi!). Insomma, e' quasi (?) meglio di Milano!
Comunque per fare gli ultimi dieci km abbiamo impiegato un'ora!
Gli scorci che vediamo ogni tanto sono pero' suggestivi: B e' citta' di acqua, fiume, canali, barche, barconi, chiatte, con tutta l'umanita' che li accompagna e che ci vive. Un po' Amsterdam, un po' Londra, molto Oriente..

L'hotel dell'amore
A Nakhon Pathom, trovare un hotel non e' stato semplice e gira che ti rigira, decidiamo di seguire un'insegna rosa con l'H di hotel a forma di quel che ci sembra un cuore. Arriviamo in un posto dove alcuni parcheggiatori che ci sembrano usciti da un film sulla legione straniera (con copricapi e fazzolettini sotto che scendono e occhiali da sole) ci invitano incalzanti ad entrare in una zona stanzaconparcheggiomacchinadifronte e subito chiudono una tenda cerata di gomma alle nostre spalle, dicendoci:"200 baht". Ci sembra troppo poco e capiamo di trovarci in uno dei tanti motel per uomini soli (chiamiamoli cosi') in cui siamo incappati. Tutto e' rosa: insegna, tenda, muri. Ma la tariffa si riferisce alla permanenza per sole due ore. Percio' li salutiamo e ce ne andiamo. Nel frattempo, da un macchinone dai vetri oscurati esce un numero imprecisato di donne altrettanto sole... I parcheggiatori ci fanno segno di uscire dalla parte opposta, altrettanto incalzanti!
Dormiamo in un hotel sulla superstrada, il piu' strano mai visto in vita nostra: ad ogni piano puoi...arrivare in macchina come fosse un parcheggio multipiano!

Dai, fatti un Cynar!
Quasi arrivati nell'hotel da noi prescelto a Bangkok, chiediamo conferma (Gaia insiste) a due passanti circa la strada: sono un koreano e un malese. Questi, ci dice che il posto e' lontanissimo e che serve un taxi (!!) per arrivarci...il koreano gli ricorda che siamo in bici: la citta' fa male. Continuano a ripeterci che li' c'e' la Bank of Thailand.
Li salutiamo, lasciandoli al loro triste destino.
Spesso, per necessita' o per mischiarci ai locals, mangiamo in stall che sono davvero sulla strada, cosi' che, visto il traffico che regna sulle strade principali delle citta' piu' grandi, ci sentiamo un po' come Ernesto Calindri nella famosa pubblicita' di Carosello (lui seduto nel mezzo di una rotonda che dice: "Contro il logorio della vita moderna..."). E' vero: qui si trova il cibo piu' autentico, ma e' difficile rilassarsi: il nostro udito e i nostri muscoli vorrebbero il classico ristorantino comodo e tranquillo!
Corri di qui, corri di la' in cerca di cio' per cui siamo venuti a Bangkok (pezzi di ricambio vari per noi e le bici), ad un certo punto notiamo che le strade si fanno improvvisamente vuote e regna un silenzio irreale: ci siamo solo noi e dei poliziotti che ci fanno segno di proseguire velocemente. Ci chiediamo cosa stia succedendo. Anche i pedoni che passano sui ponti sopra la strada, vengono invitati a completare velocemente l'attraversamento. Tutto viene bloccato e anche noi fatti accostare dietro una transenna; chiediamo cosa succede: passa il re! Qualche istante dopo, una fila di macchine di servizio (tutte BMW che si e' evidentemente aggiudicata l'approvvigionamento reale) sfila veloce. Tutto torna poi alla normalita'.
Del resto, il monaco-abate di Phetchaburi ce l'aveva detto: il re va matto per i carciofi e lui glieli ha portati appositamente, di ritorno dal suo viaggio in Italia. Servono anche a lui, contro il logorio del potere...

Falsi thai
Cosi' come gia' capitato con la mela cannella, non e' facile orientarsi tra apparenza e sostanza di cio' che non appartiene al nostro universo linguistico e culinario. A confonderci sono anche le somiglianze tra cio' che vediamo per la prima volta e cio' che noi crediamo aver gia' sperimentato. E' cosi' che acquistiamo senza esitazione un tetrapak di foglia di banana (in genere contiene riso dolce) e ci troviamo dentro si' dello sticky rice, ma con in mezzo uovo, gamberi e maiale. Peccato che Gaia sia vegetariana e Ale voglia il dolce!
Poi, vendono ovunque finti sandwich che noi mai abbiamo acquistato, ma che ci hanno dato come colazione in un hotel: trattasi di tramezzino classico, con nulla dentro, ma una striscia colorata, esterna, tra le due fette che fa presagire una farcitura inesistente, quanto improbabile (color verde o arancione).
Oppure, compriamo, per variare un po', una cosa che sembra un mini panettoncino dolce, uguale uguale, giuriamo, ma dentro e' vuoto come la zucca di certi politici. E' pane normale "pittato" da panettoncino! Beh, almeno e' pane! E gli esempi potrebbero continuare...

Very Thai!
Lo studente thai e' l'essere piu' affamato che ci sia mai capitato di incontrare (noi esclusi!): in prossimita' di ogni scuola, di ogni ordine e grado, infatti, si radunano piccoli plotoni di venditori di strada, con ogni genere di prodotto che vengono letteralmente presi d'assalto all'entrata, all'intervallo e all'uscita degli studenti che comprano o consumano l'inverosimile. Quando siamo alla ricerca di un posto dove mangiare, per la scelta ci affidiamo spesso alla presenza di studenti, generalmente garanzia di qualita' (e abbondanza!).

Matti per la bici
L'abbiamo detto: la citta' fa male. Per Ale, l'hotel di B e' del genere "per occidentali stronzi, tutto lustro, in legno e nello stile finto orientale che gli occidenatli pensano sia l'autentico orientale". Gaia se ne innamora subito. Dice che si sta bene, e' silenzioso e poi si sentono gli uccellini e i galli all'alba. Certo, a volte, a disturbare sono gli ospiti (la mattina della nostra partenza ce n'era uno che dormiva sui tappetini davanti ai cessi, completamente ubriaco). Uno di questi e' il compagno di Gaia.
E' buio: Gaia viene svegliata da un rumore ripetitivo, a lei noto. Mezza addormentata, le pare di sentire... ma si e' proprio cosi', il rumore della pompetta della bici! Nell'oscurita' chiede (interrogativa retorica) al compagno di vita: "Ma cosa stai facendo?!" e lui: "Sono io, Gaia" (e chi cavolo poteva essere!). Sta gonfiando la camera d'aria che ha cambiato per la terza volta in poche ore; un problema che, evidentemente, come si suol dire, non lo faceva dormire!

Ratatouille
Ad uno degli incroci piu' incasinati che incontriamo in uscita da B, fermi al semaforo, un topolino passa svelto tra le ruote delle bici e poi, con agitazione, ma accortezza, attraversa ben tre volte tre differenti carreggiate. Lui ce l'ha fatta e questo ci da speranza. Noi speriamo che ce la caviamo...

Ma che ci fanno i miei capelli qui?
La fermata nella citta' partrimonio UNESCO di Ayutthaya meritava la deviazione. Per Gaia e' fin'ora, la sua citta' thai preferita, coi suoi canali che circondano la parte archeologica con i resti dei templi khmer e non solo.
Il mercato serale e' un'esplosione di specialita' locali piu' che nazionali (anche se Ale si butta sullo stall dei gamberoni alla brace).. Gia' lungo la strada, prima di entrare in citta' notiamo sacchettoni trasparenti colmi di quelli che ad Ale sembrano spaghetti colorati, a Gaia "stringhe" dolci per bambini (vedi paragrafo: Finti thai...). Ovviamente, non possiamo esimerci dall'assaggiarli, oltretutto costano pochissimo. Dopo infruttuosi tentativi di richiesta su cosa siano (come sempre!), viene in nostro aiuto una thai English speaking che ci spiega che sono il "ripieno" di crespelle con cui vengono venduti e che sono di vari sapori (da cui i vari colori). In pratica, sono una sorta di zucchero filato, che pero' ha la consistenza del crine di cavallo, dei capelli di Gaia, insomma. Li si mangia volentieri, canticchiando un motivetto dei tempi della nonna di Gaia ("Non e' un capello, ma un crine di cavallo uscito da un gilet...").

Chicchiricchi
Anche qui, come gia' altrove, nei templi c'e' un tripudio di statuette di galli, ma qui davvero hanno esagerato: ce ne sono di dimensioni faraoniche. Vale la visita il wat Yai Chai Mongkul per poter ammirare: il gallo in gesso piu' alto del mondo (secondo noi!, Ale non gli arriva che al petto); il gallo Versace (tutto lustrini e specchietti d'oro o d'argento); il gallo nazionalista (con la coda aperta e un sole con i colori della bandiera sopra).
A noi ricorda tanto il personaggio della nota pubblicita' di un riso italiano e puo' essere il regalo ideale per ogni suocera.

Procediamo ora spediti (forse) in direzione Laos, il visto thai ci scade tra meno di 3 settimane!

lunedì 21 settembre 2009

Partiti per la tangente

Chiunque sappia un po' di dinamica o semplicemente ami i proverbi (come Gaia), sa che partire per la tangente significa fondamentalmente che, nonostante tu voglia andare in un certo posto, c'e' il rischio di finire in un altro: beh, e' quello che ci e' successo.
Sconfitto il parassita che caminava con passo marziale sotto la pelle della gamba di Ale, abbiamo deciso di ritardare un po' l'ingresso nella megalopoli e proseguito il nostro pedalare a ridosso della Birmania/Myanmar e della sua dittatura militare per arrivare quasi al Passo delle Tre Pagode. Insomma, ci siamo fermati a Kanchanaburi e da li' siamo ridiscesi. Oggi siamo a 50 km da Bangkok e davvero domani cercheremo di entrarci. A dio piacendo, ovviamente. In questi mesi stanno succedendo cosi' tante cose che non siamo piu' certi di nulla, nemmeno delle piu' semplici. ma riprendiamo da dove avevamo lasciato.

Con la scimmia sulla schiena
Lasciamo Chumphon con un solo, apparentemente semplice, obiettivo: seguire la costa est. La pioggia scende copiosa, ma solo per i primi km, cedendo poi il posto ad un sole di quelli che ti fanno dimenticare tutto. Percoriamo stradine secondarie che ci avvicinano e allontanano dal mare, regalandoci pero' scorci da documentario. Dall'alto di uno dei templi piu' kitsch mai visti neppure in India (tra le statue, due occidentali con occhiali da sole!), intravediamo un'enorme baia circondata, quasi chiusa, da enormi falesie. Sembra la Polinesia e decidiamo di vedere se li' giu' c'e' da dormire. All'imbocco di una stradina semi asfaltata, a gesti, chiediamo ad un local se ci sia da dormire. Lui ci risponde di si' e la imbocchiamo. Dopo vari km, ci ritroviamo in un villaggio di pescatori piuttosto povero e non dotato di alcuna infrastruttura turistica, ne' del solito posto dove anche i locals mangiano. Chiediamo ancora e ci dicono che li' in fondo un posto per dormire c'e' per davvero. Tra le barche in secca, un complesso di bungalow c'e', ma a prezzi inavvicinabili nonostante siamo fuori stagione e gli unici turisti. Ovviamente non parlano inglese. Chiediamo se c'e' un'altra sistemazione (sempre a gesti) e finalmente ci viene mostrata una stanza che decidiamo di prendere: la baia davvero merita e la casa, tutta in legno con architettura tradizionale thai, anche. Il prezzo e' alla portata anche delle nostre tasche. Il bagno e' pero' fuori. Godiamo di un tramonto meravigliosamente rosso sulla spiaggia e riusciamo anche ad ordinare da mangiare, cosa, vi garantiamo, non semplice. La stellata, in un luogo quasi senza energia elettrica, e' di come non ne vedevamo da tempo. Le uniche luci sono quelle delle lampare dei pescatori del villaggio li' accanto. L'alba e' altrettanto magica, tanto che decidiamo di ritardare la partenza per passeggiare con la bassa marea.
Il sole, qui dove la stagione delle pioggie non e' ancora incominciata, e' bollente. Siamo finalmente accompagnati da un uccello interessante che ha sulle ali una V turchese; non ha il canto del kokaburra, ma ci regala un po' di colore. Siamo in una zona famosa perche' si trova lungo la rotta migratoria di numerosi uccelli, ma non e' ancora il tempo per poterseli godere e di locali non sembrano essercene molti, a parte i merli indiani....
Ci fermiamo nella baia di Bang Saphan dove fuori dal nostro bungalow scorazzano scoiattoli color antracite e in bagno appare, piuttosto restio ad andarsene, un ragnone formato australiano. Gaia lo allontana a distanza di sicurezza con un po' d'acqua.
Lungo la strada, il traffico e' sporadico, molto locale: ad un certo, punto il classico vespino ci supera. Pero', al posto del tipico secondo passeggero, dietro, seduta e attaccata al guidatore come se non facese altro da sempre, c'e' una scimmia. E' un lavoratore che sta andando dove deve andare e usa il mezzo che piu' gli vien comodo. E' un primate fortunato: un lavoro ce l'ha e puo' permettersi di andarci in moto.

Topaia heritage
Per raggiungere Prachuap Khiri Khan, passiamo ancora per baie incantevoli e resort davvero esclusivi che paiono vuoti. Ma ad un certo punto, anche questa strada da sogno finisce e siamo costretti e riprendere la tremenda autostrada.
Andiamo velocissimi e ci fermiamo in un ristorante per camionisti dove, pur non parlando inglese, sono interessati a comunicare con noi e dunque ci servono quello che chiediamo!
Qui, dalla costa al confine birmano, ci sono meno di 11 km e poco prima da costa a costa
la terra e' larga solo 50 km ca. (infatti si parla da piu' di un secolo di costruire un canale stile quello di Suez, indovinate chi lo vuole con forza?).
Qui c'e' un lungomare che sembra la Promenade des Inglais di Nizza dalla quale si gode un panorama notevole sulle due isole di fronte che ammiriamo con il surplus di un doppio arcobaleno, visto che un temporale le sta bagnando.
Al mercato acquistiamo una simil marmellata in secchiello di plastica (su insistenza di Ale): e' alla simil guava ed e' simil dolce. In pratica, mangi solo nocciolini. Per tanti giorni. Ogni mattina, Gaia maledice Ale. E crocchia gandolini sul pane.
Costeggia che ti costeggia, nel vano tentativo di scampare all'autostrada, arriviamo alla baia di Ao Noi e ci facciamo anche un po' di sterrato (quante urla, Ale! e dove mi hai portato, e le gomme si rovinano e le camere d'aria si bucano...), poi una sorta di tunnel che passa sotto i binari feroviari (Ale deve piegare il capoccione per passarci sotto!) ci fa riemergere sull'asfalto in corrispondenza di una piccola stazione ferroviaria. La baia e' bella e il villaggio di pescatori-costruttori di barche di legno tradizionali pittoresco come da copione. E' in fase di edificazione un grande wat con case per i monaci. O un resort che riprende la forma dei templi.
Alle 12, Gaia si vuole fermare per il pranzo, mentre Ale ancora non ha digerito la colazione. Si contratta e alle 12.01 si pranza. Dopo il temporale di rito, entriamo nel traffico esagerato di Hua Hin.
La citta' e' molto piu' turistica di come ce l'aspettiamo e forse per fuggire all'occidentalizzazione selvaggia delle vie centrali, scegliamo di soggiornare in un alberghetto che, come quello di Phang Nga, e' apparentemente chiuso, in realta' aperto in ristrutturazione. Vi si entra montando su due assi parallele. Sotto, il mare, che si intravede nei buchi del pavimento dei corridoi. L'edificio merita di inaugurare la nuova categoria di topaia heritage in quanto in teak e di almeno un secolo. La stanza e' angusta, il tetto di asbesto, ma la vista e' la stessa dell'Hilton che rovina la baia, li' accanto.
Il night market e' molto tourist-oriented e poco verace. Infatti, lo stesso dolce di cocco che mangiamo in tutte le citta', qui e' venduto in mezza noce di cocco. Cosi' i turisti zucconi capiscono cos'e'!
L'attrazione principale e' l'antica stazione feroviaria con attigua sala d'attesa reale.
La vicina cittadina marina di Cha-am e' invece molto meno frequentata da occidentali e somiglia molto alle nostre stazioni balneari per famiglie della Liguria.

Mangiamo alberi
Ci portano a Phetchaburi gli ultimi tratti di strada costiera o simil costiera che ancora riusciamo a seguire. Passiamo per zone palustri, risaie, saline abitate da stormi interi di aironi e altri trampolieri. Abbiamo anche la fortuna di vedere numerose cicogne, con il loro volo pesante. Qui ad ottobre e' il paradiso dei birdwatchers.
La citta' e' un insieme splendido di case in teak e complessi monastici (ne citiamo uno, il wat Mahathat) piu' o meno antichi. Sembra completamente ignorata dai turisti. Tant'e' che, quando entriamo in uno dei templi centrali, un abate che parla inglese ed e' stato in Italia, ci fa strada, mostrandoci anche alcune delizie artistiche nascoste dietro le porte di un tempio e gli edifici di 500 anni fa sopravissuti agli assalti birmani. Ci ricorda che la Via Mediana e' quella da seguire secondo gli insegnamenti del Buddha: essere troppo felici non va bene, si rischia di cadere nella depressione non appena capita qualcosa. Essere troppo tristi, nemmeno: si rischia di rimanere inerti, paralizzati dal dolore. Mangiare troppo, non va bene, cosi' come digiunare. Dobbiamo cercare il giusto equilibrio.. E' difficile, ma dobbiamo provarci. Tutto non e', in fondo, che preparazione alla morte.
Prima di lasciarci alle 17 per la preghiera, ci mostra la zona residenziale dei monaci: tutto in legno, regna una incredibile tranquillita', come mostra un gattone dormiente.
Per noi ciclisti, il giusto equilibrio rispetto alla dieta, e' cosa impossibile da rispettarsi. Abbiamo sempre una fame atavica e anche in questa citta' proviamo le cose nuove che le signore del mercato offrono sulle loro bancarelle tentatrici: Ale pranza a base di albero di palma da zucchero e Gaia con il fiore di banano che da tanti anni voleva provare. Il tutto accompagnato da una quantita' di riso che lasciamo ad altri giudicare se sia confacente alla Via Mediana.
Ci sono anche alcuni templi trogloditi, infestati da scimmie, con pochi fedeli perche' gestiti da religiose (anziche' religiosi) che qui valgono meno e quindi nessuno e' interessato a rendergli omaggio.
Il vero gioiello architettonico e' costituito dalla collina alle porte della citta', interamente occupata da numerosi edifici reali, purtroppo caduti in abbandono, ma in parte per fortuna recuperati. Dalla cima si gode un panorama incredibile su citta' e colline circostanti.

Inglese broccolino
Siamo stanchi. Ma stanchi stanchi. Non sappiamo se sia il caldo, davvero aspro prima dell'arrivo del monsone, o l'umidita' che porta con se', i tanti km macinati o forse le notizie che arrivano dall'Italia, ma la mattina rispettare la sveglia delle 6 e' difficile e la sera le occhiaie sono profonde. Nel tentativo, l'ennesimo, di evitare lo stradone che aumenta la stanchezza, raddoppiando lo stress, decidiamo di allungare la strada seguendone una che e' cosi' sperduta che una macchina (una delle due che vediamo) si ferma e ci chiede dove stiamo andando. Qui e' zeppo solo di cani, che come sempre ci abbaiano e inseguono se non ci fermiamo subito per tenerli a bada.. Non c'e' asfalto, ma risaie, campi, canali, case di foglie di banano e tantissimi uccelli palustri: i paesaggi dell'Oriente da depliant turistico dove pero' i turisti non ci sono mai.
Dopo molti km, pero', ci troviamo alle porte del wat Tham Khao Yoi, un tempio troglodita zeppo di pellegrini buddisti, neppure citato dalle guide. Forse e' dedicato alle scimmie, perche' i fedeli acquistano per loro del mais che poi gli gettano. La grotta inferiore e' anche qui gestita da monache, come se le donne fossero state relegate alle grotte. Non le abbiamo viste in templi normali, fin'ora.
Tornati inevitabilmente in autostrada, ci aspetta per la nostra delizia, un cartello enorme, di quelli ufficiali dell'ente stradale: Exit. Keep lift (anziche' sinistra, left, hanno scritto ascensore!). Acquistiamo poi del pane che anziche' essere il piu' comune per sandwich, e' un pane molto speciale fatto di... strega di sabbia (sandwitch)! Questo per dire dei problemi con l'inglese che ci sono qui, nonostante l'afflusso turistico.
E' qui che decidiamo, anziche' svoltare a destra per Bangkok, di raggiungere Ratchaburi, una citta' che per il suo mercato notturno merita la deviazione.
L'hotel, contro ogni previsione, e' splendido e ci regala un sonno finalmente comodo.
La strada e' costellata di siepi tagliate in foggia di animale, anche di quelli preistorici ed esotici (giraffa!), come se il personaggio del film di Tim Burton fosse passato di qui: vince il premio verosimiglianza il canguro che bruca.

Tre tigri contro tre tigri
Ci spostiamo ancora piu' ad ovest, per raggiungere Kanchanaburi che al centro di una serie incredibile di attrazioni naturali e non e che ospita il tristemente noto ponte sul fiume Kwae (da cui il famoso film).
Per riprenderci un po', decidiamo di fermarci tre notti e di affidarci a mezzi altri per visitare un po' questa zona. Siamo soprattutto attratti dal monastero delle tigri e dalla possibilita' di effettuare un giro in elefante, visto che qui ancora sono numerosi e vengono utilizzati anziche' per l'industria del legno (ormai meccanizzata), per quella turistica.
Dalla descrizione, il Tiger temple (Wat Luanga Ta Bua Yanna Sampanno) e' un luogo che da anni offre rifugio alle tigri ed altri animali in difficolta' (perche' sottratti per varie ragione al loro ambiente naturale) dove le tigri coabitano con i monaci e si possono toccare e vedere da vicino. In realta', si rivela un'impresa turistica enorme, dove vediamo solo tigri alla catena e una pletora di personale poco capace a trattare i felini, mentre alcuni monaci paiono piu' sadici che buddisti. Tutti sembrano intenti a mostrare e a mostrarsi al pubblico pagante, quasi fossero domatori e strattonano in malo modo le bestie. L'approccio amorevole dell'Australian Zoo ci pare molto lontano, cosi' come molto lontano ci pare l'obiettivo (dichiarato) di rimettere le bestie in liberta' almeno i nuovi nati.
Pero' le tigri le tocchiamo. Siamo tristi per lo spettacolo che offrono, per il loro doversi mettere in mostra, come al circo, anche nelle ore piu' calde del giorno quando vorrebbero dormire al riparo della foresta. Per questo, con tanto amore e speranza, diamo le nostre carezze sulla loro ruvida pelliccia di fiere. Lasciando stupito il personale perche' non vogliamo essere fotografati. Sembra di essere tornati agli anni '70, quando chiunque poteva disporre di animali esotici come piu' gli pareva...
E' con il cuore stretto che torniamo in stanza, sperando che non si ripeta lo stesso penoso spettacolo il giorno dopo, al campo degli elefanti.
Il giro sul bestiolone e' prorpio bello, certo non come lo sarebbe farci un serio trekking di giorni, ma emozionante. Gli elefanti sono trattati bene dai loro guardiani-fantini e volentieri ti portano in giro, anche se vorrebbero mangiarsi qualche ramo di acacia in piu'. Mr. Tuffy ad un certo punto diventa mahut e, lasciato il sedile, si mette a cavalcioni sulla testa del pachiderma e, nonostante la grande paura, soprattutto di cadere, tiene le posizioni e porta Gaia al campo base! e l'elefante alla sua pappa meritata. Certo, i mahut non sembrano ricchi, a giudicare dalle case di paglia dove ancora vivono con le loro famiglie. Qualcuno guadagna dai giri piu' di loro...
Una zattera fatta di bambu' scivola dolcemente per un tratto del Kwae. Proseguiamo poi in van per le spettacolari cascate di Erawan (o dell'elefante a tre teste), che sono per bellezza, ci dicono, le seste in Thailandia. Il trekking per vedere i loro sette livelli e' una piacevole salita della collina dove, quasi ad ogni livello, meravigliose pozze di acqua lattiginosa ti aspettano invitanti con i loro 27 gradi di freschezza. Ad un livello, una doccia naturale da film ti si offre, mentre al quinto livello ci si puo' tuffare o utilizzare uno scoglio come scivolo, tanto e' liscia la pietra. Solo i pesci che fanno il peeling, non appena posi il piede sul fondo, costituiscono un piccolo fastidio in questo paradiso, preso d'assalto anche dalle famiglie thai in quanto e' domenica.
La giornata si conclude con la visita alla Krasae cave, dove numerosi prigionieri della II guerra mondiale venivano ricoverati e morivano di stenti e malattie, un tratto lungo la ferrovia della morte (cosi' chiamata perche' un numero spaventoso di soldati perirono durante la sua costruzione) e il tramonto sul ponte del Kwae che piu' che rendere omaggio ai morti, e' un concentrato di bancarelle di ogni tipo, comprese quelle di cd musicali sparati a tutto volume.
Insomma, Kacha e' una piacevole cittadina sul fiume, in una zona della Thailandia, ai confini con la Birmania, dove potresti stare settimane senza mai annoiarti, anche solo per i paesaggi che offre.
La tappa successiva ci vede arrivare, con una media straordinaria (ci siamo riposati!) a Nakhon Pathom dove c'e lo stupa piu' alto al mondo (!). E' dove rubano, fuori da un tempio, a Gaia.

mercoledì 16 settembre 2009

Parassiti

Faremo come se non ci fossero licenziamenti, la chiusura di servizi, persone che abusano della loro posizione, proprio come quelli che vogliono punire. La situazione della cooperativa Diapason e' infatti al momento critica. Senza alcun appiglio legale, il Comune di Milano ha infatti confermato la sospensione di alcuni progetti e sembra intenzionato a rescindere ogni contratto. Il 15 ottobre dara' una risposta definitiva. Noi incrociamo le dita, sperando nel meno peggio. In un Paese con una classe politica del nostro livello, non si puo' far altro. Non esiste alcun senso del bene pubblico e si perseguono solo i propri fini di parte. Qui in Thailandia, abbiamo visto parchi in cui sono a disposizione persino amache perche' la gente possa riposarsi e riparare dal caldo. Da noi alcuni sindaci tolgono le panchine (pubbliche) perche' altrimenti ci si siedono gli "extracomunitari". Cosi' per sedersi, andiamo tutti al bar (privato).
La mattina del giorno in cui il Comune comunica alla coop la sua decisione, ad Ale si stacca e distrugge l' "amuleto" che pendeva dal manubrio della sua bici; per alcuni e' un cattivo auspicio, per altri solo una conchiglia caduta.

Paradisi
Dalla magnifica spiaggia di Railay ci spostiamo sulla tristemente nota Ko Phi-phi, completamente distrutta dallo tsunami e risorta dalle proprie ceneri, quasi come se nulla fosse. Al punto da ricostruire anche dove lo stato ha vietato in quanto la zona e' particolarmente esposta a nuovi rischi di onda anomala.
Siamo fuori stagione e l'isola vede pochi turisti, cosi' usufruiamo dei prezzi bassi, della tranquillita' e della possibilita' di scegliere senza stress dove dormire. L'isola e' una meraviglia, ma davvero troppo costruita. Nonostante questo, ci sono ancora angoli di paradiso ed e' possibile fare passeggiate attraverso la sua foresta. Come per altri posti, pensiamo che la parola paradiso, dal momento in cui definisce un luogo, lo annienta per definizione: quando il paradiso e' scoperto, cessa di esserlo.
Lasciamo l'isola con un po' di rammarico per non averla esplorata fino in fondo, ma del resto dobbiamo pedalare: dopo due notti accompagnate dal gracchiare di rane e rospi ad altissimo volume e dal richiamo di un gufo fuori dalla nostra finestra, partiamo con un sole splendente che illumina la bellezza di questo arcipelago.
Di Krabi non resta che menzionare la nostra cuoca preferita del mercato notturno: una donnona di origini cinesi che canta mentre fa saltare con perizia nel suo wok le nostre ottime pietanze.

Zigzagando (fine)
Rimaniamo sulla costa ovest procedendo verso nord, per raggiungere Phang Nga su una strada che si snoda tra le falesie calcaree che caratterizzano questa zona della Thailandia. Poco prima di raggiungere la citta', un grosso pick-up ci affianca e ci chiede se vogliamo un passaggio per Phuket; decliniamo l'invito, noi non andiamo a Phuket. Stravolti dal caldo della mattinata, cerchiamo un hotel e dopo alcuni km di ricerca infruttuosa, arriviamo in uno che pare chiuso per ristrutturazione. E invece e' aperto in ristrutturazione pesanrte essendo completamente sventrato da un lato. Per descriverlo succintamente, diciamo che l'hotel non c'e', pero' la TV ha quaranta canali, tutti in thai, il cesso e' dotato di...piscina (lo scarico del lavandino cade direttamente a terra, sui piedi per la precisione e l'acqua non cola nel tubo di scarico}. E non siamo soli! un simpatico Gregor Samsa fa la ronda notturna e abbiamo il dolby surround (la mattina alle 5 ca. siamo svegliati da una musica a palla, sembrano canti cinesi: cesseranno solo alle 8!).
Il giorno dopo e' dedicato alla visita in long tail boat (le barche tipiche) al parco marino di Ao Phang Nga e all'omonima baia. Navighiamo tra gli stretti canali densi di vegetazione: qui c'e' infatti una foresta di mangrovie primaria. Oltre a queste importantissime piante, immersi per meta' nell'acqua, ci sono, oltre alle palme, altri tipi di albero di cui non sappiamo il nome, ma il cui frutto ricorda quello del baobab, una grossa palla bruna. Una volta entrati in mare aperto, isole-scoglio lussureggianti si ergono dall'oceano: queste falesie stanno alla Thailandia come gli iceberg stanno all'Islanda. Il paesaggio e' incantato, strano, bellissimo. Alcune grotte naturali sono attraversabili in barca, altre si possono esplorare solo in canoa, altre ancora sono visitabili a piedi sbarcando sulle loro strettissime spiaggette. Vediamo anche la famosa Khao Ping Kan, ribattezzata l'isola di James Bond dopo che vi hanno girato alcune scene di un film dello 007. Un posto incredibile, rovinato in parte da una fila di bancarelle che vendono pacchianata fatte, oltretutto, di conchiglie. Molto interessante e piu' reale il villaggio su palafitte di pescatori e le pitture rupestri vecchie di 3.000 anni che scorgiamo dalla barca.
Da Phang Nga, prendiamo la strada a nord, tra le montagne, per raggiungere Khao Sok , un altro parco nazionale questa volta in quota. Sembra che qui, oltre ad elefanti, tigri, orsi asiatici ed una pletora di altri splendidi animali, ve ne siano di altri favolosi come il macaco mangiatore di granchi (che vediamo sulla strada anche se siamo in montagna!!!) e il gatto pescatore (forse amico del gatto con gli stivali). Non vedremo nulla di tutto cio': Kaho Sok e' solo una tappa perche' qui piove molto e noi, che oltretutto non abbiamo piu' gli scarponi rispediti a casa dalla Malesia, con il trekking abbiamo dato. Almeno per un po'.
In questa giornata, causa pioggia, siamo costretti a ripararci sotto una tettoia prospicente una stazione di polizia che ci sorride curiosa, invitandoci poi a riposare al tavolo dove probabilmente gli agenti mangiano. Quando spiove e riprendiamo le bici, ci accorgiamo che abbiamo forato e utilizziamo il grande spazio coperto degli sbirri per cambiare la camera d'aria. Loro tanto stanno guardando la TV.
Anche il bungalow del parco si caratterizza per lo scarico a terra del lavandino che ad oggi e' diventata una certezza a prescindere dalla categoria dell'albergo (a parita' di prezzo stiamo, infatti, incontrando camere dalle caratteristiche molto diverse).
Dal fresco e piovoso del parco, dove con piacere mangiamo una zuppa calda e non usiamo il ventilatore, la mattina seguente scendiamo verso est, raggiungendo il paese di Phun Phin dove far tappa per poi riprendere a salire lungo la costa.
A differenza del giorno prima, possiamo godere del panorama, dato che non piove, con le montagne che si ergono nel loro splendore, le falesie anche qui dai picchi aguzzi o arrotondati, un rigoglio di vegetazione e fiumi in piena. Nonostante alcune piantagioni di alberi da gomma, qui la foresta sembra preservata.

La mia gamba destra
Questo paese, prospicente al piu' noto Surat Thani, si caratterizza per le rivendite stradali di abbigliamento e scarpe usate. A sentir la guida, potrebbero essere il frutto dei furti perpetrati in massa ai danni dei turisti diretti sulle isole dell'arcipelago di ko Samui, li' di fronte. Ale pero' ha rotto la sua scarpa destra, non trova il suo numero tra quelle nuove e percio' decidiamo di cercare tra queste in offerta. Ne acquistiamo un paio in attesa di trovarne di piu' adatte. Qui sostiamo in un ottimo hotel tipo motel che ci offre una stanza bellissima e con vasca da bagno che subito accettiamo visto che il bucato si e' accumulato da giorni.
Nel frattempo, la ferita del morso piu' profondo di sanguisuga (resto dell'ultimo trekking) si e' infettata, o almeno cosi' crediamo e a nulla serve la crema antibiotica che da piu' di una settimana applichiamo. Il sospetto di Ale si fa certezza dopo che Gaia legge sulla guida dei sintomi di un'infestazione da parassiti: potrebbe essere quello, Ale potrebbe essere abitato! E dire che sopporta a mala pena di convivere con Gaia!
All'ospedale di Tung Tako decidiamo di prendere il toro per le corna e affrontare la sanita' pubblica thai. Visitano Ale in un batter d'occhio, prima le infermiere, che disinfettano la ferita, compliano la parte burocratica pesano e provano la pressione; Gaia, che e' lasciata fuori a guardia delle bici, con tempismo perfetto fa capolino nella stanza alla domanda: "Sposato?". Il dottore conferma poi la presenza di parassiti che si stanno, evidentemente mangiando la gamba destra di Ale, prescrivendo e poi consegnando una cura antibiotica ad hoc. Ad oggi ancora la certezza medico-scientifica di aver conseguito la vittoria manca, anche se i lavori alla galleria sono cessati da qualche giorno...
La mattina, nel ristorante ancora chiuso accanto all'hotel, una sessione straordianria di preghiera viene tenuta da alcuni monaci, che sciorinano le loro preghiere musicali: speriamo siano d'aiuto anche a noi!

La cuisine qui fait croque
Al mercato domenicale, troviamo le tanto agognate mele cannella! Trattasi di frutto simil guava, anche se per forma e consistenza ricorda le bitorzolute mele cotogne, venduto con un mix di zucchero, sale e peperoncino per accompagnarle. Un integratore perfetto per noi ciclisti che reidrata e alza la pressione. Troviamo anche, come gia' a Krabi, grilli, cicale e vari tipi di bacarozzo fritti: neppure mr. Tuffy osa tanto, di vermi ne ha gia' abbastanza dei suoi! In Madagascar avevamo gia' visto un libro che decantava la bonta' di cio' che venica definito: "La cucina croccante" con riferimento alla consistenza degli insetti cucinati.
Ci spostiamo poi nella storica Chaiya per visitare il suo famoso wat e vedere le sue case antiche in legno di tek; nell'hotel dove alloggiamo incontriamo un cicloturista di Oslo appena sbarcato e ancora rintronato causa fuso e caldo. Mentre lui porta in stanza la sua bici nuova fiammante, Ale ricostruisce con lo scotch da pacco marrone i suoi parafanghi. Nell'hotel anche un tedesco espatriato per fuggire, ci dice, all'istituzionalizzazione dei disabili che ci dice essere un problema in Germania.
Tappa successiva Lang Suan, dove vediamo tante case di tek splendide che a noi paiono piu' storiche della storica Chaiya. Qui incontriamo altri due cicloturisti, in giro dall'anno scorso, di Berna; stanno girando l'Eurasia prima in moto, poi in bici, poi ancora in moto (non amano le montagne nonostante siano svizzeri) e prediligono la cucina vegetariana. Per poter comunicare, hanno uno splendido dizionario senza parole, ma sole immagini che cercheremo in futuro perche' utilissimo. I nostri progressi con la lingua sono infatti scarsi a causa soprattutto dell'alfabeto che ci impedisce, come in Indonesia e Malesia, di appprendere cammin facendo, costringendoci ad usare l'unica frase utile e a ripetere le poche parole che, pronunciate da noi, i locals sembrano capire. Ci scambiamo alcune informazioni sulle rispettive mete opposte e ci salutiamo.
Qui cerchiamo per la prima volta un medico per la gamba di Ale, ma nelle parafarmacie (come ovunque) nessuno parla inglese e non guardano neppure il problema; il presidio medico e' preso d'assalto e non resterebbe che l'ospedale per animali. Rimandiamo al giorno dopo.
Dopo la fermata all'ospedale, raggiungiamo Chumphon, citta' usata dai turisti come porto d'imbarco per le isole li' davanti. Noi, invece, ci dedichiamo alle vicine spiagge belle e deserte e all'acquisto di ciabattine e nuove scarpe, visto che quelle usate/rubate sono troppo rigide per pedalare e si rischia la tendinite.
Il nostro viaggio e' proseguito, ma ora siamo circondati da ragazzini che vogliono giocare ai giochi on line e siamo costretti ad andare. Siamo a pochi km da Bangkok e riprenderemo da li' il nostro racconto.
Chiudiamo con un'errata corrige: siamo nell'anno 2552, un bel palindromo buddista.