giovedì 29 ottobre 2009

En suivant le Mekhong

Come gia' anticipato, prendiamo un bus da Luang Prabang per fare ritorno a Vientiane (giusta traslitterazione: Vieng Chan). Da li', riprendiamo a pedalare, ora in direzione sud, con a destra il Mekong e, al di la' del fiume, la Thailandia, mentre a sinistra la catena dei monti Annamiti e il Vietnam, vicinissimo, a un giorno di bici. Ora siamo fermi a Savannakhet a causa di un "guasto tecnico" legato al trasferimento in sawngthaew...
Immaginateci, ora, voltare le spalle al nord, allo splendore di L. P. e delle sue montagne. Immaginateci lasciare Vientiane in bici e prendere la R13. Immaginate di pedalare lungo il Mekong. Immaginate mr. Tuffy pedalare senza sellino!

Incidenti
Appuriamo in questi mesi di sud est asiatico che i galli sono stupidi quanto le galline, anche se solo queste sono il termine di paragone per il detto. I galli, infatti, ne' piu' ne' meno delle galline e di vario pollame, si tuffano tra i raggi di bici e moto e sotto le ruote delle auto invece che scappare o semplicemente stare fermi dove sono. E lo fanno cosi', inaspettatamente.
La strada tra L.P. e la capitale, a ritroso, non e' faticosa (in bus), ma solo lunga e pericolosa. Partiamo alle 7 e arriviamo alle 18. All'alba, uscendo con le nostre bici dall'hotel, vediamo decine di monaci in fila per la questua rituale. Uno spettacolo che attrae numerosi turisti da tutto il mondo. Dopo le prime salite, vediamo un camion precipitato da un tornante piu' sopra e volato, letteralmente, su un motorino, speriamo vuoto; il camion cisterna, e' completamente appiattito e deformato per l'impatto.
L'umore di tutti i passeggeri migliora solo grazie a una "squadra di prevenzione" che sale poco dopo per reclamizzare l'uso dei preservativi, con battute e canti. I passeggeri gradiscono, ridendo e tenendo il ritmo con le mani. Il team leader e' un anziano signore molto grintoso. Peccato non capire. La marca e' la Number 1, un preservativo distribuito da una ONG e dunque senza scopo di lucro. Meglio che cercare di rifilare padelle...
Poco dopo che il gruppo e' sceso, lasciando uno strascico di risate, un pick up lanciato a tutta velocita' su per la salita, in curva, perde aderenza e ci viene a sbattere contro, proprio a meta' del bus. Tanto spavento, pick up distrutto, ma nessun ferito. Aspetteremo pero' due ore, in curva, con il solito ramo a segnalare la presenza di veicoli fermi, che arrivino due poliziotti, in motorino, a prendere le misure e a stendere il verbale. Durante l'attesa, come tutti gli altri passeggeri, anche Ale sale e scende piu' volte dal bus e regolarmente va a sbattere contro lo specchietto retrovisore. La sera si contano quattro bernoccoli di cui uno con sangue: che gallo, Ale!
Arriviamo a Vientiane al tramonto e raggiungiamo l'hotel al buio.

Capperi!
Vi avvisiamo: in questo paragrafo parleremo di capperi di altre cose di cui forse non vorreste sentir parlare.
La capitale e' meglio di come ci era sembrata, ha molto da offrire, senza essere troppo caotica e vi si trovano prodotti (yogurt e marmellate favolose) introvabili nel resto del Laos grazie ai progetti del comercio equo-solidale. Un progetto e' in cantiere per rifare finalmente il lungo fiume, mentre fervono altrove i preparativi per abbellire la citta' in vista degli imminenti giochi del sud est asiatico (SEA games).
Noi come moltissimi altri, ci ritroviamo in coda al consolato thai per riottenere un nuovo visto. Siamo il numero 419 quando lo sportello segnala il numero 60: tiriamo fuori i dadi! L'attesa e ' meno lunga di quanto temessimo, ma il giorno dopo aspetteremo ancora per ritirare i passaporti vistati.
Anche da qui, decidiamo di spedire un pacco a casa. Gaia entra percio' nell'enorme edificio delle poste centrali dove viene accolta da uno selva di impiegati. Il posto e' un misto tra i nostri uffici statali negli anni '70, quelli francesi e i sovietici. Soprattutto, c'e' del sud est asiatico: un'impiegata allo sportello, gomito appoggiato al bancone, tiene fisso l'indice destro nella narice destra, a ravanare. Gaia la fissa affascinata, ma lei non recede dalla ricerca! Avere le informazioni e' un po' come essere nella casa della burocrazia de "Le 7 fatiche di Asterix". Qui non esistono i fazzoletti e per strada tutti sembrano dei calciatori durante la partita...
A proposito di frutti del nostro corpo (come canta Elio)... ammettiamolo: il ciclo mestruale ci fa compagnia, quando non da' troppi problemi, ci ricorda che il corpo ha un ritmo che e' quello della natura e che come tale va rispettato. Pero', capperi (!), Gaia sperava di essersi liberata degli assorbenti degli ani '80 che solo nella pubblicita' ti consentivano di volare e lanciarti dall'aereo, ma che in realta' ti andavano in mezzo alle chiappe e si staccavano costantemente dagli slip: beh, qui quei maledetti ci sono ancora. Qui, i bimbi non usano quasi i pannolini e le donne possono acquistarli in confezioni da 4 (?!?), che li fanno sembrare dei prodotti di lusso, ma che in realta' contengono dei superati assorbenti degli anni '80...

SEA 2009
Lasciamo Vieng Chan, imboccando l'avenue des baguettes ovvero uno stuolo di venditori di strada che occupano i primi km di R13 per vendere il mitico pane francese. In centro fatichi a trovarle e costano il doppio. Perche' siano tutti qui, e' per noi un mistero... la R13 riserva pero' altre sorprese: e' infatti per lunghisimi tratti in fase di rifacimento (in previsione dei giochi) cosi' ci toccano polvere, pietre, sterrato e buche. Quando finalmente usciamo dall'incubo, uno strano rumore accompagna la pedalata di Gaia; pensiamo si tratti del cappello di paglia che ha trovato per terra e che siccomee'ildestinochel'hamessosullasua strada, Gaia raccoglie e attacca alle borse. Invece bang! esplode il copertone. Giusto il giorno prima Ale si era rifiutato di acquistarne uno nuovo, profetizzando che avrebbe retto per altri 500 km...che gallo, Ale! Ne abbiamo pero' di scorta.
Sulla strada visitiamo il wat Phabat Phansane con uno stupa decorato con tantisimi animali, davvero originale e nel wat la sacra improntona (piu' di un metro) del Buddha! Se Ale fatica a trovare il suo 44... capiamo perche' Lui andasse a piedi nudi!
A pranzo, ci tocca una delle zuppe piu' stomachevoli di questo lungo viaggio; nonostante, come al solito, chiediamo una zuppa senza muu (maiale), onnipresente, ci arriva uno zuppone coperto di frataglie che fanno inorridire pure mr Tuffy, mentre Gaia rispedisce la sua al mittente chiedendo di asportare il materiale organico. Ale mangia a testa bassa, scartando pero' la busecca... il colore della zuppa e' rosso sangue di bue. Al mercato vicino vediamo prendere le tartarughe vive con le pinze e metterle in un pentolone...
Gaia ribattezza tutto cio' che abbia forma vagamente sferica, dal contenuto poco chiaro e che occhieggia da una bancarella o dal piatto di Tuffy: "palla di pelo del Mekong".
Dormiamo a Thabok e quindi a Paksane, dove il mercato e' pieno di prodotti thai e c'e' un internet point (l'unico) in un garage su palafitta, scricchiolante, traballante, polveroso e pieno di ragnatele; il software e' cinese e i pc miracolosamente funzionano.
Da Paksane raggiungiamo Namthone, un paese un po' "pulcioso", cosi' come la guesthouse dove dormiamo, sebbene di pulci, fortunatamente, non ce ne siano.
La strada e' monotona fino alla confluenza del Nam Kading con il Mekong. Il punto e' meraviglioso, sia per il paesaggio a monte che per lo strano contrasto tra le acque limacciose del Mekong e quelle limpide del Kading. L'effetto ottico e' quello di un fiume che sbatte sulla spiaggia. Qui la strada segue il Kading per qualche km e la zona protetta che lo circonda dove c'e' infatti anche la sede della World Conservation Society. Una meraviglia. Questa zona e' quella dove c'e' la maggior concentrazione di animali selvatici anche in via di estinzione del sud est asiatico. A differenza delle montagne del nord, dove c'e' un silenzio assordante causato dalla fame che ha fatto si' che tutti gli animali, anche i piu' rari, finissero nelle pentole dei poveri paesani, qui ancora se ne possono trovare, mentre gli uccelli volano nel cielo senza timore di essere abbattuti: non ci sentiamo piu' soli (la mattina dopo Gaia ritrovera' dopo tanto tempo una ranocchietta nella sua scarpa!). Le farfalle, invece, sono una costante, sono l'unico essere che evidentemente e' stato risparmiato dai morsi della fame e ne siamo sempre circondati dal nostro ingresso in Laos. Sono di tutte le forme, dimensioni e colori, come i pappagallini in Australia. Un mondo in cui ci sono farfalle, pappagalli e il canto del kukaburra e' un mondo in cui certamente si sta meglio.
In mezzo a questa natura ancora non distrutta dalle dighe (c'e' di mezzo anche l'italiana CMC di Ravenna) in progetto qui in Laos, il sellino di Ale si rompe. Viene riparato come possibile, giusto per non fare la fine del ragionier Fantozzi...
E' un tripudio di nascite, adesso, il Laos: bufalini, caprettini, vitellini, gattini, cagnolini, esserini umani. E' finita la stagione delle pioggie e il ritmo della natura da spazio alla nuova vita. Tutte le mamme, umane e non, allattano i propri cuccioli.
Lasciamo la pianura, per salire ancora una volta le montagne, per l'ennesima deviazione, questa volta sulla R8 che ci porta a Na Hin ad 80 km ca. dal Vietnam. La strada e' spettacolare, sembra di entrare in un quadro di Turner, non tanto per il soggetto rappresentato, quanto per la relazione tra essere umano e natura, in cui il primo ridiviene parte di quella natura della quale fa parte di per se', ma dalla quale e' tanto spesso alieno. Qui e' lei a farla da padrone e ci sente ominidi insignificanti.
Raggiunto il punto piu' alto, uno spledido belvedere ci consente di riposare ammirando la vallata e i pinnacoli di roccia calcarea che, affilatissimi e dalle forme piu' strane, somigliano a dei gargoyles. Il paese di Na Hin ci serve come base per andare alla scoperta della famosa grotta di Kong Lor. La strada per raggiungerla attraversa una vallata coltivata circondata da una catena montuosa posta ad anfiteatro. Il posto e' di quelli che meritano il viaggio, un luogo raro al mondo dove su una piroga si attraversa un fiume sotterraneo per 7 km sotto un'enorme galleria naturale, tra stalagmiti e stalattiti, che raggiunge in alcuni punti i 100 metri di larghezza. Occorre guadare a piedi nei punti dove piccole rapide impediscono alla piroga di andare contro corrrente. Dall'altra parte, un'ansa del fiume crea un piccolo lago verde in mezzo alla fitta vegetazione.
Purtroppo, condiviamo quest'esperienza unica con un inglese reduce da Vang Vieng, con tanto di abrasioni e occhio pesto per essersi tuffato ubriaco nel fiume. Parla in maniera sconclusionata e sembra soto l'effetto di qualche sostanza. Gaia che non tollera i trentenni adolescenti, alla sua domanda se ci siano animali pericolosi li dentro (precisa: coccodrilli, squali...) risponde: "Si, tu!". Ale fa il bagno nel tratto di fiume antistante l'ingresso della grotta. Veniamo anche invitati a bere da una comitiva di laotiani di ritorno dal lavoro nei campi.
Il mattino successivo, la tappa termina alle 7.35, quando ad Ale nel tentativo di sistemare il sellino rotto resta in mano la vite di accciaio di 5 mm di diametro che fissa la sella al tubo.
Decidiamo percio' di prendere un sawngthaew (una sorta di Ape Piaggio formato gigante con due panche, per il trasporto di persone e cose per tratti medio-brevi) alla volta di Thakhek. Ale, infatti, non puo' far altro che stare in piedi sui pedali, come i veri grimpeurs...
Qui troviamo una vite e un sellino semi usato e leggermente meglio di quelli da Graziella che ci sono in giro. Cosi' possiamo continuare a pedalare, Ale con un po' piu' di problemi al fondoschiena!
Del viaggio in sawngthaew diremo che: c'e' posto per tutto e tutti, o quasi; vengono imbarcate, oltre alle nostre bici, vari tipi di derrate, dal riso al carbone; alcuni viaggiano attaccati fuori, altri masticano noci di betel, sputando poi la saliva rossa in un sacchetto trasparente, proprio davanti a noi. Questo, come le bottiglie di plastica, viene poi lanciato fuori dal mezzo, come gia' a Sumatra. Ci si libera la vescica, quando ci sono fermate con passeggeri lenti. Viene rifiutata una malata causa mancanza di posto adeguato. Due masochiste/contorsioniste fanno il viaggio nell'esiguo spazio dietro il posto guida, con le gambe in bocca.

Sabadi'!
In questa zona, il centro del Laos, per qualunque genere di consumo, l'economia sembra dipendere dall'importazione dalla Thailandia. Grandi camion attraversano il Laos, si dirigono in Cina o in Vietnam e viceversa, trasportando e scaricando lungo la strada ogni genere di prodotto. Degli yogurt, delle marmellate e del caffe' equosolidale laotiano trovati a L.P. e Vientiane non c'e' piu' traccia. Le strade peggiorano notevolmente e ricordano a tratti grattugie. Nella zona di Thakhek, seguiamo la R12 che si snoda tra le falesie, come la R8, per deviare poi su un lungo sterrato che ci conduce alla grotta Tham Pha Ba (anche se sui cartelli stradali il nome sembra essere scritto in alfabeto farfallino...), recentemente scoperta da un cacciatore di pipistrelli e contenente 229 statuette di bronzo del Buddha di tutte le dimensioni dei primi secoli d.C. Passiamo vicino a varie pozze dove fare il bagno, ma in una di queste sguazzano tre serpentelli, facendoci cambiare idea.
La citta' e' disseminata dalle vestigia coloniali della dominazione francese, alcune in rovina, altre ben ristrutturate. Una di queste e' uno splendido hotel-resto' dove non dormiamo, ma Ale mangia il calamaro gigante del Mekong e Gaia un curry giallo (qui sono anche rossi e verdi) a base di cocco e, finalmente, la mitica insalata di papaya verde, che non osiamo mangiare dai venditori di strada in quanto cruda. Buonissimi!
Nella tappa sucessiva, copriamo i facili 132 km che ci separano da Savannakhet, pianura a grattugia, a parte il tratto finale super liscio, dove raggiungiamo velocita' insperate superando piu' volte (a piu' di 40 km/h) i nostri amati trattorini a trasmissione lunga, i dok dok.
Lungo la strada, faciamo sosta da un venditore di pomeli, la cui attivita' principale e pero' quella di saldatore/pulitore di argento, che non disdegna nemmeno i piccoli lavori di sartoria e che ci parla in inglese: altro che i nostri manager multitasking!
Savannakhet ci delude un po', ma anche qui ci sono splendidi edifici ex coloniali, case cinesi tipo shophouse e qualche edificio art deco'. Ci appare un po' spenta e spettrale e la sera ci sono pochissime luci e fatichiamo a trovare un ristorante aperto. Ma una zuppa qui non te la nega nessuno: molte case si aprono sulla via e vendono le semplici zuppe che caratterizzano la cucina laotiana. Il mercato centrale pullula invece di vita e di prodotti, sempre pero' thai (qui c'e il secondo Ponte dell'Amicizia...). Nonostante la citta' non invogli a restare, la gola di Ale infiammata a causa della "gita" in Ape Piaggio, ci obbliga a sostare piu' di quanto vogliamo a sopportare il raffredorone del Tuffy.
Nelle vicinanze c'e' l'antico stupa That Inhang, un'interessante commistione indo-buddhista di stile khmer-laotiano, in un piacevole contesto bucolico.

Struttura e sovrastruttura
Un ultimo omaggio va fatto alle donne di qui, ma soprattutto a quelle del mercato di L.P. che, instancabili, preparano e spreparano le bancarelle, piegano e ripiegano tutti i prodotti, attendono pazientemente i clienti che non arrivano, a volte, mai per poche ore, nel frattempo allattando piccoli o preparando altri manufatti da vendere; donne che a volte sono piccole donne che, anziche' giocare a fare come se io ero la commessa, la venditrice la fanno davvero anche se hanno 8/9 anni, magari col fratellino sulla schiena; quelle stesse bimbe che gia' in montagna portano gerle colme di legna sulle spalle, ma che lo stesso hanno la voglia di sorridere e salutare i falang in bicicletta urlando il loro: "Sabadi!". Donne anziane che ne hanno viste tante, anche loro costrette a continuare a lavorare anziche' godersi il meritato riposo della vecchiaia, costrette a stare in un mercato a vendere prodotti senza nemmeno saper dire quanto costano in una lingua che non e' la loro, ma quella del commercio che le dovrebbe sostentare. Vecchine che gli compreresti tutto, per i bei visi che hanno, vecchine anche loro, spesso, con i nuovi nati sulle spalle...

Da qualche tempo a questa parte, quando la fatica si fa sentire di piu', Gaia ha un sogno ad occhi aperti che coniuga il desiderio di un letto comodo a quello di un riposo prolungato: il sogno e' quello, molto borghese e contingente, di poter proseguire il viaggio, novella Ali' Baba', su di un ... materasso volante. Un mezzo ad impatto zero e che al contempo consenta una visione a volo d'uccello, lenta e il piu' naturale possibile... Gaia si immagina sdraiata su un fianco come il Buddha, con una mano a sostenere il capo e lo sguardo un po' ebete. Sara' forse che l'eta' avanza e che ha avvistato su una tempia il primo (di cui lei sia a conoscenza) capello bianco?
Ale, che di capelli bianchi ne ha tanti e da tanto tempo, da qualche tempo fa i sogni (veri!) a macchie. Lasciando stare quelle famose di Rorschach, i soggetti dei sogni piu' che la forma reale ne conservano la sagoma e i colori... eppure non stiamo assumendo nessun farmaco!

Domani da qui dovremo poter partire per tentare di raggiungere il sud del Laos e il nuovo obiettivo-chimera: i mitici delfini dell'Irrawedi...

sabato 17 ottobre 2009

La Cina e' vicina

Dopo un po' di riposo e il massaggio thai a Nong Khai, siamo entrati in territorio laotiano.
A Vientiane abbiamo steso un mini itinerario. Ale voleva andare a sud, cosi' come previsto da mesi; Gaia non voleva perdersi Luang Prabang a nord. Ale ha proposto una separazione momentanea, Gaia una mediazione: tutti a Luang Prabang!
E cosi' eccoci a Luang Prabang, a un giorno di viaggio con mezzo motorizzato dal confine cinese, tre giorni in bici. La tentazione e' forte, Ale vagheggia Pechino, la Transiberiana... ma quello e' un'altro viaggio.
Diremo solo che questa deviazione di circa 400 km ci e' costata "lacrime e sudore" ma, come spesso ci e' capitato, ne valeva la pena!

Cementiamo l'amicizia
L'ultimo incomprensibile scambio di battute in terra Thai e' avvenuto nel parcheggio di un supermercato: i soliti locals si avvicinano attratti dalle nostre bici, una signora si siede sul portapacchi di Ale mentre sta per partire e ride sotto lo sguardo incredulo dello stesso. La bici si imbizzarrisce sotto il peso della signora e la comitiva ride. A questo punto un signore del gruppo tocca la gomma ed esclama rivolgendosi ad Ale: "Lek, lek?!?" Tutti si fanno una grassa risata.
La strada che porta al Ponte dell'Amicizia che unisce la Thailandia al Laos e' breve e anche le formalita' doganali: in un attimo abbiamo visto e via libera per poter passare il ponte sul Mekong con e sulle nostre bici, nonostante il divieto segnalato da un cartello. E' emozionante, sia per la valenza simbolica, sia per la vista e il paesaggio che si godono dal ponte: vorremmo fermarci ma non osiamo tanto.
I due stati hanno deciso di sancire la fine delle tensioni da guerra fredda, costruendo tre ponti (dell'amicizia, appunto) sul Mekong che ora li uniscono.
Arrivare a Vientiane e' semplice, anche se non vediamo mai nessuna segnalazione per la capitale. All'ingresso, fermi ad un semaforo, siamo approcciatri da un emigrato in Michigan, anche lui cicloturista, che ci propone di andare insieme a Luang Prabang. Siamo un po' disorientati e non abbiamo ancora in mente la nostra agenda; dopo averci fotografato ripetutamente, ci lascia il suo numero locale di cellulare. Non riusciremo a ricontattarlo.
La citta' e' cosmopolita, ma ci appare piu' piccola di quanto forse non sia. Notiamo una forte presenza di turisti ed internazionali impegnati in vari tipi di missione.
Decidiamo di ripartire subito e di esplorarala al nostro ritorno dal nord.

Verso nord
Velocemente, arriviamo a Phon Hong, la prima tappa in direzione L.P. Pur nella sua brevita', abbiamo il tempo di notare alcuni netti cambiamenti. Come direbbe Lapalisse, il Laos non e' la Thailandia.
Ritorniamo, dopo 9 mesi, alla guida a destra, Ale e ' frastornato e piu' volte imbocca la via dalla parte sbagliata, il cervellino semplice di Gaia apprezza immeditamente.
Passiamo da una lingua tonale a 4 toni (in cui la stessa parola, a seconda del tono utilizzato, assume 4 significati diversi!), ad una tonale a 6 toni! Nonostante questo, la comunicazione con i laotiani ci pare da subito piu' facile. Anche i cartelli sono molto di piu' in alfabeto latino a causa della colonizzazione francese che ha lasciato nei piu' vecchi anche la lingua, mentre i piu' giovani o quelli che non avevano imparato il francese, parlano la lingua dei nuovi coloni: l'inglese dei turisti. Da farang che eravamo in Thailandia (straniero bianco), diventiamo falang.
La raccolta della pattumiera, anche lei, somiglia piu' a quella indonesiana che a quella del vicino.
I cani, come per incanto, da cattivissimi e abbaianti, diventano buoni: fin'ora nessun cane ci ha abbaiato mai!! Quelli che vediamo sono poi molto ben tenuti, nonostante il livello della vita sia piu' basso. Fanno la loro ricomparsa i gatti coda mozza lasciati in Malesia e visti raramente gia' a partire dal sud della Thailandia.
Scompaiono quasi completamente i distributori di benzina che punteggiano le strade thai e anche l'asfalto cambia notevolmente di qualita', cosiccome il traffico diminuisce.
Non ci sono cartelli stradaIi, al loro posto solo pietre miliari consunte indicano, a turno, ora una destinazione, ora un'altra, probabilmente per "ottimizzare".
Il cibo di strada praticamente scompare, per non parlare dei dolci, in strada e non solo: si prospetta dieta ferrea e assenza di dolcezza... La prima sera, al posto del nostro solito dolce, siamo costretti a ripiegare su dei crackers all'alga.
Mentre ceniamo, a Phon Hong possiamo vedere come e' lecito lavare qui i bimbi piccoli: catinone a bordo strada, si spogliano nudi, li si fa sedere nel catinone di metallo e con la canna (acqua, ovviamente fredda) li si innaffia. Poi uno dei due bimbi, viene sollevato dal catinone e posto in un vaso per fiori di loto usato come lavandino e risciacquato sotto un rubinetto. I bimbi paiono, comunque gradire.

Vang Vieng
Il giorno dopo, raggiungiamo la cittadina di Vang Vieng, dove passiamo due notti anche per onorare la bellezza del luogo e della stanza dove soggioniamo, dopo i tanti posti senza interesse dove spesso dobbiamo pernottare. Anche questa e' una citta' sul fiume, posta al centro di un insieme di colline meravigliose con caverne e falesie. Anche qui, come altrove, veniamo salutati lungo la strada, ma quasi solo dai bambini; gli adulti ci sembrano un po' spenti, forse dalla "dittatura dolce", forse dalla guerra sporca statunitense, forse da entrambe le cose.
Lungo il tragitto, attraversiamo un paese interamente dedito al pesce secco, di fiume: bancarelle si susseguono senza fine, proponendo pesce secco in ogni forma. Noi, ci buttiamo sulla frutta, ma qui sembra essere solo stagione di pomelo e banane. Passiamo campi dove, a mano, contadini che sembrano usciti dalle foto degli opuscoli turistici, tagliano il riso davvero, con i loro cappelli di paglia a forma di cono e la falce. Lungo la strada ci sono anche tantissime bandiere laotiane e molte bandiere rosse con la falce e il martello, a ricordarci dove siamo.
Nonostante le numerose attrattive naturali, Vang Vieng e' purtroppo diventata soprattutto una sorta di divertimentificio, dove sui menu' di alcuni ristoranti compaiono numerose droghe e dove girano senza vergogna, come fossero in casa loro, numerosi occidentali (di entrambe i sessi) seminudi, alcuni con le sole mutande. Questi personaggi, che vagano sempre ubriachi per le vie, ci chiediamo cosa cerchino qui e che ricordi avranno del Laos. E' sempre per loro che vengono offerte attivita' ad alta adrenalina che spesso, sembra, si concludono con incidenti fatali. Il paese e' cosi' diviso tra un'area fuori dalle regole, dove si urla fino a notte tarda, e quella meravigliosamente tranquilla e piacevole degli altri turisti "normali".
La nostra gita ad una caverna (Tham Phou Kham), ci fa percorrere una strada sterrata dove, al posto dei taxi collettivi genere Apecar, il servizio e' svolto da trattorini con rimorchio tipo carro di legno con un lunghissimo albero di trasmissione (2 metri ca.), come le long tail boat thai.

Inizia la salita!
Pochi km dopo l'uscita da Vang Vieng, la strada si inerpica tra le falesie di pietra calcarea che sembrano castelli di sabbia modellati dai bimbi sul bagnasciuga. Sono ricoperte di foresta, con alberi anche giganteschi e le nubi che giocano ad appiattirsi nei fondovalle: il paesaggio e' fatato.
In questi primi giorni di Laos, incontriamo 4 coppie di cicloturisti, non tutti simpatici, ma tutti sembrano sfoggiare grande sicurezza lontano dalle montagne. Il primo giorno di montagne, le salite ci sembrano gia' dure. Le prime due coppie che incontriamo, provenienti da nord, non ci dicono pero' nulla di particolare riguardo il proseguo del percorso. La terza coppia, lui di Chicago, lei del Minnesota, accennano alle "few hills" che ci attendono in direzione L.P. Restano vaghi rispetto al loro itinerario futuro e passato.
Prima del nostro stop notturno, incontriamo una coppia di neozelandesi che ci raccontano di essere reduci da 8 giorni di infezione intestinale che li ha molto debilitati e di avere percio' deciso di prendere il bus per saltare le montagne che ci attendono. Lui mostra ad Ale una cartina con l'altimetria e le pendenze del successivo tratto di strada e iniziamo a renderci conto precisamente cio' che ci aspetta: ad esempio, i 900 metri di dislivello in 25 km. E questo sara' solo l'antipasto.
Per questo, decidiamo, avendo gia' percorso in salita piu' di 80 km, di fermarci proprio li' dove siamo, in una guesthouse-ristorante in mezzo ai bricchi. Questi ragazzi, sono gli unici che, pur avendo fatto la strada solo in bus, ci dicono che le salite sono terribili.
I due ragazzi ci raccontano poi di aver pedalato in Borneo, a Sumatra, di essere passati dalla costa est della Malesia al Laos. Forse, come i gatti dalla coda mozza, han trovato un modo per saltare la Thailandia! Siamo troppo stanchi tutti e 4 per andare avanti a parlare dei rispetivi itinerari e ci congediamo, rassicurandoli che la strada, ormai alle nostre spalle, per loro sara' in discesa.
Dormiamo in un piccolossimo bungalow, dove dobbiamo condividere il bagno con due ragni da competizione australiana; inoltre, due simpatici geki sul soffitto lasciano cadere le loro copiose deiezioni su di noi: la notte dormiamo solo grazie alla zanzariera che fa da protezione psicologica e non solo, usando il piumino a disposizione, vista la temperatura molto bassa.
Il giorno dopo, riprendiamo con una discesa di pochi km, prima della salita interminabile di 17 km che ci portera' intorno ai 2000 metri. Il paese che raggiungiamo e' lo snodo viario per il Vietnam, a destra, mentre noi proseguiamo a sinistra in direzione Cina. Lungo le pendici delle montagne, avvistiamo solo le poche persone che le abitano, attraversando i loro poverissimi villaggi.
Dopo esserci rifocillati con banane fritte, frittelle di mais, pomeli, una scatola di biscotti e l'ottimo caffe' laotiano, sapendo che non c'e' quasi nulla tra noi e la successiva fermata, Kiew Ka Cham, ripartiamo gia' provati. La strada prosegue solo o in salita o in discesa, gli oltre 250 km che separano Vang Vieng da L.P. prevedono non piu' di tre km di piano. Anche il paesaggio subisce mutazioni continue, dalle falesie passa alle montagne piu' massiccie, meno ricche di foresta, a cespugli stile macchia mediterranea, per ritornare poi ad essere piu' coltivato. La situazione di alcuni villaggi appare miserevole come quelle di certe zona di Sumatra, con case di bambu' e terra battuta intorno, gli abitanti costretti a lavarsi solo nei fiumi o alla fontana, quando c'e' grazie a qualche progetto di questa o quella ONG. Potremmo essere in un villaggio medioevale.
Ancora indonesiana, appare la situazione scolastica: bimbi che non vanno a scuola e bimbi che escono molto presto da scuola. Bimbi che lavorano. Le divise, pero', soprattutto quelle femminili, sono elegantissime: la gonna tradizionale e una camicia bianca.
Oltre al solito pollame, circola ben poco: mano a mano che ci si addentra nel cuore di questa zona, la poverta' cresce e spariscono anche i pochi animali domestici che usualmente accompagnano la vita contadina. Vediamo adulti senza incisivi, come in Madagascar, a causa della malnutrizione. Queste sono anche le zone una volta abitate dall'etnia Hmong che a causa del sostegno agli americani durante il conflitto in Vietnam, e' stata cacciata nei boschi e percio' costetta a sopravvivere come ai tempi dell'eta' della pietra. Ora si sono reinsediati nelle antiche aeree, ma la poverta e' notevole. Vediamo pero' donne ancora con gli antichi, bellissimi, costumi tradizonali.
Arriviamo a destinazione sfatti, dopo che, nell'ultima, ennesima, salita, sfrecciano in direzione opposta, tantissime scolare, probabilmente uscite dall'ultimo turno. Ci sorridono e salutano, velocissime, volando con le loro bici. Un'immagine che ci scalda il cuore e ci da energie sufficienti per arrivare in vetta, dove ci attende una guesthouse che e' una delle topaie piu' topaie mai incontrate nella nostra vita: solo in India, in un paio di occasioni, forse, abbiamo dormito in un posto cosi'!
Pochissime le macchine che incontriamo tra le montagne, qualche minivan nuovissimo trasporta turisti, qualche altro mezzo di trasporto piu' o meno omologato come "automezzo" trasporta locals, qualche camion diretto in Cina e ...nessun cicloturista!
Uno di questi nuovi van, da cui scende un gruppo di turisti thai per la pausa pomeridiana, si ferma proprio davanti a noi; increduli, i thai ci fotografano e riprendono e ci chiedono da dove abbiamo pedalato, commentando tra loro. Saremo sull'album virtuale delle vacanze laotiane di uno di loro.

Arrivo in discesa
La mattina dopo, sono 20 km di discesa, tra la nebbia fitta e il freddo-umido (che ci obbligano a fermarci ogni ca. 5 km per sgranchire le mani che devono frenare in continuazione), seguiti da 22 km di salita. Oltre al restante kilometraggio che ci aspetta per giungere, infine, a LP!
Appena scollinato, c'e' una sorta di baracca-caffe' con una vista meravigliosa sulla vallata incisa dal fiume Nam Khon, che entra nel Mekong prorpio a L.P.: giu', molto giu', c'e' il paese di Xieng Ngeun, dove ci fermiamo poi per pranzare con un'ottima zuppa, prima degli ultimi km, fortunatamene non impegnativi.
Dopo un'ultima salitina inaspettatamente ripida, ci sono gli ultimi 5 km di discesa facile che ci portano a destinazione.
Questi 400 km, tra Vientiane e Luang Prabang, ne valgono 1000 per la durezza della catena montuosa tra qui e Vang Vieng, ma siamo orgogliosi di averli pedalati! Tra le montagne, irte, da tappa pirenaica, non abbiamo incontrato nessun cicloturista e questo ci fa sospettare qualcosa...di certo, solo un giapponese, un giorno prima di noi, le ha pedalate in questi giorni.
Dato che non torniamo in Italia in sella alle bici (impiegheremmo troppo e i sensi di colpa e gli affetti essendo troppo forti), torneremo nella capitale in bus anche noi, per proseguire il nostro viagggio questa volta verso sud.
Ad eccezione della parentesi in alta quota, qui fa caldo, ma il cielo, a differenza di quello thai, e' sempre limpido perche' la stagione delle pioggie sembra essere passata.
Luang Prabang, citta' patrimonio mondiale UNESCO, e' una meraviglia, pure lei, un gioiello incastonato tra le montagne e posta alla confluenza di due fiumi, di cui uno, il Mekong, di per se' mitico.
I suoi templi sono caratteristici, ben conservati o appena restaurati, le case coloniali e tradizionali si susseguono, cosiccome le sue vie di pave' e sono in vendita le miriadi di oggetti dell'artigianato tradizionale delle mille etnie che abitano queste zone, in particolare sete e cotoni. Per noi mancherebbe solo una passeggiata lungo fiume, come a Melacca, ma stare qui 3 giorni e' stato davvero rilassante (le ginocchia, invece, urlano ancora vendetta!). La cascata visitata oggi (Tam Sae) compete per bellezza con quella vista a Kantchanaburi. Farsi il bagno e' rinfrescante e ripaga della fatica che si fa per raggiungere qualsiasi posto nei paraggi!

L'attesa per la sorte della coop continua...il Comune ha rimandato di una settimana la sua decisione.

mercoledì 7 ottobre 2009

E in mezzo scorre il fiume

Siamo finalmente giunti a Nong Khai, cittadina al confine con il Laos dove il confine e' il maestoso Mekong, un fiume il cui nome pensavamo di continuare solo a leggere sulle cartine e che invece e' qui, di fronte a noi. Da una parte la Thailandia, in mezzo il fiume, dall'altra parte, visibile dalla finestra della maggior parte delle pensioni, il Laos.
Arrivare e' stato davvero un'emozione. Proprio un posto carino dove riposare, Nong Khai...ed e' qui che, infatti, ci siamo finalmente concessi un rinomato massaggio thai!
Siamo in attesa di passare il famoso Ponte dell'amicizia, uno dei tre costruiti sul Mekong, che unisce i due stati. Ma l'attesa principale non e' questa: il 15 c.m. il Comune di Milano dara' la risposta alla cooperativa in merito a quali rapporti resteranno attivi nel prossimo futuro...

C'era una volta un re...
Non ne abbiamo parlato tanto, ma il re, forse questo in particolare (Rama IX), e' l'idolo nazionale. Le sue foto e quelle della sua reale consorte, sono ovunque. Molte sono foto di gioventu' che lo vedono impegnato, come tutti i bravi re, nelle piu' disparate attivita': agricoltura, industria, educazione, cultura. Questo re e' stato promotore di molte iniziative sociali e culturali. Molte altre foto riguardano la sua esperienza come monaco: come ogni buddista che si rispetti, anche lui ha fatto il suo periodo di noviziato. In quasi tutte le foto, il re ha pero' la faccia triste, raramente sorride, mentre la moglie sfoggia sempre bellissimi sorrisi thai. Nel periodo da monaco, le foto hanno addirittura un che di inquietante: il re, in saio color zafferano, indossa sempre degli occhiali scuri che lo fanno sembrare un militare golpista. Ma sono le foto piu' recenti, quelle di un re ormai vecchio, che fanno piu' pena: appare visibilmente sofferente, forse ha una qualche malattia degenerativa, fatto sta che il paragone con la moglie e' ancora piu' stridente. I figli raramente compaiono, ma sono bruttarelli, tipo sorellastre di Cenerentola (ovviamente sara' il maschio a succedergli). La sorella e' invece un'attivissima donna dal bel volto che tutte le volte che vediamo un tg fa qualcosa da qualche parte, occupandosi soprattutto di promozione della cultura e delle tradizioni thai.
La real foto, come gia' detto ubiqua, alla quale siamo piu' affezionati e' quella che si faceva largo, in un ristorantino, sulla stessa parete tra un'immagine sacra (del Buddha), un calendario per camionisti, un poster semi porno di donna discinta e quello di una nota marca di birra.
Per noi, a causa dei suoi gusti, restera' sempre e soltanto re Carciofo!

Quel gusto western: Ayutthaya-Muak Lek
La notte piove tantissimo, partiamo che tutto e' bagnato e il cielo coperto. La strada e' tra le risaie, tra stormi di cicogne che si spaventano al nostro passaggio e volano via. Moltissime buche, canali esondati, fango. Gli auspici sono pessimi: Ratatouille spiaccicato per terra, stavolta e, a qualche metro da noi, un bel cane investito in pieno da un pick up. Per fortuna muore sul colpo. Noi per non vederlo, preferiamo attraversare la strada e procedere contromano, struzzi di sensibilita'. Il sole si affaccia tra le nuvole e nelle ore piu' calde si fa poi largo definitivamente a testate. Partiti senza crema solare, arriviamo scottati! A circa 40 km dalla meta (ma noi pensavamo ne mancassero 25), ci fermiamo ad una bancarella, una delle rarissime oggi, ad acquistare cachi (la varieta' persiana dura che si trova qui). Si ferma anche un signore, in tenuta da golf, pick up vuoto, per guardare la merce. Si rivolge a noi, in inglese, chiedendoci dove siamo diretti; rispondiamo: "Muak Lek" e lui entusiasta: "Anch'io vado a Muak Lek!". Il nostro sguardo va dai suoi occhi al pick up vuoto (grande che ci stanno bici, noi, le borse e ce n'e' d'avanzo) ed esclamiamo: "Ahh!". Lui sorride, non acquista niente, ci augura buon viaggio e tentennante riparte. O golfista, tu che ti muovi sul green in trattorino, tu che sai che mancano 40 km a Muak Lek e che la strada e' un inferno, con cementifici e camion che si susseguono, tu che sai che ci sono piu' di 6 km di salita giusto prima di Muak Lek. O golfista col pick up vuoto perche' ci dici che anche tu vai a Muak Lek se non ci offri un passaggio?
Infatti, dopo la pausa pranzo il paesaggio cambia drasticamente, si vedono le montagne e sulla nostra sinistra, dalla parte dove pedaliamo, iniziano a comparire dei mostri altissimi: siamo arrivati ad una zona superindustriale e non un'industria qualsiasi, ma il complesso fantozziano megagalattico dei cementifici Siam City cement pubblic co. Simbolo, che sembra uscito da un fumetto di Batman, come il nome, e' una testa d'aquila antipatica, pronta probabilmente a gettarsi su qualsiasi cosa sia cementificabile, in terra thai e non solo...c'e' anche uno svincolo assurdo, targato Siam City e anche una diga, poco oltre: chissa' chi c'e' dietro. Pedaliamo gli ultimi km in salita incolonnati tra camion stracarichi che procedono lenti quanto noi, a volte anche meno, visto che li superiamo. La citta' dove finiamo e', chissa' perche', sede di un annuale Country Festival. Vediamo anche due spaesanti steak house e un villaggio finto vecchio West con tanto di tepee indiano. Pure l'hotel in cui finiamo, sull'autostrada, e' in stile old, wild West: anzi, e' una vera topaia western! In questo pezzo di paesaggio, ci chiediamo cosa ci faccia un'impresa Danish-Thai di mucche da latte!

Vita da cani: Muak Lek-Sung Noen
La salita non e' ancora finita, la mattina, Ale stacca Gaia e arriva in cima. Quasi in cima, passa accanto a un pit bull che sbadiglia e si accuccia. La prassi di aspettare Gaia in caso ci siano cani, viene percio' accantonata. Gaia riconosce, controsole, la sagoma del pitbull, ma anche a lei pare tranquillo e prosegue lentamente, spostandosi solo un po' piu' a destra. Quasi passata il cane, la bestia si alza e fa scattare la poderosa mascella, mancando la gamba di Gaia (scientemente?) che lei comunque alza immantinente. I secondi che seguono sono convulsi, Gaia urla, scende dalla bici e una donna arriva in motorino e richiama l'animale che pero' ha gia' morso la cinghia della sacca. Gaia piange dallo spavento e da allora gira con un buco di dente di pitbull sulla sua borsa. Ale da lontano non si accorge di nulla, ma la vede arrivare spingendo la bici.
Come gia' accennato, sulla strada i cani, abbandonati, selvatici o solo nullafacenti che ci abbaiano e ricorrono, sono tanti. La situazione dei cani in Thailandia e' brutta e si capisce che abbiano da ridire, povere bestie: malati di cimurro, filariosi, rogna o magrissimi per la fame, fanno spesso pena. Ma quasi sempre trovano la forza quantomeno di abbaiarci contro. La situazione degli animali e' specchio di quella degli umani: esseri liberi, di per se' non e' positivo. Non avere la catena non produce di per se' benessere. Alla liberta' di (muoversi, comunicare, fare) deve sempre essere accompagnata la liberta' da (dalla fame, dalle malattie, dalla paura). Cosi' per gli esseri umani, cosi' per le bestie. Altrimenti non si danno esseri, umani e non, felici.
Ci riprendiamo dallo spavento con dei buonissimi pomeli scelti con cura da una simpatica coppia di venditori di strada, che ci fanno spazio all'ombra della loro baracchina.
Il paesaggio prosegue, con tratti magnifici di collina, un lago artificiale lunghissimo punteggiato di ristorantini con vista e il misterioso Buddha park (un parco a tema?). Forse lo sbeffeggiare gli idoli locali ci procura una foratura nei pressi di una zona di bancarelle delle statuette in gesso et simili piu' disparate. Due per tutte: galli e buddha. Siamo costretti ad usare una di queste come appoggio per cambiare la camera d'aria.
La particolarita' dell'hotel di oggi non e' certo quella di essere sull'autostrada, bensi' il suo bagno. Annesso al balconcino e non direttamente accessibile dalla stanza, e' opera di un architetto pazzo: molto piccolo, ha la doccia di fronte alla porta e il wc e il lavandino completamenti attaccati, a destra dell'ingresso, in modo che il lavandino sia rivolto verso il wc e risulti pertanto inutilizzabile. Per scherno, c'e' anche lo specchio sopra il lavandino, ma l'unico modo per potercisi vedere e' salire sul wc!
La giornata si chiude com'era iniziata: questa volta e' il branco di oche dell'hotel, a sferrare un attacco ai due ciclisti, al loro rientro. Va detto peraltro che le povere bestie hanno come sempre le loro ragioni: il ristorante dove mangiamo ha tra le specialita' oca e anatra e lo si capisce perche' sull'insegna campeggia, insieme ad un'oca...Paolino Paperino!!!!

Monsoon wetting: Sung Noen-Phimai
(No, non e' un errore di scrittura: il titolo vuole essere un omaggio al matrimonio di Viviana da poco celebrato, ma anche ricordare l'acqua che abbiamo preso in questi giorni).
Questa mattina, Gaia non indossa nemmeno le calze: piove gia' cosi' tanto alla partenza che decide che e' inutile. Alla pioggia sottile si alterna pioggia fitta, e' la coda del tifone che si sta abbattendo, scopriamo poi, nel sud della Thailandia, Suratthani in particolare.
Quando piove cosi' tanto, e' buona cosa avere una meta, un posto dove sai che troverai da dormire. Il viaggio si perde. Non c'e' paesaggio, solo i campi di riso e il loro verde e qualche trampoliere che si stringe tra le piume e qualche altro che pesca e il grigio del cielo. Vai solo dritto alla meta, che arrivare e' gia' qualcosa.
Phimai e' proprio come ce l'aspettavamo, il suo tempio khmer (modello per i templi di Angkor) meraviglioso, il museo (che ricostruisce la storia dell'Isan dall'eta' del bronzo) ben fatto e interessante. La citta' e' posta, come piaceva agli antichi, all'incrocio di tre fiumi il Moon, affluente del Mekong, il Khem e il Chakorat, su di un'isola da essi formata. Visitiamo anche il suo famoso fico di Giava (baniano), vecchio di oltre 350 anni, il piu' grande della Thailandia che ha formato una vera foresta (anche qui, foto del re!) sull'acqua.

Phimai-Ban Phai. Motel Agip.
Alcuni di voi ricorderanno forse la stagione dei motel Agip: in genere ecomostri, si ergevano tronfi nei posti piu' impensabili della rete autostradale italiana. Brutti, costavano in compenso tantissimo. Qui, invece, lungo l'autostrada troviamo spesso hotel migliori di quelli in citta' e a prezzi abbordabili. Alla tristezza del fermarsi nel nulla, fa da contraltare in questo caso, la qualita' dell'offerta. In questo bell'hotel/motel/bungalow in particolare decidiamo anche di cenare sotto il suo berceau, circondati dai bambini dei proprietari che dopo i primi timidi approcci, cercano di comunicare con noi con il poco inglese che pero' gia' conoscono a 9 anni.
Oggi, davanti ai nostri occhi, sulla strada vediamo scorrere: granchietti di acqua dolce che escono dalle risaie (quindi il fantomatico gatto pescatore...); camioncino/taxi collettivo che trasporta, oltre ai normali passeggeri, un motorino con il motociclista in sella; aquiloni coloratissimi con faccina di pipistrello o panda i piu' belli, a forma di aereo e colore mimetico quelli da boicottare; salsicce di ogni forma e dimensione, per lo piu' collane di salsicce, specialita' dell'Isan.

Poker di polli: Ban Phai-Khon Kaen
Cerchiamo l'hotel di legno segnalato dalla guida, sperando di ritrovare un po' di heritage smarrito a Hua Hin. Invece, troviamo solo la topaia. Gaia chiede ad Ale di entrare a vedere la stanza, perche' non e' convintissima. Finiamo col prendere la peggiore, che non solo non e' di legno, ma e' veramente schifosa. Pero' ormai siamo li', siamo stanchi e soprattutto costa veramente poco. Come sempre, per una notte, va bene tutto.
Khon Kaen ha un bellissimo e ricco mercato diurno, mentre quello notturno e' deludente. Mangiamo in un ottimo ristorante vegetariano, zeppo di locals. Ogni tanto la guida anziche' farci incazzare, ci da qualche dritta giusta! Anche la cooperativa di donne che vende stoffe e' il luogo perfetto per fare acquisti e dove i soldi vanno direttamente nelle mani di chi produce.
Lungo la strada, oggi, moltissime bancarelle propongono la specialita' locale per antonomasia: il pollo grigliato servito su degli spiedi. Data l'elevata competizione, alcuni venditori propongono superofferte come quella di uno di loro che, in piedi sul ciglio dell'autostrada, sbandiera quattro spiedi con altrettanti polli infilzati sopra, reggendoli a mo' di poker di carte, proteso verso le macchine che sfrecciano.
Gaia ha mal di testa, Ale e' isterico e insopportabile, come sempre: insomma, formiamo proprio un'irresistibile coppia.

Khon Kaen-incrocio strada 2023
Il posto dove ci fermiamo oggi e' uno di quegli agglomerati che sorgono spesso qui in prossimita' degli incroci tra strade ed autostrada e non sappiamo nemmeno se abbia un nome. Non volendo dormire ad Udon Thani, decidiamo di fermarci in un hotel che ci pare carino, in mezzo al nulla, ma tra le risaie. Il paesaggio e' da Oltrepo' pavese misto a canna da zucchero e con tantissime bufale, che finalmente vediamo immerse nell'acqua coi loro piccoli, alcune anche chiare che paiono albine. Con il sole, rivediamo le farfalle, nere e gialle, enormi, o nere con la coda a goccia e i puntini giallorossi, bellissime.
La serata e' caratterizzata dal primo plenilunio di ottobre e percio' anche da grandi festeggiamenti, con scoppio di mortaretti e piccoli fuochi d'artificio fino a notte inoltrata. La luna sembra gradire le offerte e stasera non solo e' ben visibile, ma anche incredibilmente rossa.

Incrocio-Nong Khai: great balls of fire
Buttata fuori dalla porta, Udon Thani rientra dalla finestra: attraversarla ci porta via un sacco di tempo e ci costa anche una litigata (oggetto: banane grigliate e acqua). La citta' sembra molto ricca ed e' caratterizzata dalla forte presenza di militari ed, in comune con Bangkok, ha il cattivo sapore dell'acqua e l'elevato numero di donne per uomini soli...
Incontriamo, alle porte di Nong Khai, un altro caso di false friend: le bancarelle vendono noci di cocco rapate che sembrano passate alla brace. Per Gaia, c'e' dentro del riso cotto...insomma, li si deve provare! Trattasi di semplici noci di cocco ben pulite messe sotto ghiaccio per essere servite fredde. Berne il latte buonissimo in una giornata cosi' calda come questa e' veramente una goduria, false friend o meno! Anche la polpa, che mangiamo all'arrivo, meritava d'esser tenuta!
Arrivati in citta' scopriamo che e' in corso il festival (che credevamo essere alla fine di ottobre) detto delle palle di fuoco del Mekong. Il festival ha a che fare anche con uno strano fenomeno, non si sa se naturale o artificiale: l'emersione dalle acque del fiume, una sola volta l'anno, di luci che la fantasia popolare vuole essere il fuoco sputato dal dragone che ne abita le acque.
Temiamo di non trovare posto da dormire, ma per fortuna e' lunedi' e il grosso dei turisti thai se ne e' andato. Veniamo sopraffatti dalla vista del fiume che domina la cittadina che vediamo anche dal tranquillo hotel che scegliamo. La sera, camminiamo lungo fiume, c'e' una passeggiata meravigliosa e circa a meta' inizia la festa: bancarelle di cibo, di birra e cose thai, buddiste o pagane. Le piu' belle sono degli enormi cilindri di carta di riso, aperti sotto che, grazie al piccolo fuoco acceso sotto, come le carte delle arance a Natale, si innalzano e volano per centinaia di metri nel cielo, illuminandolo. Non sappiamo che significato abbiano, ma quelli in alto si aggiungono al firmamento e con la luna piena l'effetto e' proprio scenografico. Poi ci sono, sul fiume, giganteschi fiori di loto illuminati galleggianti e una barca con le lucine a formare un dragone. L'unico neo e' che anche qui vengono sfruttati elefantini, portati in giro per avere i soldi dei turisti. Il giorno dopo vediamo la regata sul Mekong che chiude in qualche modo il festival: grandi imbarcazioni con piu' di venti vogatori con l'uniforme dai colori fluo si danno battaglia sul Mekong.
Visitiamo poi un parco (il Salakaewkoo), che ricorda per visionarieta' quello dei mostri di Bomarzo: qui ci sono statue di oltre 20 metri di altezza raffiguranti scene di vita del Buddha e idoli di varie religioni. Il tutto nello stile molto personale di un artista-santone fuggito dal Laos all'inizio della dittatura.
Gaia riesce anche a ricomprarsi le ciabattine rubatele al tempio!
A risentirci dal Laos, se va tutto bene.