mercoledì 18 novembre 2009

Se non ritornerete come bambini...

Ebbene si, siamo ancora in Thailandia! Il "richiamo della foresta" e la poca voglia di passare un'altra frontiera ci fanno tardare la visita all'antica civilta' khmer. L'annuale, famoso, raduno degli elefanti di Surin e' tra qualche giorno. Gaia dice che e' stufa di pedalare, ma di perdersi alcuni eventi unici, solo per pochi giorni... Ale non resiste al fascino dei pachidermi...
Cosi' decidiamo di prenotare l'hotel, comprare i biglietti prima che finiscano e visitare i "dintorni" di Surin per una settimana, in attesa del grande evento. Questo ci da' modo di conoscere e scoprire meglio una parte dell'Isan poco frequentata.

Giostra khmer
Lasciamo Ubon Ratchathani, un esempio di politiche pubbliche: su impulso della regina, sono stati creati molti parchi e in particolare ce n'e' uno, in pieno centro, tutto dedicato alle attivita' all'aria aperta, sfruttato per ogni genere di attivita' artistica, sportiva e ricreativa, di giorno e di notte grazie alla perfetta illuminazione. Il parco non ha cancelli ed e' aperto alla citta', al pubblico, appunto; e' soprattutto pieno di giovani che ballano, preparano coreografie, mettono in scena rappresentazioni, si divertono, stanno insieme. Anche genitori e nonni accompagnano le giovani generazioni, passeggiando con i piu' piccoli. Nella stessa citta' c'e' anche uno spazio pensato per i ragazzi dove internet e' gratuito (wireless e non). Chissa' che qui non usi ancora la prevenzione in positivo ("Apriamo i parchi senno' i giovani si drogano") anziche' quella in negativo ("chiudiamo e recintiamo i parchi, che i ragazzi si drogano")!
Sulla strada per Uthumpon Phisai, c'e' un serpente gigante morto, ma di fresco, stiamo procedendo affiancati; Ale dice a Gaia:"Attenta!" e lei:"Tanto e' morto"; Ale:"Allora cosa fai, ci passi sopra?" e Gaia (ormai c'e' una prassi in proprosito): "No, odio passare sui serpenti...". Arrivati in citta', ci fermiamo in un ristorante, ma la cuoca ci fa capire che ha troppi clienti da servire e quindi di andare da un'altra parte! Sfamatici altrove (la concorrenza qui davvero non manca), andiamo a visitare il Prasat Hin Wat Sa Khampaeng, una delle vestigia khmer coeva ad Angkor. Nel verdissimo prato, ci sono anche delle upupe!
Da qui proseguiamo e lungo la strada ci fermiamo a visitare il tempio di Prasat Sikhoraphum, in un contesto splendido, circondato da un fossato ad U originale del XII secolo.
Prima di raggiungere Surin, un'altra piccola deviazione ci consente di vedere anche il prasat Muang Thi, piccole vestigia sopravvissute alla sabbia del tempo, attaccate al nuovo wat. All'ingresso in citta', per procurarci una cartina, ci fermiamo alla TAT (ufficio turistico thai): non c'e' nessuno, ma e' aperto. Ale ne approfitta per un self-service. Poco dopo, tornano le impiegate con il loro cibo in mano... se non ti danno la pausa pranzo, te la prendi!
Noi, invece, pranziamo in un "ristorante" dove entra con il motorino acceso un signore, parcheggia al termine del salone, mette il casco ad una nonnetta e la carica prima di ripartire.
Surin ha un mercato diurno ben fornito ed uno notturno molto vivace, sito in una via chiusa al traffico la sera. Dove si mangia bene, troppo bene...
Per rifornirci di bevande, visitiamo un OTOP dove Gaia, vedendo una misteriosa bibita scura, esclama: "Ho proprio voglia di moa berry!" (Ale la guarda perplesso); va da se' che si acquista la trilogia intera di bottiglie dedicate a questa ed altre bacche. Ottime e senza zucchero che qui e' una rarita'!

Tema: Una gita fuori porta
Svolgimento. Venerdi' 13 novembre con la classe, siamo stati in gita a Ban Ta Klang che e' il villaggio (ban vuol dire proprio questo) con piu' elefanti al mondo. La maestra ci aveva detto che questo villaggio era a 40 km ca. da Surin e noi ci crediamo sempre a quello che dice la maestra (soprattutto la mia compagna di banco). Cosi', dopo essere stati in Comune per avere tutte le informazioni necessarie per assistere al raduno degli elefanti (anche questo il piu' grande al mondo), ci siamo recati con le nostre biciclette sulla strada 214 verso nord. Al km 36, segnalato dalla pietra miliare (ma il nostro contachilometri ne segnava gia' 40!), abbiamo visto il cartello stradale azzurro con una freccia bianca che diceva: "Ban Ta klang, villaggio degli elefanti. Per di qua". Appena presa quella strada che diceva la freccia bianca, c'era un altro simpatico cartello azzurro con disegnato un bell'elefantino sopra e il cartello diceva: "Per Ban Ta Klang, il villaggio degli elefanti, mancano 22 km". Allora noi, che sappiamo fare le addizioni a due cifre, abbiamo preso foglio e penna e abbiamo fatto il conticino e la verifica. Il risultato faceva 62 km. Che poi se aggiungi altri 62 km per tornare fa 124 km che non e' mica tanto una gitarella fuori porta! Il mio compagno di banco si e' un po' arrabbiato. La mia compagna di banco ha esclamato: "Va beh, prendiamola come viene!".
Ci siamo fermati sotto un chioschetto, che le persone usano per ripararsi dal sole mentre aspettano i bus o altro, a mangiare dei semi di non sappiamo cosa. Sono semi trovati in PDR Lao e poi ancora a Khong Chiam. Sono buoni, ma molto calorici e tostati nell'olio di palma. Sono soprattutto tanti perche' ne abbiamo comprati tanti. la mia compagna di banco ha detto che lei non ne mangia piu' di 5 al giorno. Il mio compagno di banco ha detto che se lo scordi che se li mangi tutti lui! Pero' quel giorno ne abbiamo mangiati abbastanza, soprattutto il mio compagno di banco che quando e' arrabbiato mangia tutto!
Questi ultimi 20 km sono stati su una strada tutta tra risaie, lontani dal traffico, nell'Isan piu' profondo. Qui la campagna e' davvero bella, anzi bellissima, e ricorda l'Oltrepo' pavese che e' una zona della Lombardia, se non fosse che ci sono tannte bufale nelle risaie e alcune immerse completamente nelle pozze o nei canali e poi martin pescatore verdi con la testa arancione e tanti contadini che ci salutavano, mica come nell'Oltrepo' che nessuno ti saluta! Ci siamo fermati poco prima dell'ingresso del villaggio degli elefanti a pranzare perche' erano gia' le 12 e il ristorante ci piaceva molto, anche se non era proprio un ristorante. Abbiamo fatto bene, era buono e c'era tanta gente che mangiava con noi. Siamo arrivati a Ban Ta Khlang sotto la canicola, ma siamo stati accolti da tantissimi elefanti, alcuni nelle risaie che rimpiazzavano le bufale di prima, altri all'ombra degli alberi e altri ancora ai vari angoli del paese. Due simpatici signori ci hanno detto che alle 14 c'era lo scio', costava 100 baht e durava 50 minuti. Abbiamo deciso di fermarci e nel frattempo abbiamo bevuto un po' che faceva caldissimo e abbiamo assistito al lavaggio di qualche elefante con la canna: che bello! Gli elefanti si riempiono la proboscide da soli con la canna e poi si spruzzano la schiena come fanno gli elefanti. Poi ce n'era uno che non gli piaceva l'acqua negli occhi e quando il suo padrone lo spruzzava chiudeva gli occhi come un bambino piccolo sotto la doccia: che buffo!
Poi siamo andati a sederci all'ombra, ma lo scio' non iniziava ed erano gia' le 14.20 e allora abbiamo fatto i conti che ci vogliono quasi tre ore di pedalate per tornare e abbiamo pensato che alle 17.30 e' gia' un po' buio. Qundi, alle 14.30 siamo andati a slegare le nostre bici e le signore che ci hanno venduto i biglietti e ci hanno visto un po' tristi, ci hanno detto: "Non andatevene!" e ci hanno offerto un passaggio per quando finiva lo spettacolo sul loro pick-up, mica come il signore dell'altra volta di Meuk Lek!
Tutti contenti, siamo tornati a sederci. Il presentatore ha detto che Ban Ta Klang dista 62 km da Surin: la maestra si era proprio sbagliata! Allo scio' abbiamo visto: elefanti sulle zampe posteriori, elefanti che facevano la verticale, elefanti che scoppiavano palloncini tirando freccette con la proboscide, elefanti che tiravano a canestro. Ma quello che ci e' piaciuto di piu' sono gli elefanti che tiravano i rigori prendendo la rincorsa e uno parava! E poi hanno preso tre signori, li hanno fatti sdraiare per terra e gli elefanti ci passavano sopra, scavalcandoli. Alla fine un elefante ha fatto il massaggio thai con le zampe a un signore francese. Pero' pensandoci bene, la cosa che ci e' piaciuta proprio di piu' e' l'elefante pittore che ha fatto un disegno molto piu' bello di quello che la mia compagna di banco ha fatto per dire nei ristoranti che non vuole ne' carne ne' pesce.
Il ritorno sul dietro del pick up seduti con le bici e' stato bello e, forse per la luce e i tanti elefanti sulla strada e nelle risaie, sembrava quell'altra gita in Africa... Il ritorno e' stato velocissimo: un'ora, invece che tre!
Questa gita ci e' piaciuta molto anche se quella alla Centrale del latte di Monza ci era piaciuta tanto perche' ci avevano regalato la crema al cioccolato e alla vaniglia buonissime e le pannine che poi la gente aveva vomitato sull'autobus.

Con un piede nella fogna
Prima di lasciare Surin, passiamo in Comune ad acquistare i biglietti per il festival degli elefanti; nell'attesa dell'arrivo dell'impiegata, Gaia (che ha mangiato troppo la sera prima e non ha digerito) vomita; Ale chiede se se la sente di iniziare la tappa e lei risponde che adesso che ha vomitato sta meglio. Dopo 4 km, e' ancora crisi: ci appoggiamo a delle pietre davanti ad un mega hotel super frequentato. Gaia prima vomita dalla bici, poi vomita giu' dalla bici, quindi si "ameba" su un pietrone (la pressione continua a fare sbalzi). Qualcuno guarda e sembra voglia chiederci se abbiamo bisogno di aiuto, ma solo una ragazza in moto si ferma a chiederci se puo' aiutarci portandoci in ospedale o acquistando per noi uno "sniffa-naso" di quelli anti svenimento di una volta. Noi decliniamo le offerte, ma lei poco dopo torna con due salviette rinfrescanti nel ghiaccio appositamente acquistate! La ringraziamo tanto e lei se ne va piu' contenta. Appena Gaia sta meglio, torniamo indietro ad un pompa di benzina con un'area di servizio superattrezzata, appoggiamo tutto e ci sediamo sulle panchine all'ombra. Gaia beve un po' d'acqua, poi una Sprite e poi vomita entrambe. Ha freddo e continui sbalzi di pressione: restermo li' tutta la mattina. Alle 12, le condizioni sembrano piu' stabili, Gaia non ha piu' freddo e la testa non gira piu'. Decidiamo di raggiungere Prasat che e' a soli 28 km da li'. Qui scopriremo che Gaia ha la febbre e ci dovremo fermare due giorni per recuperare le forze e la temperatura giusta. Soggiorneremo nel secondo esemplare di "topaia autocosciente" fin qui trovata.
Il secondo giorno, per fare qualche passo, decidiamo di andare nell'internet point li' vicino: Gaia inciampa mettendo un piede nella fogna, fortunatamente senza conseguenze. Siamo pronti a ripartire!

Teddy bear
Questa parte del basso Isan e' costellata di villaggi artigiani "a tema": chi fabbrica questo, chi quello... c'e' addirittura il villaggio che si occupa dell'approvvigionamento di poveri grilli per l'industria della cuisine qui fait croque... Si pubblizza come "Cricket village", ma qui nessuno gioca al popolare sport inglese...
Raggiungiamo finalmente Chaloem Phrakiat il paese da dove, scarichi, andare al parco archeologico di Phanom Rung: e' uno dei siti archeologici piu' belli tra quelli visitati ed e' sito in cima ad un vulcano estintosi piu' di 900.000 anni fa.
Il tempio, dell'XI secolo, e' dedicato come sempre a Shiva e ricorda nell'impianto wat Phu, in PDR Lao. Il nome significa in lingua khmer "grande montagna" e infatti dalla pianura di risaie si sale a quasi 400 metri. Dalla cima si gode di uno splendido panorama, esattamente come a wat Phu.
Da qui scendiamo per raggiungere Meuang Tam (la citta' bassa), un prasat ancora piu' antico. Anche questo e' meravigliosamente restaurato e conserva, cosa unica in Thailandia, il bordo dei suoi fossati ad L in forma di naga, il serpente sacro del fiume a 5 teste.
Il caldo e' tanto e si continua a sudare. Gaia scopre che, se volesse fondare una setta, avrebbe gia' la sua sindone, non un volto qualsiasi, ma quello di un... orsetto! Le orecchiette i seni, il faccione del plantigrado il ventre della pedalatrice, impressi dal sudore sulla maglietta quasi nuova.

Arriva la bufera
La notte e' stata fresca per una bella brezza che la mattina si trasforma in un vento teso che viene da nord, direzione verso la quale, guarda caso, dobbiamo pedalare. Cosi' quello che doveva essere un trasferimento defatigante (il giorno prima abbiamo comunque fatto i nostri 100 km), si trasforma in un'estenuante tappa controvento! In quasi 11 mesi di bici, ogni volta che c'e' stato vento forte, e' sempre stato a sfavore.
Gaia, che non si e' ancora rimessa, si sente stanchissima, le gambe proprio non vanno e viaggia tra i 14 e i 19 km/h. I pantaloncini sono da buttare, come lei. Ma anche Ale lamenta difficolta' ad andare e poi, come sempre, fame! Gaia lo becca a mangiarsi i tanto vituperati semonidinonsappiamocosa...mentre e' in attesa di essere raggiunto.
Le rondini sono tornate, in forze, proprio in tempo per la raccolta: lungo la strada per Buriram vediamo che la macchina mietitrice e' seguita da nugoli di rondini che godono degli insetti che si alzano al passare del veicolo. Basse basse, sembrano voler mangiare il riso anche loro. Nel cielo, due falchi approfittano del trambusto per cacciare forse uno dei numerosi rettili.
L'hotel che abbiamo selezionato e' in ristrutturazione, ma questa volta chiuso. Ripieghiamo su un altro vicino alla stazione dove, al rientro in stanza, nel tardo pomeriggio, una selva di pulitrici e pulitori, sdraiati o seduti per terra, sembrano tutti in attesa di entrare proprio nella nostra stanza!
Buriram e' una cittadina senza interesse, in cui pero' sono presenti turisti attempati (del genere gia' trovato a Nong Khai) che si riuniscono in locali ambigui, spesso frequentati da ragazze la cui presenza non e' chiara, mentre la faccia sfatta dei farang lascia intendere una certa propensione ad ogni genere di vizio...
La sera incappiamo in una festa della nutrita comunita' cinese locale: c'e' l'operetta cinese, il mondo del cibo di strada, giostrine varie ed un palco allestito con uno spettacolo "per giovani" (ragazze discinte che cantano male e sculettano peggio...).
La notte il forte vento ha fatto scendere di molto la temperatura e fa quasi freddo! Come solo poche altre volte ci era capitato, dormiamo senza ventilatore.
Domani riprenderemo la strada per Surin dove ci godremo il piu' grande raduno al mondo di elefanti con relativo banchetto entrato nel guiness dei primati, prima di ripartire questa volta si spera davvero, alla volta della Cambogia democratica...

martedì 10 novembre 2009

Scampoli di Laos

Il titolo rende anche omaggio alle artigiane della seta e del cotone della PDR Lao, che abbiamo lasciato per fare ritorno in Thailandia per il nostro giro a chiocciola che ci riportera' infine a Bangkok.
I delfini dell'Irrawedy cosi' come le cascate sul Mekong restano un miraggio e una meta per un prossimo, forse, viaggio, causa mancanza di tempo (il visto scadeva!).
Le informazioni raccolte rispetto alle strade cambogiane ci sconsigliavano di entrare dal Laos, soprattutto con le nostre bici non MTB.
Le dispute di attribuzione tra Thailandia e Cambogia ci impediscono anche di visitare il mitico Preah Vihear, chiuso dalla parte thai e irrangiungibile, di fatto, da quella cambogiana. Sembra che il governo thai abbia addirittura ritirato le proprie rappresentanze diplomatiche dallo Stato vicino e consigli ai propri cittadini di rientrare. Forse c'e' di mezzo lo zampino dell'ex premier Taksin...
Siamo ad Ubon Ratchathani, una citta' in piena espansione dove ritroviamo le cose che ci mancavano: i dolcetti di strada e il mercato della sera dove cenare bene e a poco prezzo. Inoltre, possiamo fare rifornimento di pezzi di ricambio (Gaia ha rotto un pezzo del freno e Ale la pedaliera e un copertone, pure lui). Mr. Tuffy ha di nuovo un sellino degno di questo nome, i testicoli ringraziano.
Ieri abbiamo fatto conoscenza del sig. Michele, un simpatico pugliese in pensione che fa il volontario per la ONG Reability che si occupa di aiutare la popolazione Karen in Birmania (clandestinamente) e in Thailandia. Ci siamo divertiti ad ascoltare la sua esperienza di farang immigrato in terra thai.

Khai Pii o la transustanziazione
Da Savannakhet, nonostante il raffreddore di Ale e la durezza del suo pseudo sellino, riprendiamo la R13 dopo aver raggiunto un paese chiamato Ban Lak 13 (villaggio km 13, tanti sono i paesi chiamati con il numero del km stradale, che fantasia questi comunisti!).
E' un mercato-paese davvero interessante, pieno di prodotti che spesso non si trovano nemmeno nelle citta'. I 200 km che ci porteranno a Pakse sono nel nulla, ma un nulla, come quello australiano, solo ai nostri occhi occidentali. In realta' ci sono tanti villaggi con case tipo queenslander, su pilastri, ben rialzate da terra per difendersi dalle inondazioni. Altre case sono in stile europeo-sfarzoso-arabeggiante-cinese. Non vediamo la miseria delle montagne del nord. Molte delle case piu' belle, pero', sono vuote forse perche' i proprietari sono emigrati...
Tanta campagna, risaie, alberi, fiumi, fascine e cumuli di paglia su cui i bimbi si tuffano dal balcone della loro casa; tutto e' ben tenuto, ordinato, insomma c'e' un po' di campagna francese, oltre alla baguette.
Ci fermiamo sul ponte di un imponente fiume per una foto, ma veniamo raggiunti da un soldato sedicenne con il mitra portato sulla spalla come fosse il bastone che regge un fagotto. E', ci pare, chiaro segno di non belligeranza, sembra volerci dire che non lo userebbe mai (dai ai nostri sedicenni un fucile e ti diventano dei bulli...). Ci fa capire che non possiamo fermarci sul ponte a far foto perche', forse, presidio militare "strategico".
Facciamo tappa a Phouangsavan dove troviamo l'unico posto dove dormire su 130 km, il bagno non ha il lavandino, il water non ha lo sciacquone, ma va bene. E' pieno di "ristorantini" la cui specialita' sono le khai pii, di cui vi andiamo a dare la ricetta: prendete delle uova crude, degli spiedini di legno, bucate con un coltellaccio top e bottom delle uove e versate il contenuto in un recipiente, conservando i gusci intatti. Sbattete bene a mo' di frittata le uova con un po' di pepe e erbe fini, quindi riversate con pazienza il contenuto miscelato nei gusci, mantenendoli inseguito orizzontali e infilzateli nello spiedo (qui tre uova per spiedo). Fate cuocere le uova al vapore (qui usano gli stessi recipienti dei panini cinesi) fino a che diventano sode e non per immersione perche' altrimenti il contenuto uscirebbe dalle uova. La "transustanziazione" e' avvenuta: le uova, rassodate vengono servite con del riso glutinoso e la loro particolarita' e' che non c'e' piu' distinzione tra rosso e bianco, un po' come in politica... Very good!!!
Il giorno dopo raggiungiamo Pakse, non prima di aver visto alcuni dei danni prodotti dalle alluvioni del mese scorso, piccoli canyon creati dall'acqua, alberi sradicati, fiori di loto cresciuti troppo alti rispetto a quel che rimane ora dell'acqua negli stagni.
L'aria e sempre tersa, il cielo di un azzurro incredibile, stelle e luna come non ne vedevamo da tempo. Di notte fa fresco e riusciamo finalmente a dormire senza ventilatore! Le farfalle lasciano il posto ad uccelli variopinti e i serpenti escono dopo le grandi piogge.
Anche i maiali, oltre alle altre bestie, occupano placidi la carreggiata.
Pranziamo in un "ristorante" con la solita zuppa (che tu la voglia o no, quella c'e'!) dove scorazzano galline e pulcinotti tutti bianchi che con le anatre si abbeverano in un secchio vicino alla cucina. Il gallo vola tra le padelle a controllare gli avanzi... forse della famiglia!

Transitare
Lasciamo subito Pakse per raggiungere Chempasak dove ci aspetta un altro sito patrimonio UNESCO, il sito archeologico piu' importante del Lao (senza la s), Wat Phu.
La traversata del Mekong avviene su una via di mezzo tra una chiatta e un ponte levatoio... molto pittoresco, ma ti chiedi per quanto resitera'! La chiatta imbarca un camion cisterna e dei sawng theaw stracarichi di merci e persone. Gaia chiede se tengano conto del peso, Ale impassibile risponde che no. Se non altro il fiume non e' piu' largo di due km...
Iscrizioni in sansicrito e fonti cinesi testimoniano l'importanza del sito fin dal V secolo, per i devoti induisti, e dei regni che si sono succeduti. La montagna sulla quale il sito e' dislocato su piu' livelli ricordava ai fondatori un fallo naturale e dunque Shiva. Alla base di questo monte di 1400 m e' stata fondata la citta'. Un viale fiancheggiato da falli di pietra conduce al complesso, passando per un enorme stagno che risale alla fondazione del tempio stesso, ancora pieno d'acqua. Ripide scalinate all'ombra di frangipane conducono all'ultimo livello da cui si domina con lo sguardo la piana del Mekong. I lavori di restauro, ben lungi dall'essere conclusi, sono stati curati da una nota archeologa italiana. Il museo, ben tenuto, offre spiegazioni e ricostruzioni storiche chiare anche in inglese. Il giorno della nostra visita, forse a causa del plenilunio, e' di festa, con tanti adulti intenti a giocare alla petanque, assistere a combattimenti di galli e bere birra, i bimbi sulle giostrine.
Lasciamo a malincuore questa amena localita' di fiume che sembra fatta apposta per il riposo e torniamo a Pakse, sempre col simpatico chiattone! Questa citta' ci fa da base per la visita dei paesini circostanti e del Bolaven plateau, prima di riattraversare la frontiera.
Nella zona, a Ban Ko Phoung, un villaggio di proto malesi di etnia khalun, gli abitanti si costruiscono ancora oggi da se' la propria bara e praticano una religione animista, mentre a Tat Sung i disegni tradizionali ricordano quelli degli aborigeni australiani a supporto della tesi di un'unica origine austroasiatica. Qui si occupano, da sempre, di addomesticare branchi interi di elefanti.

Transumanza
Mentre siamo tra i monti, ancora una volta, per salire l'altipiano di Bolaven, Ale in bici vede un mandriano che segue le sue mucche sul ciglio della strada; ricorda un uomo del passato, un mondo che da noi non c'e' piu'. Poco oltre, gli suona il cellulare, va avanti a parlare per un po', poi sale su un motorino e supera Ale: e' lui che ora lo guarda e gli sorride. Chissa' se se e' Ale in bici a ricordargli un mondo che non c'e' piu'...
La regione del Bolaven e' una delle piu' povere del Lao, avendo sofferto durante tra il Pathet e le forze realiste; i ponti della strada 23 sono stati tutti distrutti dai bombardamenti americani e non sono mai stati ricostruiti. E' stata lentamente sminata ed ora grazie all'incredibile clima produce una notevole varieta' di frutta e verdura ma, soprattutto, il rinomato caffe' uno dei piu' costosi, buoni e noti, agli esperti, del pianeta. Se in tutto il Lao il caffe' e' ottimo, qui supera se' stesso e lo si puo' bere anche biologico e solidale! Oltre ad alcune piantagioni di caffe', vediamo una delle piu' belle cascate della zona, quella piu' alta del Lao, Tat Fan, che si getta in una vertiginosa gola di 200 metri in mezzo alla giungla.
Mentre l'andata sono oltre 40 km di salita leggera, ma sempre salita, il ritorno e' fantastico: 40 km di discesa che non devi neanche frenare, ma non pedali mai! In meno di un'ora siamo di ritorno.
Il giorno successivo, lo spendiamo per visitare il villaggio di tessitori di Ban Saphai e l'isola fluviale di Don Kho. Questa e' costituita di case di contadini-pescatori, sempre tutte in legno, ma perfettamente tenute alcune delle quali sono anche homestay, si puo' cioe' soggiornare chez l'habitant, un'esperienza che forse meritava di essere fatta; l'elettricita' e'arrivata solo di recente, ma per il resto tutto e' ancora arcadia.

Transazioni
Puo' sembrare strano, ma comprare in Lao non e' cosi' semplice. La scarsa verve negli affari dei laotiani, o almeno di molti commercianti, ci appare paradossale viste le condizioni economiche del Paese. Sembra sempre che sia tu, cliente, a dover convincere lui, venditore, a concludere l'affare. C'e' una inspiegabile indifferenza al turista cliente potenziale. Gli uomini sembrano piu' interessati alla petanque, le donne alle tremende telenovelas che passano in TV (chi si ricorda di "Paco e Chico"?). Al bazaar di Pakse, ci mostriamo interessati all'acquisto di un pezzo di stoffa; sembra che siamo gli unici clienti. Dopo aver guardato e riguardato i pezzi esposti e le 4 (quattro) commesse, ci rivolgiamo direttamente ad una di loro chiedendo il prezzo. Con una smorfia quasi di dolore, alza la faccia dalla sua zuppa (chi non ne mangia una?) e risponde in laotiano. Alla nostra richiesta di digitare la cifra sulla calcolatrice come fanno tutti, lei, visibilmente scocciata, lenta come solo il Mekong, allunga un braccio, afferra l'attrezzo e continuando a darci la nuca ci mostra la cifra. Poco oltre, chiediamo ad un'altra venditrice il prezzo di un'altra stoffa: qui non e' il cibo, ma la telenovela a rendere la transazione fastidiosa (per lei). E gli aneddoti potrebbero continuare...
Il pranzo tipico quotidiano (la zuppa), quando non siamo per strada con le bici, cerchiamo di averlo di buona qualita'. Cosi' come a L. Prabang, anche a Pakse troviamo un posto di fiducia dove sorbirla. Gaia apprezza cosi' tanto che ci lascia letteralmente il portafoglio che siamo percio' costretti a tornare a cercare. Per fortuna la signora, oltre a fare un'ottima zuppa, e' anche molto onesta e ce lo restituisce subito, appena ci rivede, chiedendoci anche di verificare che ci siano tutti i (pochi) soldi!
Prima di lasciare il Lao, incappiamo nel false friend dei false friends. Gaia, come sempre intenerita dalle vecchine, decide di acquistare un misterioso pacchetto in foglia di banane, costosetto, ma che sembra essere una polpettina di mais e banana. Ale avverte che lui non lo mangera'. La vecchietta gliel'ha fatto assaggiare e lui lo ha liquidato con un "pannocchietta insapore"... A pranzo, Gaia apre il prezioso involto e scruta attentamente: la "cosa" e' una schiacciatina di vermi bianchi genere "cagnottone", probabilmente una prelibatezza per i locals, ma non per Gaia vegetariana, ne' per Tuffy che riassaggia, ma nuovamente non gradisce, aggiungendo che gli fa pure un po' senso...

Sic transit gloria mundi
Lasciamo Pakse pedalando sul ponte piu' lungo del Lao, con i suoi 1380 m. contro i 1240 del primo Ponte dell'Amicizia a Vientiane. Attraversiamo un'altra volta il Mekong e questa volta sara' l'ultima; qui possiamo fermarci per la foto di rito essendoci una bella corsia pedonale. Il fiume che e' stata la culla di numerosi imperi e di grandi civilita', lo ritroviamo la sera alla sua confluenza con il Mun nella piacevolissima cittadina di Khong Chiam, per poi lasciarlo. Passare la frontiera tra Vang Tao e Chong Mek e' davvero veloce e senza stress. Appena di qua, l'asfalto torna ad essere di velluto, il paesaggio da coltivato e monotono diventa lussureggiante ricordandoci zone lacustri europee. Pero' il caldo torna ad essere infernale.
A Khong Chiam la confluenza dei due fiumi e' chiamata "fiume bicolore" data la differenza tra il blu del Mun e l'arancio-marrone del Mekong, una differenza maggiormente visibile in aprile. La passeggiata lungo fiume, in tipico Thai touch e' ben curata ed illuminata. Anche questo paesino ci serve come base per la visita al vicino parco nazionale di Pha Taem, dove c'e' l'insieme di pitture rupestri (di 3000/4000 anni fa) piu' lungo del mondo che rappresenta oltre agli animali della zona (tra cui elefanti e il pesce gatto gigante del Mekong) attrezzi da pesca ancora oggi usati, mani, umanoidi e un reticolato che forse raffigura le prime risaie. Il sentiero rupestre parallelo al Mekong e' ben curato con alcune piattaforme di osservazione per poter vedere al meglio le pitture. Il paesaggio e' davvero molto simile a quello della Dordogna. Si vede che gli esseri primitivi, che erano pur sempre esseri umani, amavano allo stesso modo i luoghi riparati, di facile accesso e vicini all'acqua.
Nella zona vi sono anche curiose formazioni rocciose a fungo chiamate qui Sao Chailing, presenti anche in altre parti del mondo.
Varie pietre segnalano che questo e' il luogo piu' ad est della Thailandia, quello in cui sorge prima il sole, quello in cui si puo' vedere sorgere il sole prima, il parco nazionale piu' ad est; insomma, siamo nell'est piu' a est della Thailandia!

Tutti a letto! (coi trans)
I piu' attenti tra voi si saranno accorti che il titolo di ogni paragrafo ha al suo interno il termine trans che di per se' non ha alcun significato particolare.
Lo abbiamo fatto perche' ancora una volta colpiti dalle vicende italiane, il caso Marrazzo nella fattispecie. Vorremmo solo dire che non ci interessa che il presidente della regione Lazio abbia frequentato dei "trans" (se questi sono consenzienti e maggiorenni!), ma ci interessa eccome che un politico faccia uso di cocaina e accetti i ricatti delle "forze dell'ordine". Vorremmo poi anche dire che sia in Thailandia che nel povero Lao, i cd. transessuali sono perfettamente integrati nel tessuto sociale e, culturalmente accettati, svolgono qualsiasi tipo di professione senza suscitare resistenze o risatine pruriginose.
Laddove la cultura scarseggia o e' assoggettata bigottamente alla religione e dove la societa' e' ormai disgregata, l'integrazione diventa invece un problema per tutti...

Velocita' alla quale un ragno di medie dimensioni, attaccato alla sua ragnatela, si stacca da una bicicletta
33.2 km/h.
O almeno questo ragno.

Da Ubon Ratchathani ci dirigeremo ora verso sud ovest per passare nella polverosa Cambogia alla volta dei templi di Angkor. Speriamo di tornare!