sabato 17 ottobre 2009

La Cina e' vicina

Dopo un po' di riposo e il massaggio thai a Nong Khai, siamo entrati in territorio laotiano.
A Vientiane abbiamo steso un mini itinerario. Ale voleva andare a sud, cosi' come previsto da mesi; Gaia non voleva perdersi Luang Prabang a nord. Ale ha proposto una separazione momentanea, Gaia una mediazione: tutti a Luang Prabang!
E cosi' eccoci a Luang Prabang, a un giorno di viaggio con mezzo motorizzato dal confine cinese, tre giorni in bici. La tentazione e' forte, Ale vagheggia Pechino, la Transiberiana... ma quello e' un'altro viaggio.
Diremo solo che questa deviazione di circa 400 km ci e' costata "lacrime e sudore" ma, come spesso ci e' capitato, ne valeva la pena!

Cementiamo l'amicizia
L'ultimo incomprensibile scambio di battute in terra Thai e' avvenuto nel parcheggio di un supermercato: i soliti locals si avvicinano attratti dalle nostre bici, una signora si siede sul portapacchi di Ale mentre sta per partire e ride sotto lo sguardo incredulo dello stesso. La bici si imbizzarrisce sotto il peso della signora e la comitiva ride. A questo punto un signore del gruppo tocca la gomma ed esclama rivolgendosi ad Ale: "Lek, lek?!?" Tutti si fanno una grassa risata.
La strada che porta al Ponte dell'Amicizia che unisce la Thailandia al Laos e' breve e anche le formalita' doganali: in un attimo abbiamo visto e via libera per poter passare il ponte sul Mekong con e sulle nostre bici, nonostante il divieto segnalato da un cartello. E' emozionante, sia per la valenza simbolica, sia per la vista e il paesaggio che si godono dal ponte: vorremmo fermarci ma non osiamo tanto.
I due stati hanno deciso di sancire la fine delle tensioni da guerra fredda, costruendo tre ponti (dell'amicizia, appunto) sul Mekong che ora li uniscono.
Arrivare a Vientiane e' semplice, anche se non vediamo mai nessuna segnalazione per la capitale. All'ingresso, fermi ad un semaforo, siamo approcciatri da un emigrato in Michigan, anche lui cicloturista, che ci propone di andare insieme a Luang Prabang. Siamo un po' disorientati e non abbiamo ancora in mente la nostra agenda; dopo averci fotografato ripetutamente, ci lascia il suo numero locale di cellulare. Non riusciremo a ricontattarlo.
La citta' e' cosmopolita, ma ci appare piu' piccola di quanto forse non sia. Notiamo una forte presenza di turisti ed internazionali impegnati in vari tipi di missione.
Decidiamo di ripartire subito e di esplorarala al nostro ritorno dal nord.

Verso nord
Velocemente, arriviamo a Phon Hong, la prima tappa in direzione L.P. Pur nella sua brevita', abbiamo il tempo di notare alcuni netti cambiamenti. Come direbbe Lapalisse, il Laos non e' la Thailandia.
Ritorniamo, dopo 9 mesi, alla guida a destra, Ale e ' frastornato e piu' volte imbocca la via dalla parte sbagliata, il cervellino semplice di Gaia apprezza immeditamente.
Passiamo da una lingua tonale a 4 toni (in cui la stessa parola, a seconda del tono utilizzato, assume 4 significati diversi!), ad una tonale a 6 toni! Nonostante questo, la comunicazione con i laotiani ci pare da subito piu' facile. Anche i cartelli sono molto di piu' in alfabeto latino a causa della colonizzazione francese che ha lasciato nei piu' vecchi anche la lingua, mentre i piu' giovani o quelli che non avevano imparato il francese, parlano la lingua dei nuovi coloni: l'inglese dei turisti. Da farang che eravamo in Thailandia (straniero bianco), diventiamo falang.
La raccolta della pattumiera, anche lei, somiglia piu' a quella indonesiana che a quella del vicino.
I cani, come per incanto, da cattivissimi e abbaianti, diventano buoni: fin'ora nessun cane ci ha abbaiato mai!! Quelli che vediamo sono poi molto ben tenuti, nonostante il livello della vita sia piu' basso. Fanno la loro ricomparsa i gatti coda mozza lasciati in Malesia e visti raramente gia' a partire dal sud della Thailandia.
Scompaiono quasi completamente i distributori di benzina che punteggiano le strade thai e anche l'asfalto cambia notevolmente di qualita', cosiccome il traffico diminuisce.
Non ci sono cartelli stradaIi, al loro posto solo pietre miliari consunte indicano, a turno, ora una destinazione, ora un'altra, probabilmente per "ottimizzare".
Il cibo di strada praticamente scompare, per non parlare dei dolci, in strada e non solo: si prospetta dieta ferrea e assenza di dolcezza... La prima sera, al posto del nostro solito dolce, siamo costretti a ripiegare su dei crackers all'alga.
Mentre ceniamo, a Phon Hong possiamo vedere come e' lecito lavare qui i bimbi piccoli: catinone a bordo strada, si spogliano nudi, li si fa sedere nel catinone di metallo e con la canna (acqua, ovviamente fredda) li si innaffia. Poi uno dei due bimbi, viene sollevato dal catinone e posto in un vaso per fiori di loto usato come lavandino e risciacquato sotto un rubinetto. I bimbi paiono, comunque gradire.

Vang Vieng
Il giorno dopo, raggiungiamo la cittadina di Vang Vieng, dove passiamo due notti anche per onorare la bellezza del luogo e della stanza dove soggioniamo, dopo i tanti posti senza interesse dove spesso dobbiamo pernottare. Anche questa e' una citta' sul fiume, posta al centro di un insieme di colline meravigliose con caverne e falesie. Anche qui, come altrove, veniamo salutati lungo la strada, ma quasi solo dai bambini; gli adulti ci sembrano un po' spenti, forse dalla "dittatura dolce", forse dalla guerra sporca statunitense, forse da entrambe le cose.
Lungo il tragitto, attraversiamo un paese interamente dedito al pesce secco, di fiume: bancarelle si susseguono senza fine, proponendo pesce secco in ogni forma. Noi, ci buttiamo sulla frutta, ma qui sembra essere solo stagione di pomelo e banane. Passiamo campi dove, a mano, contadini che sembrano usciti dalle foto degli opuscoli turistici, tagliano il riso davvero, con i loro cappelli di paglia a forma di cono e la falce. Lungo la strada ci sono anche tantissime bandiere laotiane e molte bandiere rosse con la falce e il martello, a ricordarci dove siamo.
Nonostante le numerose attrattive naturali, Vang Vieng e' purtroppo diventata soprattutto una sorta di divertimentificio, dove sui menu' di alcuni ristoranti compaiono numerose droghe e dove girano senza vergogna, come fossero in casa loro, numerosi occidentali (di entrambe i sessi) seminudi, alcuni con le sole mutande. Questi personaggi, che vagano sempre ubriachi per le vie, ci chiediamo cosa cerchino qui e che ricordi avranno del Laos. E' sempre per loro che vengono offerte attivita' ad alta adrenalina che spesso, sembra, si concludono con incidenti fatali. Il paese e' cosi' diviso tra un'area fuori dalle regole, dove si urla fino a notte tarda, e quella meravigliosamente tranquilla e piacevole degli altri turisti "normali".
La nostra gita ad una caverna (Tham Phou Kham), ci fa percorrere una strada sterrata dove, al posto dei taxi collettivi genere Apecar, il servizio e' svolto da trattorini con rimorchio tipo carro di legno con un lunghissimo albero di trasmissione (2 metri ca.), come le long tail boat thai.

Inizia la salita!
Pochi km dopo l'uscita da Vang Vieng, la strada si inerpica tra le falesie di pietra calcarea che sembrano castelli di sabbia modellati dai bimbi sul bagnasciuga. Sono ricoperte di foresta, con alberi anche giganteschi e le nubi che giocano ad appiattirsi nei fondovalle: il paesaggio e' fatato.
In questi primi giorni di Laos, incontriamo 4 coppie di cicloturisti, non tutti simpatici, ma tutti sembrano sfoggiare grande sicurezza lontano dalle montagne. Il primo giorno di montagne, le salite ci sembrano gia' dure. Le prime due coppie che incontriamo, provenienti da nord, non ci dicono pero' nulla di particolare riguardo il proseguo del percorso. La terza coppia, lui di Chicago, lei del Minnesota, accennano alle "few hills" che ci attendono in direzione L.P. Restano vaghi rispetto al loro itinerario futuro e passato.
Prima del nostro stop notturno, incontriamo una coppia di neozelandesi che ci raccontano di essere reduci da 8 giorni di infezione intestinale che li ha molto debilitati e di avere percio' deciso di prendere il bus per saltare le montagne che ci attendono. Lui mostra ad Ale una cartina con l'altimetria e le pendenze del successivo tratto di strada e iniziamo a renderci conto precisamente cio' che ci aspetta: ad esempio, i 900 metri di dislivello in 25 km. E questo sara' solo l'antipasto.
Per questo, decidiamo, avendo gia' percorso in salita piu' di 80 km, di fermarci proprio li' dove siamo, in una guesthouse-ristorante in mezzo ai bricchi. Questi ragazzi, sono gli unici che, pur avendo fatto la strada solo in bus, ci dicono che le salite sono terribili.
I due ragazzi ci raccontano poi di aver pedalato in Borneo, a Sumatra, di essere passati dalla costa est della Malesia al Laos. Forse, come i gatti dalla coda mozza, han trovato un modo per saltare la Thailandia! Siamo troppo stanchi tutti e 4 per andare avanti a parlare dei rispetivi itinerari e ci congediamo, rassicurandoli che la strada, ormai alle nostre spalle, per loro sara' in discesa.
Dormiamo in un piccolossimo bungalow, dove dobbiamo condividere il bagno con due ragni da competizione australiana; inoltre, due simpatici geki sul soffitto lasciano cadere le loro copiose deiezioni su di noi: la notte dormiamo solo grazie alla zanzariera che fa da protezione psicologica e non solo, usando il piumino a disposizione, vista la temperatura molto bassa.
Il giorno dopo, riprendiamo con una discesa di pochi km, prima della salita interminabile di 17 km che ci portera' intorno ai 2000 metri. Il paese che raggiungiamo e' lo snodo viario per il Vietnam, a destra, mentre noi proseguiamo a sinistra in direzione Cina. Lungo le pendici delle montagne, avvistiamo solo le poche persone che le abitano, attraversando i loro poverissimi villaggi.
Dopo esserci rifocillati con banane fritte, frittelle di mais, pomeli, una scatola di biscotti e l'ottimo caffe' laotiano, sapendo che non c'e' quasi nulla tra noi e la successiva fermata, Kiew Ka Cham, ripartiamo gia' provati. La strada prosegue solo o in salita o in discesa, gli oltre 250 km che separano Vang Vieng da L.P. prevedono non piu' di tre km di piano. Anche il paesaggio subisce mutazioni continue, dalle falesie passa alle montagne piu' massiccie, meno ricche di foresta, a cespugli stile macchia mediterranea, per ritornare poi ad essere piu' coltivato. La situazione di alcuni villaggi appare miserevole come quelle di certe zona di Sumatra, con case di bambu' e terra battuta intorno, gli abitanti costretti a lavarsi solo nei fiumi o alla fontana, quando c'e' grazie a qualche progetto di questa o quella ONG. Potremmo essere in un villaggio medioevale.
Ancora indonesiana, appare la situazione scolastica: bimbi che non vanno a scuola e bimbi che escono molto presto da scuola. Bimbi che lavorano. Le divise, pero', soprattutto quelle femminili, sono elegantissime: la gonna tradizionale e una camicia bianca.
Oltre al solito pollame, circola ben poco: mano a mano che ci si addentra nel cuore di questa zona, la poverta' cresce e spariscono anche i pochi animali domestici che usualmente accompagnano la vita contadina. Vediamo adulti senza incisivi, come in Madagascar, a causa della malnutrizione. Queste sono anche le zone una volta abitate dall'etnia Hmong che a causa del sostegno agli americani durante il conflitto in Vietnam, e' stata cacciata nei boschi e percio' costetta a sopravvivere come ai tempi dell'eta' della pietra. Ora si sono reinsediati nelle antiche aeree, ma la poverta e' notevole. Vediamo pero' donne ancora con gli antichi, bellissimi, costumi tradizonali.
Arriviamo a destinazione sfatti, dopo che, nell'ultima, ennesima, salita, sfrecciano in direzione opposta, tantissime scolare, probabilmente uscite dall'ultimo turno. Ci sorridono e salutano, velocissime, volando con le loro bici. Un'immagine che ci scalda il cuore e ci da energie sufficienti per arrivare in vetta, dove ci attende una guesthouse che e' una delle topaie piu' topaie mai incontrate nella nostra vita: solo in India, in un paio di occasioni, forse, abbiamo dormito in un posto cosi'!
Pochissime le macchine che incontriamo tra le montagne, qualche minivan nuovissimo trasporta turisti, qualche altro mezzo di trasporto piu' o meno omologato come "automezzo" trasporta locals, qualche camion diretto in Cina e ...nessun cicloturista!
Uno di questi nuovi van, da cui scende un gruppo di turisti thai per la pausa pomeridiana, si ferma proprio davanti a noi; increduli, i thai ci fotografano e riprendono e ci chiedono da dove abbiamo pedalato, commentando tra loro. Saremo sull'album virtuale delle vacanze laotiane di uno di loro.

Arrivo in discesa
La mattina dopo, sono 20 km di discesa, tra la nebbia fitta e il freddo-umido (che ci obbligano a fermarci ogni ca. 5 km per sgranchire le mani che devono frenare in continuazione), seguiti da 22 km di salita. Oltre al restante kilometraggio che ci aspetta per giungere, infine, a LP!
Appena scollinato, c'e' una sorta di baracca-caffe' con una vista meravigliosa sulla vallata incisa dal fiume Nam Khon, che entra nel Mekong prorpio a L.P.: giu', molto giu', c'e' il paese di Xieng Ngeun, dove ci fermiamo poi per pranzare con un'ottima zuppa, prima degli ultimi km, fortunatamene non impegnativi.
Dopo un'ultima salitina inaspettatamente ripida, ci sono gli ultimi 5 km di discesa facile che ci portano a destinazione.
Questi 400 km, tra Vientiane e Luang Prabang, ne valgono 1000 per la durezza della catena montuosa tra qui e Vang Vieng, ma siamo orgogliosi di averli pedalati! Tra le montagne, irte, da tappa pirenaica, non abbiamo incontrato nessun cicloturista e questo ci fa sospettare qualcosa...di certo, solo un giapponese, un giorno prima di noi, le ha pedalate in questi giorni.
Dato che non torniamo in Italia in sella alle bici (impiegheremmo troppo e i sensi di colpa e gli affetti essendo troppo forti), torneremo nella capitale in bus anche noi, per proseguire il nostro viagggio questa volta verso sud.
Ad eccezione della parentesi in alta quota, qui fa caldo, ma il cielo, a differenza di quello thai, e' sempre limpido perche' la stagione delle pioggie sembra essere passata.
Luang Prabang, citta' patrimonio mondiale UNESCO, e' una meraviglia, pure lei, un gioiello incastonato tra le montagne e posta alla confluenza di due fiumi, di cui uno, il Mekong, di per se' mitico.
I suoi templi sono caratteristici, ben conservati o appena restaurati, le case coloniali e tradizionali si susseguono, cosiccome le sue vie di pave' e sono in vendita le miriadi di oggetti dell'artigianato tradizionale delle mille etnie che abitano queste zone, in particolare sete e cotoni. Per noi mancherebbe solo una passeggiata lungo fiume, come a Melacca, ma stare qui 3 giorni e' stato davvero rilassante (le ginocchia, invece, urlano ancora vendetta!). La cascata visitata oggi (Tam Sae) compete per bellezza con quella vista a Kantchanaburi. Farsi il bagno e' rinfrescante e ripaga della fatica che si fa per raggiungere qualsiasi posto nei paraggi!

L'attesa per la sorte della coop continua...il Comune ha rimandato di una settimana la sua decisione.

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