lunedì 27 luglio 2009

Verso dove

Noi abbiamo paura
Useremo il Noi, parleremo della Diapason, la cooperativa per la quale Ale lavora da anni, perche' in questo momento ci sentiamo entrambi appartenenti (anche Gaia ci ha lavorato) e fieri di un'organizzazione che si e' sempre fatta apprezzare per la qualita' del suo lavoro.
Dopo aver ricevuto un sms, apprendiamo infatti da agenzie di stampa che un'educatrice trentenne (nello stesso articolo e' insegnante e poi ancora assistente sociale!) e' stata sorpresa in flagrante a letto con un minore di 13 anni da lei seguito, in qualita' di EDUCATRICE. Questa educatrice e' (era!!!) della nostra cooperativa! la nostra!
E il mondo ci crolla addosso tra l'incredulita', lo sbigottimento, la vergogna, la rabbia forte e feroce.
Sembra che il Comune di Milano abbia sospeso tutti i servizi e voglia rescindere ogni contratto con la nostra cooperativa. Ma non si parla di mela marcia nel caso di apparati istituzionali? o di preti pedofili? o di secondini aguzzini? In quel caso non si parla mai di eliminare le forze dell'ordine, la Chiesa, il carcere...
Il paragone non e' casuale.
La rabbia. Non e' possibile che il gesto ingiustificabile, impensabile e inqualificabile di una mela marcia (e ci limitiamo a definirla cosi') sia il pretesto per distruggere, cancellare, eliminare (perche' di questo si tratterebbe!) un'intera organizzazione con centinaia di persone che spendono le loro vite, le loro energie, la loro professionalita' per offrire servizi alle persone veri, reali, di qualita' senza ricevere spesso un adeguato compenso e un adeguato riconoscimento dalla societa' (piu' o meno civile). Centinaia di persone che hanno costruito una solida, seria cooperativa rischiano di restare per strada senza avere nessuna colpa. Noi non possiamo accettarlo. Non e' giusto.
Dalle agenzie di stampa apprendiamo che l'educatrice sembra aver detto, colta in flagrante, alla madre del minore: "Dovevi picchiarmi, ma non chiamare i carabinieri". E la rabbia monta ancora di piu'. Ancora sembra aver detto di "essere innamorata, confusa.." E la rabbia esplode. Mista alla vergogna che abbiamo provato e proviamo per essere stati toccati, coinvolti come professionisti, come categoria, da un gesto inqualificabile.
Come puo' un trentenne andare con un tredicenne (e la stampa parla di "consenso"). Cosa puo' condividere un trentenne con un tredicenne? Quali pensieri? Cosa possono dirsi da pari a pari? Come si puo' parlare di amore?
La morale. Ma le parole "mi dispiace" non sono mai uscite? Quelle parole cosi' ridondanti e stanche e strappate e povere, spesso solo autogiustificatorie, non sono state pronunciate? Quelle parole sono il minimo, non accettabili, ma e' il minimo che uno possa dire! Ma in che posto viviamo? Quale societa' e' una societa' in cui si possono commettere simili azioni? Noi abbiamo paura di viviere in una societa' in cui si possa anche solo pensare di fare alcune cose. Quando il pensiero e' formulato e' gia' azione in potenza.
Noi abbiamo paura di questi pensieri! Ma le persone sono coscienti del ruolo che ricoprono?
L'etica. Se una persona e' incaricata di coprire un certo ruolo, svolgendo un certo lavoro ha chiaro cosa le si chiede? I pensieri corrono liberi e la risposta e' sconfortante. Se un carabiniere, un poliziotto... terrorizza e traumatizza liberi cittadini che manifestano, come a Genova siamo stati terrorizzati e traumatizzati, quale senso e coscienza del ruolo puo' avere? Lui/lei e' chiamato a proteggere le liberta' dei cittadini. E' pagato per far rispettare quelle liberta'.
Se un prete approfitta della fiducia che gli viene concessa, proprio per il ruolo anche sociale e non solo "spirituale" che riveste, per traumatizzare e violare bambini, quale senso e coscienza del proprio ruolo puo' avere?
Un educatore ha un compito, riveste un ruolo, deve essere cosciente e consapevole di questo e di cio' che comporta. Non puo' approffittare della propria posizione, del proprio ruolo per traumatizzare, violare, usare... abusare un minore e la sua famiglia!!!
La vergogna.
La provocazione di Foucault su chi controlla i controllori e' piu' che mai attuale. Chi deve controllare deve essere controllato e rendere conto del proprio operato. E le mele marce devono essere tolte dal cesto!!! o, meglio, non entrarci mai!!!
E' domenica quando leggiamo la posta e non possiamo nemmeno chiamare la coop per sapere qualcosa. Ci chiediamo se terminare il viaggio. Continuiamo a ripercorrere il gesto e i gesti che devono aver riguardato questa "educatrice" e poi le parole riportate dalla stampa. Pensiamo a come tutto possa finire senza preavviso in un attimo, solo per il gesto di un singolo individuo. Lunedi' chiamiamo la coop, ma il numero e' sempre occupato. Non sappiamo ancora nulla. Tante vite, di utenti e lavoratori, dipendono dal gesto sconsiderato di quella persona adesso agli arresti domiciliari e con un figlio piccolo. Si perche' e' anche madre, l'educatrice. Ci viene in mente che si meriterebbe quanto meno un sit in sotto casa, con dei cartelli che almeno le ricordino che esiste la vergogna, che la facciano finalmente pensare alle conseguenze delle sue azioni. Un sit in silenzioso o dei cori, non sappiamo cosa verrebbe piu' da fare sotto la casa di qualcuno che per un gesto immorale, contrario all'etica e illegale sta rovinando la vita a tante persone. Con un battito di ciglia.

Noi abbiamo paura. Ma decidiamo di andare avanti e di scrivere le mail come abbiamo fatto fino ad ora. Anche se dentro di noi sara' diverso.

domenica 19 luglio 2009

A nord del Krakatoa

Traghettino un po' da paura, aria condizionata a manetta, sospetto tentativo di furto delle bici e dalla Malesia sbarchiamo a Dumai, Sumatra. L'impatto e' di quelli duri. La tristemente nota haze (la densa cappa derivante dal taglia e brucia, dallo smog e dall'incendio dei rifiuti per le strade) indonesiana avvolge tutte le cose. Fa caldissimo appiccicosissimo.

Primi passi in Indonesia
Check-in e check-out tipo aereoporto. Solo che qui ci puntano un pistolone misura temperatura alla testa e sembra che possiamo passare...non sappiamo se vogliamo davvero! Gaia ha il suo tremendo mal di testa che arriva ogni tanto. Sul traghetto Indomal proiettano improbabili film cino-americani e video assurdi di cantanti neomelodici indonesiani; stessa musica alla Nino D'Angelo. Pazzesco, ma e' cosi'. Dopo 5 ore non vedi l'ora di sbarcare e lo shock termico e culturale e' immediato. La strada che esce dal porto in direzione della citta' e' enorme, ma sembra la Mostar-Sarajevo dopo il conflitto. C'e' polvere dappertutto, smog, rumore e moto che sembrano star scappando dall'ennesima eruzione. Arriviamo ad un hotel. Non esiste doccia, ma solo un vascone di acqua putrida con un mestolo per vuotarsela addosso. Il cesso e' davvero un cesso, ma tutti se la tirano, manco fossimo al Ritz...

Mangiamo in un posto defilato, costa "caro", ma probabilmente solo per noi...Le banche sono gia' chiuse e cambiamo da un gioielliere. Nessuno vende cartine di Sumatra.
Torniamo in albergo, dove Gaia si addormenta e russa. Ale si fa la doccia. Gaia si sveglia e vomita, dopo aver puntato l'orologio per l'indomani mattina (sono circa le 18). Continuera' per 5 volte, nonostante non abbia mangiato nulla. Vomitare in una turca non e' semplice, specie alla quinta volta! Naturalmente, non esiste lo sciacquone e per "tirare l'acqua" si usa il mestolo di cui sopra...anche questo non e' semplice se non si e' in formissima.

In sella!
Ci svegliamo prestissimo con il muezzin. Dopo la colazione, che decidiamo di continuare ad autogestirci per cercare di nutrirci in maniera adeguata almeno la mattina, ci immergiamo nel traffico gia' caotico con una visibilita' di 250 metri ca. L'aria e' irrespirabile, gli occhi bruciano. Siamo usciti da Dehli ed entrati a Jaipur in bici ed era meglio!

Ma dove va tutta questa gente? Il traffico ci assale ad ondate e non cessa nemmeno dopo molti kilometri dalla citta'. Il paesaggio e' inesistente: non ci sono case in nessuno stile, ma blocchi di cemento e lamiera, non ci sono alberi, ma solo qualche moncone bruciato. Auto, moto, camion, bus non danno tregua. L'unica regola sembra essere il piu' grosso passa, non prima di aver suonato.

Come B. Chatwin ci chiediamo: "Ma che ci faccio io qui?"
Unica nota interessante un serpentello nascosto in una buca della strada (quindi esistono davvero animali!) e i portapacchi delle moto in vimini e a bilanciere. Ne incontreremo anche di piu' raffinati, a bilanciere-baule di legno.

Arriviamo a Duri sfatti come se avessimo pedalato tutto il giorno e decidiamo di fermarci, anche se e' presto, perche' non sappiamo se ci sara' da dormire piu' oltre. Siamo neri di smog. Sumatra ci appare come il girone dantesco dove finiscono tutti quelli che usano troppo l'auto e l'aria condizionata: un inferno irrespirabile e bollente. Tutta questa zona ha abbandonato la produzione di caffe' quando e' stato scoperto il petrolio. Ora il simbolo della Chevron campeggia ovunque e si vede la pipeline per moltissimi km.

La stanza dell'hotel ha un lavandino, ma e' intasato di vomito e non e' quello di Gaia...pero' ha la colazione compresa...il misterioso lontong. Scopriremo che si tratta di una zuppetta di latte di cocco e spezie, salata, con verdure, patatine stile "ali di drago" cinesi e cubetti di bianco d'uovo sodo. Anche mr. Tuffy lo avanza...

Ci rimettiamo in marcia per arrivare a Pekanbaru, il traffico che si e' fermato solo poche ore, durante la notte, riprende piu' tremendo che mai. La strada e' poi una sorta di montagna russa del luna park e respirare sembra impossibile; in alcuni punti e' interrotta e ci sono delle donne che lo segnalano tenendo in mano dei cestini della pattumiera dove alcuni infilano dei soldi per il servizio reso. Iniziamo a chiederci se abbia senso pedalare a Sumatra. Il pane c'e', ma di rose nemmeno l'ombra...

A Pekanbaru, altra citta' infernale e gigantesca, riusciamo finalmente e recuperare una cartina di Sumatra in un mega centro commerciale che coesiste nel delirio di una citta' simil baraccopoli. La cartina e ' di quelle che andrebbero appese in classe, ma qui non molti bammbini vanno a scuola. Dormiamo pero' in una casa privata, in una zona residenziale relativamente tranquilla. Riusciamo a mangiare quel che vogliamo, un po' perche' abbiamo imparato qualche parola-chiave in lingua locale, un po' perche' qui qualcuno parla un po' di inglese.

Incontriamo un siciliano espatriato (viaggiatore amante dell'oriente) che ci dice che a lui l'Indonesia non e' piaciuta per niente, ma ci rassicura sul fatto che ad ovest c'e' molto meno traffico e il panorama e' diverso.
Decidiamo percio' di prendere un bus per Bukittingi, da dove riprenderemo a pedalare in direzione nord.

Con mezzi non propri
Arrivati alla stazione degli autobus (e similari!), contrattiamo il nostro trasporto con bici al seguito; il bus e' stranamente vuoto e infatti pochi kilometri dopo, dobbiamo scendere e salire su di un altro, gia' pieno, dove vogliono che paghiamo altri soldi per far salire le bici: non se ne parla! Forti dei molti viaggi fatti, insistiamo che abbiamo gia' pagato per le bici e quando sembra che le cose si stiano mettendo male, chiediamo con una certa fermezza di aver i soldi indietro: a questo punto ci imbarcano.

Il viaggio e' un'epopea di 250 km, ma 8 ore che vedra' tra i suoi protagonisti venditori di ogni genere di cibo, improbabili suonatori di chitarra e umanita' varia. Da segnalarsi in particolare una coppia di menestrelli in cui uno canta e suona, piuttosto male, mentre l'altro batte le mani ad minchiam. E' difficile non scoppiare a ridere.

Bukittingi e' per fortuna una bella cittadina a circa 1000 metri di altitudine, pulita e con qualcosa da offrire a noi turisti. Molti la usano come base per la scalata del li' vicino vulcano Merapi.
Finalmente, cessato il rumore e dissoltasi la cappa di smog, possiamo apprezzare il panorama e i venditori di cibo di strada, ognuno contraddistinto da un suono diverso per ogni diversa specialita'.

Facciamo una passeggiata che, passando il canyon li' vicino e la jungla, ci porta ad un bel villaggio con le tipiche case locali col tetto a forma di corna di bufalo in mezzo alle risaie: finalmente si respira! Qui c'e' anche uno dei mercati piu' belli mai visti, dove acquistiamo il preziosissimo yogurt di bufala, venduto in recipienti ricavati da canne di bambu' tagliate. Molte delle case sono nello stile tipico di qui e la pattumiera non e' ovunque. Anche le fogne a cielo aperto sono piu' discrete.

Da qui pedaliamo alla volta del lago (danau) Maninjau che occupa il cratere di un vulcano spento. La strada per arrivarci e' impegnativa, ma bella, nella foresta, dove ci sono anche molte scimmie e ben 44 tornanti (tutti segnalati e numerati) per ridiscendere al livello del lago.
Dormiamo in un piccolo hotel super basic, ma con una straordinaria terrazza comune sul lago e le circostanti montagne: stupendo. Qui i villaggi si susseguono e sembrano dediti alla pescicoltura oltre che alla risicoltura. Il posto merita anche per la sua tranquillita'. Vediamo degli strani uccellini con il cappuccio bianco tipo aquila americana.
Bambini e adulti sono impegnati a far volare dei bellissimi aquiloni fatti da loro. Ci dicono che dopo il raccolto, quando c'e' vento, lo fanno "just for fun".

Simpang Empat, Rau, Panyabuang, Padang Sidempuan
Da qui, pedaliamo per strade e sostiamo in luoghi che non ci dicono molto, ad eccezione della bella foresta vicino a Panti, dove pero' non scorgiamo alcuna forma di vita se non alcuni scoiattoli. E dire che Sumatra e' casa oltre che dell'omonima tigre, anche del recentemente fotografato rinoceronte nano!

Salite e discese ugualmente impegnative si susseguono e in alcuni tratti il traffico riprende, mentre in altri la strada e' un gruviera che non ci consente quasi di rispondere al profluvio di saluti che ci giungono da ogni angolo delle strade e della foresta.
In alcuni momenti e' persino imbarazzante, nenache fossimo il pontefice sulla papamobile che attraversa il Vaticano, o un gruppo pop. Ci dicono, senza badare al nostro sesso, indistintamente: "Hello Mister" (con l'accento grave, come fosse un mistero francese...) o "Hello Miss". Alcuni si limitano a richiami piu' o meno gutturali. Tutti vogliono un saluto. Noi predilegiamo i bambini e quelli con il machete...

Veniamo anche fotografati con il cellulare da alcuni. In un villaggio, dove siamo fermi per il pranzo, chiamano l'insegnante di inglese che arriva trafelata ad intrattenerci.
Lungo una strada di montagna, sembrano essersi passati parola e ci sono gruppetti appostati per il saluto o la foto d'occasione. Alcuni in moto si accodano e quando li "sgami", sorridono ingenuamente.

Quando alcuni ci chiedono da dove veniamo, alla risposta "Italia" non sanno cosa dire perche' non la conoscono nemmeno.
Ma ora sappiamo cosa potremo rispondere: veniamo dal Paese dove un comico forse diventera' segretario di partito!! Forza l'Italia!

La nostra destinazione e' ora il lago Toba, un altro lago vulcanico, quindi cercheremo di fare trekking per vedere gli orang utan, prima di rientrare in Malesia, che in questo momento ci manca tanto!

mercoledì 8 luglio 2009

Ritorni

Come vi avevamo anticipato, Singapore e Malesia sono un ritorno, dopo 7 anni, che e' tanto, soprattutto qui in Asia, davvero in espansione non soltanto demografica.
Ora siamo nella splendida Melacca e dopo questa breve pedalata sulla piattaforma eurasiatica, domani saremo di nuovo su un'isola: Sumatra, Indonesia.
Qui di seguito, in ordine sparso, le cose che abbiamo ritrovato e quelle che invece sono cambiate (forse nella nostra memoria).

Dolci
Ritroviamo la Chinatown di Singapore con tutti i suoi mercati, che pero' ora sono "istituzionalizzati" e coprono anche, purtroppo, alcune delle vie piu' belle, con le case tipiche colorate coperte dalle bancarelle. Smith st. che prima aveva baracchini di cibo un po' in ordine sparso, ora e' una tavolata unica e gli stall sembrano ormai normali ristoranti. Nuovi negozi sono spuntati qua e la'. I dolci, prima quasi introvabili, sono ovunque e in stile occidentale. Noi pero' proviamo un piccolo posto che offre tipici dessert di Hong Kong (sembra aver vinto dei premi ed e' raccomandato da una famosa critica gastronomica di qui). Favoloso!!!! andate sul sito! www.jidechi.com.sg

Altro
Anche per la Malesia: le strade sono dell'asfalto di chi ha il petrolio che ci ricordavamo, ma quanto traffico in piu'! Molte piu' macchine nuove, ma ancora le puzzolentissime moto che ti appestano, specie in coda ai semafori; i semafori sono a 4 tempi, infiniti, e mostrano spesso quanti secondi devi aspettare e quanti ne hai per passare; a lato strada c'e' un grosso spazio, come un'altra corsia (asfaltata o meno), dove la gente arriva, contromano, anche con falci che sporgono pericolosamente almeno per le teste dei ciclisti!!! E' pieno di nuovi, mega shopping centre, nuove case, alcune splendide, costruite secondo lo stile tradizionale di qui. Estese piantagioni di palma da olio impregnano l'aria.Il caldone e' quello che quando arrivi a meta, passati i 100 km, ti senti un'ameba e non vorresti uscire nemmeno per mangiare. Sei zozzo di scappamenti diesel o a due tempi, come solo a Cuba eravamo, e tutti intorno a te sono sempre molto piu' puliti. Quando ti lavi, sugli asciugamani ritrovi tutto il nero, che credevi di esserti tolto sfregandolo bene. I negozietti locali ora sono pieni di merci di ogni tipo, compresa pasta italiana! Kluang si conferma citta' della scarpa e gaia acquista paio di sandalicheipiedinonnepotevanopiu'dellescarpedatennismentrealegia'avevadatoenonpuo'piu'
comprarneperora! Muar, citta' degli occhiali, si e' ingigantita ed ora pare un capoluogo, mentre prima era una cittadona di provincia. Le sue bancarelle lungofiume, meravigliose, dove si mangiava pesce fresco alla griglia (Ale), sono scomparse: si sono trasformate in ristorante senz'anima in cemento. Le scimmie attraversano ancora la strada, veloci e guardinghe. I cani continuano ad aspettare i ciclisti al varco (ci ricordiamo di un branco, forse di 50 cani sulla costa est: terrificante!). Aspettiamo di rivedere i serpenti, spiacciccati e non lungo la strada (per ora solo uno). Sempre presenti, numerosissimi, i tipici ristorantini all'aperto (genere: tettoia comune, tavoli e sedie, diverse cucine con le proprie specialita') con cibo indiano, malese o cinese.
I gatti continuano ad essere la nostra gioia! Meritandosi un paragrafo ad hoc.

Cats rule!
Sembra che i Malesi medi amino, almeno quanto noi, i gatti. Abbiamo ancora viva l'immagine di un gattone rosso che entrava in un tempio cinese: lo seguiamo, con il codone alto che se ne va bel bello per la sua strada, chiedendoci dove diavolo vada ed eccolo che arriva al tabernacolo delle offerte agli dei felinomorfi e si sbaffa serenamente cio' che i fedeli hanno lasciato! E anche i gatti che dormono tranquilli ovunque. Sembra essere ancora cosi'. Ma cio' che ci aveva spinto a stilare una tassonomia felina e' la peculiarita' della coda malese: coda mozza, coda mozza ritorta, coda ritorta, coda lunga (rarissima!), supermozza, supermozza ritorta! Dopo questa seconda indagine, vi sapremo dire se esiste anche la fattispecie mezza mozza ritorta!

Torniamo alle cose
Il mitico cendol, una sorta di granita/gelato con fagioli di soia, vermetti verdi (soia?) e palline rosa dolci non meglio identificate, zucchero, latte condensato e pure' di frutta. Qui a Melacca ne prendiamo uno al mitico durian, un must. Il durian e' l'unico frutto yang per la medicina cinese, adorato in oriente, impegnativo per il palato occidentale. Odora di formaggio stagionato penetrante, quando lo apri sembra fatto da tanti piccoli feti, il colore e' bianco-giallo, in bocca ha il sapore e la consistenza del taleggio, con un tocco di pesca. Non ci era piaciuto particolarmente, ma nel cendol e' decisamente interessante. Adesso e' anche la sua stagione e te lo svendono ovunque!

Il te e' sempre buonissimo ovunque, ma adesso sono spuntati tantissimi locali che offrono caffe'. Il succo di lime, allungato con acqua zuccherata, calda o fredda o con ghiaccio, e' la cosa piu' dissetante che un ciclista possa trovare, sempre sperando che l'acqua usata sia bollia o purificata. L'acqua, ora, in molti posti e' offerta purificata e si puo' bere tranquillamente (ma non quella del lavandino!).

I trishaw, che a volte ci offrono un passaggio anche se siamo in bici! Bellissimi tanto sono kitsch, addobbati piu' di un albero di Natale, dotati di altoparlanti da cui esce musica, piu' o meno improbabile, piu' o meno a palla. Con il calar della notte, accendono le luminarie, offrendo un spettacolo di sons et lumieres degno di Versailles!
Melacca, dallo scorso anno e' world heritage town, si sta facendo decisamente bella, se gia' non lo era abbastanza. Il lungo fiume fa concorrenza a Venezia o Amsterdam, la Chinatown, con le sue case antiche cino-olandesi, zeppe di negozi, ma anche magazzini, sara' ora sicuramente preservata.

Gli hotel continuano ad offrire le catogorie topaia e topaia di lusso, ma accanto a queste notiamo vecchi hotel rimessi a posto e puliti.
Alla proposta di Ale di fare un sopralluogo in un hotel categoria topaia, Gaia risponde: "Non dormo negli hotel dove ho paura ad entrare". Vedremo...

venerdì 3 luglio 2009

per voi

Abbiamo fatto sviluppare su cd un rullino non dia. Eccovi alcune foto australiane...
Nell'ordine:
1) forze dell'ordine ad Adelaide


2) il mango: il nostro sogno... il nostro amore!

3) in campeggio nell'outback la mattina