giovedì 10 dicembre 2009

spizzichi e bocconi

In quest'ultima mail troverete: gli ultimi km percorsi, gli ultimi giorni in Thailandia e vari pezzi "rifiutati dall'editore". Insomma potete tranquillmente evitarla...
Ringraziamo e salutiamo tutti e approffittiamo per dire che abbiamo sempre risposto a tutti/e. Se non avete ricevuto risposte e' perche' non abbiamo mai ricevuto la vostra mail o voi la nostra (cosa successa parecchie volte, anche con i parenti).

Tutti a festeggiare il re
A Sa Kaeo, mentre prendiamo un caffe' (fermando un moto-baracchino al volo), arriva uno strano personaggio, con evidenti problemi psichici, che parla il Thai e si assicura che otteniamo dalla venditrice quello che vogliamo (anche se avevamo gia' ordinato). La venditrice ammicca e ci guarda un po' perplessa. Lui ci dice di essere svedese e che considera tutti gli europei "fratelli", ma... gli americani no! Ci fa le solite domande e alza il pollice quando gli diciamo che viaggiamo in bici e poi se ne va.
La tappa successiva ci porta a Chachoengsao, oltre 130 km di sali scendi dolci e strada tranquilla tra i campi di canna da zucchero e alberi che assomigliano a pioppi.
Incontriamo un cicloturista di 72 anni che ne dimostra almeno 10 in piu'. Sta andando in Cambogia e ci fa qualche domanda. E' messo maluccio forse perche', ci racconta, qualche anno fa ha avuto un attacco di malaria fulminante che lo ha reso incosciente per due mesi. Nemmeno in Canada (vive la' anche se e' tedesco) gli avevano dignosticato la malattia. Nonostante tutto ha sempre voglia di viaggiare in bici.
Prima dell'arrivo, abbiamo l'ultimo incidente di percorso, Gaia prende qualcosa e taglia il copertone quasi nuovo, forando: fortuna che abbiamo ancora i ricambi!
Fatichiamo a trovare un hotel, ma una topaia che ci aspetta c'e' sempre! Fa talmente schifo che il giorno dopo andiamo a cercare qualcos'altro. Decidiamo, infatti, di fermarci qui due giorni per andare a visitare il famoso mercato (talat) flottante di Ban Mai.
La citta' e' gigantesca e il suo mercato notturno vivace e ben formito e Talat Ban Mai merita senz'altro di essere visitato. Entri e sei in Cina! Non ci sono farang, ma solo turisti locali/orientali. Le case, tutte in legno, sono di fine '800 e le bancarelle offrono anche specialita' mai viste (e non e' che non ne abbiamo viste...), ma e' la luce, l'atmosfera e la posizione sul fiume che lo rendono interessante e cosi' diverso da ogni altro fin'ora visto. Gaia ne acquista la maglietta!
E poi... poi l'ultima tappa: dritti nell'inferno di Bangkok, per fortuna con il traffico "leggero" della domenica (invece che 10 milioni di automezzi solo 7!). Questa volta, pero', abbiamo acquistato e indossiamo le mascherine che qui usano in molti...
Gia' dal giorno prima del nostro ingresso nella megalopoli, sono iniziati i festeggiamenti per il compleanno del re, quest'anno particolarmente sentito perche' e' molto malato e potrebbe essere il suo ultimo... Molte le strade bloccate e il traffico deviato, insomma questo con l'aggiunta dell'imminente Natale e le orde di turisti, rende la citta' ancora piu' caotica.
I festeggiamenti si protraggono eccezionalmente, a furor di popolo, per una settimana intera fino al 13, giorno in cui partiremo. Viene rimandata anche la manifestazione dei sostenitori di Taksin (che nel frattempo e' diventato consigliere economico del governo cambogiano, come se Berlusconi diventasse consigliere antimafia del governo albanese...). Fuochi pirotecnici spettacolari accompagnano le serate per tutta la settimana (ce ne e' anche a forma di cuore!).
Noi ci buttiamo, prima, nuovamente nel centro commerciale della City, poi, a Chinatown non senza aver sperimentato il trasporto pubblico lungo fiume (Chao Phraya) molto piacevole soprattutto in una citta' cosi' trafficata.
Questa Chinatown e' forse la piu' bella e dinamica mai vista, anche se si fatica a muoversi (e respirare) in alcuni punti. Ci viene sempre piu' voglia di visitare la Cina vera!
Rincontriamo il tedesco "fuggito" dalla psichiatria teutonica incontrato a Chaya, manchiamo invece l'incontro con Hirsch (il cicloturista americano incontrato in Cambogia) perche' ha la bici a riparare e stiamo da parti opposte della citta'; ci teniamo in contatto e forse ci verra' a trovare in Italia...
Durante questo anno di viaggio, ne abbiamo viste tante, di cose belle e di cose brutte, alcune non le scorderemo mai: la stellata sopra Lake Tekapo, il tramonoto del sole e il contemporaneo sorgere della luna nell'outback, gli ululati dei dingo, i mille colori di pappagalli e farfalle, il rumore assordante della giungla la notte, il volto di mamma orango. I volti delle persone. I sorrisi. I saluti.
Ma, parafrasando Saramago, il viaggiatore sa che non ha visto nulla se non ha visto quel luogo al tramonto e all'alba, che non ha visto nulla se non ha visto quel luogo coperto di neve e arroventato dal sole, che non ha visto nulla se non ha visto quel luogo coperto di foglie in autunno e di fiori in primavera.
Abbiamo visto qualcosa. Ora il freddo inverno milanese ci attende. Chissa' quali fiori stanno sbocciando in Nuova Zelanda...

Diamo i numeri
Partite a scala quaranta: circa 450 tra pre cena e post cena.
Partite a dadi: almeno 1.000. Ci si giocava anche in tenda, ci giochi quando sei stanco, mentre aspetti qualcosa...
Litri d'acqua bevuti: siamo passati dal picco di 12 litri al di' nell'outback australiano ai 3 litri nell'inverno della Great Ocean Drive. Facendo una media, sono circa 2.100 litri consumati. Ci teniamo a sottolineare che in NZ, AUS, Singapore abbiamo utilizzato solo acqua del rubinetto (anche la misteriosa bore water) che neanche a casa... In Malesia, Thailandia e Laos abbiamo quasi sempre potuto utilizzare distributori di acqua potabilizzata o approfittare della gentilezza di hotel e ristoranti. In Cambogia e a Sumatra abbiamo spesso utilizzato le nostre pastiglie potabilizzanti. Abbiamo cosi' ridotto al minimo l'acquisto di bottiglie di plastica, alcune hanno addirittura fatto la muffa (sara' colpa della bore water?).
Kilogrammi di frutta consumati: circa 600 kg, insomma non siamo riusciti a battere il record del buffet degli elefanti...
Quantita' di uova mangiate: non siamo grandi consumatori di uova che nella nostra normale dieta entrano al massimo nella preparazione di qualche frittata, souffle', torta...
Ma quest'anno a partire dall'ingresso in Asia, volenti o nolenti, abbiamo mangiato spesso due uova al giorno. Facendo una media, abbiamo mangiato in 5 mesi circa 200 uova! Coccode'!
Litigi: uno dopo colazione, innescato dalla domanda di Gaia: "Dove dobbiamo arrivare, oggi?"; uno a meta' mattina, innescato dalla domanda di Gaia: "Ma tu non stai facendo fatica?"; uno prima di pranzo, innescato dall'affermazione perentoria di Ale: "Io ho fame!"; uno a meta' pomeriggio, innescato dall'affermazione perentoria di Ale: "Io ho fame!"; uno per cena, innescato dalla domanda di Gaia: "Fai tutta quella pasta?" o dall'affermazione: "Non ti lamentare se poi ti viene la pancetta...". Per complessivi litigi: vedi litri di acqua consumata.
Copertoni consumati: sette (l'ottavo sara' cambiato a casa, il copertone anteriore di Ale ha retto da Singapore a Bangkok, con tutto quello che ci sta in mezzo).
Camere d'aria: otto. Dopo la sesta riparazione le devi proprio buttare (impossibile, invece, contare il numero di forature).
Luoghi in cui abbiamo dormito (campeggi, ostelli, hotel...): piu' di duecento.
Meccanici a cui ci siamo rivolti: 9. Ma in molti altri abbiamo comprato pezzi di ricambio o chiesto consulenze. Continuiamo a sconsigliare di rivolgersi a Woolley's a Sidney!
Quantita' di crema solare spalmata: 2.200 ml. La maggior parte della quale lasciata da altri, soprattutto negli ostelli. Protezione sempre, anche se si e' gia' abbronzati, quando si sta molte ore al sole a pedalare! Il sole puo' essere cosi' forte da abbronzarti la schiena anche attraverso la maglietta da bici.
Quantita' di crema "salva chiappe": 100 ml. Mitica!
Quantita' di crema "ripara chiappe": 80 ml. Mitica!
Barattoli et simili: nel periodo di punta, siamo stati in possesso e hanno viaggiato con noi piu' di 30 barattoli e tubetti ricaricabili di plastica, da quello per il grasso della bici a quello multiuso per marmellata e miele. Ci siamo alla fine dimenticati di fotografarli tutti insieme, tipo foto di classe.
Cani affrontati: in Thailandia, almeno un cane al giorno ha attentato alla nostra incolumita', ma in alcuni casi ci sono stati interi gruppi di cani. Diciamo 90 cani? Su tutti spicca il famoso pitbull...
Kilometri percorsi in bici: superati i 15.500 km!
(pezzo rifiutato dall'editore con la seguente motivazione: inutilmente tassonomico!)

Codici stradali

Le guide turistiche si soffermano spesso lungamente sulla pericolosita' e spericolatezza della guida nel sud-est asiatico e altrove. Per ogni Paese, viene riferito che l'unica regola e' che ha la precedenza il mezzo piu' grosso. Ma questo e' soltanto il punto di vista superficiale di noi occidentali. Un codice stradale in realta' esiste ed e' rispettato in maniera ligia. Bisogna pero' imparare a conoscerlo. Ad esempio, il cartello stradale "divieto d'accesso" e' cosi' codificato: quando (non se!) andate contromano, dovete tenere il piu' possibile la destra (o la sinistra a seconda dello Stato) e dare la precedenza al mezzo che viene in direzione opposta (anche a una bici!).
Quando il semaforo e' rosso, non c'e nessun problema se girate a destra (o a sinistra...), ma dovete guardare attentamente che non arrivi nessuno negli altri casi.
Lo specchietto retrovisore serve a controllare che il carico non vada disperso e, in subordine, la crescita di nuovi peli superflui sul volto. Se si rompe, tenete percio' in macchina un qualsiasi specchietto e fissate bene il carico.
Quando superate un veicolo o vi immettete in carreggiata, il mezzo che rimane dietro di voi e' l'unico a doversi preoccupare...
(pezzo rifiutato dall'editore con la seguente motivazione: l'editore si addormenta a questo punto della lettura)

Piccoli record
Ale ha utilizzato lo stesso paio di mutande per 150 (centocinquanta) giorni nell'arco del viaggio, lanadole, bien sur. Il penultimo giorno ha affermato: "Non sono piu' elastiche; si sono irrigidite..." e Gaia: "Ma non le dovevi buttare?" Ale: "Sono solo un po' lise... sono quasi nuove, me le ha regalate mia sorella lo scorso Natale..."
(pezzo rifiutato dall'editore con la seguente motivazione: impossibilita' di registrare il record!)

Dal nostro corrispondente a Siem Reap Marie Anne Jumpers
Qui la situazione e' disastrosa: trovare una piscina a forma di cuore o multivasche con idromassaggio e' impensabile. Se Cristo si e' fermato ad Eboli, qui non ci e' proprio mai arrivato e la civilta' si e' fermata all'Angkor Wat...
La noia la fa da padrona! Io a New York gareggiavo con la Hillary Clinton in fatto di vestiti e bon ton, ma qui cosa ci sto a fare io? E chissa' che fine a fatto quella cornuta della Hillary...
Quando mi hanno inviato qui, mi hanno detto di leggere un tale Tiziano Trezzano o qualcosa del genere... ma ho guardato la bibliografia non c'era niente che non mi facesse addormentare gia' dal titolo. Poi mi sono precipitata su "A macchia di leopardo" pensando che fosse una guida pratica all'acquisto di pellicce pregiate nel sud-est asiatico. E invece nulla, nulla di nulla... Ma chi si ricorda e chi vuole sapere delle guerre di trent'anni fa!
E anche la cucina e' un problema. Mentre sei li' che mangi nel tuo bel ristorantino, vengono questi qui a farti "gnam gnam" per farsi dare due soldi. Ma lasciami stare che mi rimane il dolce sullo stomaco! e poi gnam gnam lo faccio io che prendo antipasto, primo secondo, terzo e birra e whisky a volonta'. On the rocks, per fortuna.
E ce ne sono di quelli che vengono li' senza una gamba, senza un braccio... come e' poco chic ostentare le proprie amputazioni! E che noia! Dico, se gia' hai perso una gamba e ti hanno dato l'arto bionico, non puoi venirti a lamentare perche' hai perso anche il braccio e vai in giro col moncherino...Come diceva la mia maestra, la distrazione si paga sempre! . Qui c'e' un intero popolo di distratti!
(pezzo rifiutato dall'editore con la seguente motivazione: ma no dai, no!)

PS. Qualcuno ricordera' Maria Giovanna Maglie, per molto tempo corrispondente inutile per la RAI da New York. Questo pezzo e' "dedicato" a lei e ai suoi inutili servizi giornalistici. Ma anche ai molti barang simili a lei visti a Siem Reap.

Apprendimenti impossibili
Ale e' partito con l'intento di emulare Siddartha: saper pensare, saper aspettare, saper digiunare. Nel corso di questo anno, e' apparso chiaro che i tre pilastri si stessero rideclinando nel seguente modo: aspettare, poco; pensare, male; digiunare, mai!
L'obiettivo e' completamente fallito.

Certo e' brutto finire cosi': Bangkok - Milano via Londra, qualche ora di volo e neppure su un materasso...

giovedì 3 dicembre 2009

In Cambogia

Lasciamo Surin e il suo festival degli elefanti (ca. 300 pachidermi riuniti per l'occasione, un banchetto "reale" per loro e una manifestazione davvero singolare, anche se un po' circense, per noi) e raggiungiamo la Cambogia, che ci siamo tenuti per ultima in questo viaggio che e' partito dall'occidente australe (Nuova Zelanda e Australia) per penetrare sempre piu' in Oriente.
Ci spostiamo, per la seconda volta, su lato destro della strada, ritroviamo le scritte in alfabeto latino e le baguettes, come in Laos, e diventiamo barang.
La Cambogia ci entra subito nel cuore e ora che ne abbiamo assaggiato un pezzetto ci viene la voglia di esplorarla bene in futuro... con delle bici piu' adeguate.

Elefanti e cetrioli
Prima di partire, finalmente, alla volta della Cambogia, ci godiamo il fantasmagorico festival degli elefanti, a Surin, un evento faraonico che coinvolge tutta la citta'. Per prima cosa vediamo la parata di carri allestiti con frutta a verdura con una perizia che ricorda i quadri dell'Arcimboldo, bande di ottoni (anche interamente al femminile), suonatori di strumenti tradizionali, danzatrici e danzatori in costume e ovviamente gli elefanti.
La mattina seguente assistiamo al famoso buffet, il piu' grande al mondo, dove scopriamo che anche i pachidermi hanno le loro preferenze: chi e' amante dei cetrioli (in molti), chi delle rape, chi delle banane...va poco invece la canna da zucchero e l'ananas, piu' faticoso da mangiare (con la proboscide si staccano il ciuffo verde!). Molti hanno la targa e dopo la colazione vengono usati a mo' di taxi in giro per la citta', cosi' che si passa vicino a loro anziche' ai triscio'!
Il clou della manifestazione e' lo show nello stadio, dove vengono fatti esibire insieme a vere e proprie schiere di comparse in costume, che danzano e suonano, ca. 300 elefanti: vederli tutti insieme e' emozionante. Avresti pero' voglia che diventassero consci del loro potere e rompessero le ridicole barriere per scappare nella foresta...
Approfittiamo della permanenza in citta' per... non stare fermi! Visitiamo i villaggi di Khwao Simarin e Ban Chock famosi per la lavorazione di tessuti di seta e argento, in particolare "perle" d'argento, lavorate a formare un pezzo a se', spesso in forme naturali (fior di loto, elefantini etc.), poi unite a formare le collane e i bracciali tipici.

Un popolo di sminatori
Gli ultimi km in terra thai sono gia' terra di nessuno, solo qualche pastore con vacche o bufale e alberi enormi, sparsi.
Arriviamo al posto di frontiera semi deserto di Chong Jom - Osmach. I doganieri thai ci riforniscono di acqua e ci trattano benissimo, facendo anche pubblicita' al sito archelogico dei vicini "scomodi".
L'ufficio doganale cambogiano e' vuoto, c'e' solo un fornello per terra insieme a della carne cruda, pronta ad essere cucinata a momenti (sono quasi le 12). Anche se con alcune lentezze burocratiche e un rimbalzo da uno sportello a un altro per timbri e moduli, otteniamo il visto (pagato in moneta thai e non locale!) e il via libera senza problemi.
Dalle 4 corsie perfettamente asfaltate passiamo a un km di strada in cemento che termina in una pista che prosegue a perdita d'occhio. E' rossa.
Sapendo che ci aspettano 40 km di sterrato (ma saranno 120), preferiamo fermarci qui, in mezzo al nulla, tra le folate di terra e qualche barracca, proprio baracca, di cartone piu' che lamiera, che fa da negozietto o "ristorante". Poco oltre, un campo rifugiati.
Pranziamo in uno di questi miseri luoghi, dove il pavimento e' esattamente come la strada: terra rossa e pietre e buchi. C'e' solo coca-cola, per la prima volta dalla partenza cediamo e ne prendiamo una in due. Con ghiaccio cambogiano.
Beviamo il caffe' nel locale a fianco, zeppo di uomini che guardano un incontro di thai boxe. L'oste e' l'unica donna, poi arriva Gaia. Gli avventori immediatamente ci fanno spazio e ci trovano due sedie. Ci beviamo il caffe' in un angolo, attaccati al bancone per permettere la visione della TV alla folla, che divide la sua attenzione tra noi e lo schermo. Nel tardo pomeriggio, si gioca a pallavolo in un campo vicino, cosa che vedremo fare in molti altri posti, essendo il calcio impossibile in molte parti del Paese a causa delle mine.
La sera raggiungiamo uno dei due posti dove cucinano, nel buio totale cercando di evitare le buche. Fanno zuppa ed e' pieno ancora di soli uomini. E' buonissima e del genere fai da te: ti danno la vedura, il fuoco e quando vuoi ti riforniscono di brodo che poi e' la cosa migliore. C'e' un signore che insieme ad un altro, parlando l'inglese, ci fa da cicerone culinario e spazio al tavolo. Mentre lui parla, l'altro traduce a un terzo che si aggiunto a mangiar zuppa.
C'e' una stellata incredibile e il silenzio della campagna povera, del dopoguerra, della Cambogia. In cima alla collina, la BRD con le sue luci sfavillanti, ma qui, in DDR, mangiano felici la loro zuppa di orgoglio nazionale. Khmer.
La guesthouse dove dormiamo e' molto meglio del previsto e i proprietari, nonostante non parlino che khmer, si adoperano per comunicare con noi.
Ora pero' alcune cose vanno dette. Non parliamo spesso della poverta' in cui ci troviamo, ma qui e' diverso; qui c'e' una poverta' data anche, acuita, da cio' che e' successo alla societa' cambogiana a partire dall'ascesa al potere degli khmer rossi.
Non e' bastato un regime totalitario e folle. Finito questo i "nuovi" governanti (solo alcuni delle centinaia di persone implicate nei massacri hanno avuto un processo e stanno scontando una qualche pena, vittime e aguzzini si incontrano al mercato...), hanno pensato di confiscare le terre coltivate ai contadini o a coloro che lo erano diventati per forza, e di dar loro in cambio quelle minate. I contadini sono diventati cosi' sminatori de facto: chi ha perso un braccio, chi una gamba, chi entrambe, chi gli occhi, chi la vita. Le terre date come bonificate erano in realta' piene di mine antiuomo. La Cambogia ha due tristi primati, il piu' alto numero di invalidi legati alle mine e il campo minato continuo piu' lungo al mondo. Persino il sito di Angkor e' stato minato.

Polvere e sudore
La strada che da Osmach porta a Samraong e' di terra rossa, ma piu' che buchi ci sono fossi, probabilmente fatti dall'appena trascorsa stagione delle piogge, e ora e' come il greto di un fiume: le acque ritirate lasciano cicatrici profonde con le quali chi passa deve fare i conti. Acqua e cicatrici d'acqua, questa e' la pista di oggi.
Il vento per fortuna sgombra velocemente la molta polvere sollevata dalle auto lanciate a folle velocita' verso chissa' cosa. In bici solo bimbi e ragazzi, gli altri in bilico, sui tipici motorini asiatici. Del resto, chi sopravvive qui, chi sopravvive a Pol Pot, non puo' temere le voragini e la sabbia dei greti in secca. Durante il suo regime, l'intera popolazione di Phnom Penh e' stata forzata ad andare nelle campagne, la proprieta' privata e la moneta (!) soppressa, la gente obbligata percio' al baratto, medici, insegnanti, artisti, monaci rinchiusi in campi e spesso tortutati e uccisi. Un sesto (1/6!) della popolazione del tempo e' stata massacrata in un modo o nell'altro, la cultura annientata.
Non c'e' un paesaggio, oggi, ma solo il rosso della strada, brullo, campi minati, ma anche qualche albero gigantesco, bellissimo, sopravvissuto alla devastazione della guerra.
La gente ha visi stupendi, i piu' belli visti fin'ora. I volti di alcuni bambini fanno venire le lacrime, la loro bellezza, mista allo stupore e al moccio dei nasi.
Cerchiamo di salutarli tutti (ma sono davvero tanti: meta' della popolazione e' al di sotto dei 15 anni!), per mostrare anche ai piu' stupiti che, nonostante il travestimento, la razza e' la stessa!
I ciclisti sono decisamente la categoria di barang piu' prendibile, in tutti i sensi: alcuni bimbi superano Gaia, agili sulla sabbia. I piu' piccoli restano comunque a bocca aperta al nostro passaggio. I saluti dei bambini, quando li contraccambi, diventano sorrisi senza confini che ti penetrano nel cuore.
Ale e' un mostro per i primi 20 km, si agita, sbraita, dice che Gaia deve comprarsi il famoso materasso volante, checolcavolochefailgirodelmondoinbici! Ma Gaia continua ad andare come puo'
(anche spingendo). Poi si rilassa e gli si puo' parlare. Viaggiare con lui in bici e' un po' come fare l'addestramento col monaco taoista di Kill Bill: e' dura, ma se lo completi, poi magari riesci a liberarti da una tomba se ti ci rinchiudono viva!
A Samraong dormiamo ancora una volta nel silenzio quasi assoluto della natura. Quando arriviamo siamo completamente ricoperti di terra rossa, noi, le borse e le bici. Anche qui usano la mascherina, ma non per la H1N1, ma per non mangiare la polvere di cui sono fatte quasi tutte le strade ad eccezione delle due strade che tagliano il Paese da est a ovest, una verso Siem Reap e l'altra verso Phnom Penh.
Da Samroang a Kralanh ci sono altri 80 km di sterrato, anche se in buone condizioni; infatti, compaiono, oltre alle moto, strani furgoni "aperti", senza parabrezza, il cui conducente viaggia col casco integrale da moto, adibiti a trasporto pubblico, inesistente qui. C'e' anche un venditore porta-a-porta di ogni tipo di recipiente, compresa le padelle, in terracotta. Per preservarle, e' carico di paglia! Complessivamente, percorriamo piu' di 120 km continuativi di sterrato, il piu' lungo tratto in bici da noi mai effettuato, ivi compreso il Madagascar.
A poco piu' di meta' strada, veniamo salutati da un gruppo di studenti adolescenti, tra cui ne spicca uno, elegantissimo, con un enorme fascino e un aplomb british. Ci fermiamo a scambiare quattro chiacchiere, piacevolmente colpiti dal suo inglese fluente, dal suo portamento da divo hollywoodiano e dall'eleganza fuori posto, superiore alla polvere che travolge tutto e tutti.
Ci resta impressa la sua frase, fuori luogo, come lui: " I know European people love activity... ma se me lo chiedeste, io a Siem Reap ci andrei in macchina! E' cosi' distante e fa cosi' caldo!"
Notiamo subito che, anche in queste zone quasi irrangiungibili e poverissime, le case nuove, sono di una qualita' superiore a quelle fin'ora viste altrove e con un'attenzione al dettaglio rimarcabile; ricordano, in meglio, quelle tipiche australiane (queenslander). Se la ristorazione veloce va lasciata ai thai, le case fatele costruire agli khmer!
Finalmente, passiamo interi insediamenti, non sappiamo se veri e propri villaggi, risaie, allevamenti, di anatre e mucche. Molti dei campi sono recintati perche' la zona ancora non e' stata tutta messa in sicurezza. Per fare i nostri bisogni, restiamo sulla strada, facendo attenzione che non arrivi nessuno.
La luce ricorda le giornate limpide al mare, a giugno; invece siamo tra il verde surreale di queste risaie recuperate alle mine.
Poco prima di raggiungere l'asfalto di Kralanh, incontriamo Hirsch, un americano, cicloturista in giro da 5 anni. Scambiamo informazioni sulla strada e indirizzo mail e ci diamo appuntamento a Bangkok (lui torna a casa da li' per Natale, per fare una sorpresa ai suoi).
Noi ci fermiamo nell'unica guesthouse di questa cittadina per ripartire poi alla volta dei templi di Siem Reap. Ci sono due piccole "serve" che puliscono i bagni. I bambini che lavorano sono tanti, in un Paese senza alcun tipo di welfare: bimbe troppo piccole per aprire la porta di una stanza, la devono pulire; bimbi che non hanno un letto, lo devono rifare; bimbi sfruttati sessualmente (la Cambogia sembra essere la nuova Mecca dei pedofili); bimbi che non hanno da mangiare, mentre i nostri ne hanno cosi' tanto da diventare adulti obesi e malati. Bimbi che non vanno a scuola o che ci vanno solo part-time, quando si puo'; bimbi che pero' ti salutano sempre.
Anche dove c'e' l'asfalto, la diversita' con i Paesi vicini e' palpabile: pochissimi e poverissimi i venditori di cibo di strada, quasi nessun dolce in vendita (e chi ha i soldi per comprare?).
Spesso vediamo giusto venditrici di riso glutinoso cotto nel bambu': prima dell'avvento del regime degli khmer rossi, la Cambogia era tra i maggiori esportatori di riso al mondo. Poi la carestia e la fame, cosa mai sperimentata prima dalla popolazione.

Siem Reap, Siam sconfitto
Ancora oggi, l'antica rivalita' e' inscritta nei toponimi khmer: Siem Reap significa infatti: "Il Siam (l'antica Thailandia) e' sconfitto".
Questa citta', come ci aveva anticipato il nostro cicerone culinario, e' molto diversa dal resto del Paese: arrivi qui e, a parte il delirio del traffico (secondo soltanto a quello indiano, dove tutti fanno quello che vogliono e non si rispetta nemmeno il semaforo, suonando in continuazione), sembra di essere in una cittadina europea, zeppa com'e' di ristorantini super perfetti, hotel anche di super lusso, boutiques con l'artigianato piu' pregiato.
Se il delirante regime comunista aveva eliminato la moneta, qui e' un tripudio di dollari, tutti hanno esposto il menu' in dollari, gli hotel chiedono dollari, persino le bancarelle di frutta (anche se poi accettano la loro moneta, il riel). Se le citta' erano state svuotate, ora tutti cercano di viverci, per cercare di raccattare qualche pezzetto della ricchezza lasciata dai moltissimi turisti o anche solo per poter usufruire dei servizi offerti dalle molte ONG presenti (c'e' un mitico ospedale dei bambini gratuito, gestito da un incredibile dottore che il sabato suona il violoncello per raccogliere fondi; una folla e' sempre radunata al suo esterno). Se avevano cercato di far scomparire ogni traccia della cultura khmer, moltissimi sono gli artigiani e gli artisti che qui lavorano. Se la fame e' stata la costante per moltissimi anni (e lo e' ancora per molti), qui si formano i migliori cuochi del Paese e qui c'e' stata una vera e propria rivalutazione della cucina khmer.
Siem Reap ha piu' mercati; quello notturno e quello "vecchio" sono letteralmente presi d'assalto e offrono un'incredibile varieta' di oggetti d'artigianato fatto anche con materiali di riciclo (alla cubana, all'africana), ma di un livello davvero notevole. La seta e' il pezzo forte tra i prodotti in vendita, il loro design non ha nulla da invidiare a quello della cosiddetta alta moda (ad es. le borse). Moltissimi prodotti sono fatti da piccole imprese di donne o di persone diversamente abili (qui questo termine ha davvero senso). Moltissimi bambini e uomini che hanno perso arti sulle mine vendono i terribili libri che raccontano della terribile storia della Cambogia per guadagnarsi un pezzo di pane. Gente orgogliosa che spesso parla lingue straniere. Poi ci sono anche i poverissimi, fuori anche dai circuiti dell'aiuto che chiedono le elemosina, quasi tutte mamme con neonati che ti si strappa il cuore quando, mente passeggi o mangi ai tavoli ti si avvicinano e sussurrano: "Gnam gnam" indicando il loro piccolo e mostrando un biberon vuoto. Scene purtroppo gia' viste altrove, anche a Milano...
In mezzo a questo variegato, complesso universo, girano anche qui, turisti che definiremo a' la Vang Vieng (cfr. puntate precedenti): girano a torso nudo, con birre in mano, con mini pantaloncini o tette (scusate!) fuori dalle mini canottiere, a volte a caccia di droga che ti offrono per le strade, la sera (pure qui c'e' un happy ristorante che fa pizze a base di sostanze psicotrope!) e che hanno il coraggio di dire alle mamme che chiedono l'elemosina: "I don't have any money!", con i dreadlocks ben curati finto rastaman o le meches appena uscite dal parrucchiere.
A Phnom Penh girano, secondo le stime dell'UNICEF, tra i 10.000 e i 20.000 bambini di strada, la meta' dei quali dipendenti da sostanze per necessita' loro o dei loro sfruttatori.
Forse perche' siamo invecchiati, fose perche' giriamo in bici necessariamente in stretto contatto con la realta' che ci circonda, forse perche' siamo stati via un anno intero, ma ci sembra palese la decadenza morale, e non solo, dell'Occidente, per lo piu' obeso, viziato e colonialista.
Ci solleva il morale un anziano cicloturista francese, in pensione, che ci riconosce suoi "simili" e che, tra le altre cose, afferma (nonostante i suoi figli cerchino sempre di dissuaderlo dal partire): "In tre mesi di bici si vedono piu' cose di quante la maggiore parte delle persone vede in una vita intera". Se si sa guardare, aggiungiamo noi.
Per quanto riguarda l'impressionante bellezza del sito religioso piu' grande al mondo, patrimonio UNESCO, la magnifica commistione di jungla e rovine archeologiche, la vastita' di Angkor, rimandiamo a questi due siti

www.world-heritage-tour.org/asia/southeast-asia/khmer-empire/cambodia/angkor/map.html
www.angkor-ruins.com (in giapponese e inglese)
Diciamo solo che e' valso il viaggio, che e' un sito che regge il confronto con i maggiori altri al mondo, forse piu' noti e che, nonostante abbiamo pedalato da mattina a sera per tre giorni interi(tanto durava il biglietto acquistato) non abbiamo finito di vedere i suoi templi.
Ci fermiamo in questa citta' di contrasti anche per visitare, in maniera purtroppo superficiale, il lago unico al mondo, il Tonle' Sap. La sua unicita' sta in questo: da maggio a ottobre, il livello del Mekong sale a causa delle piogge al punto da far invertire il corso del fiume dal nome omonimo, facendolo scorrere verso il lago che cresce, allagando la piana circostante (la superficie passa da 3.000 a 7.500 kmq). Esistono percio' villaggi fluttuanti che si spostano a seconda della stagione e del livello delle acque. Quando, tra ottobre e maggio, il livello del Mekong diminuisce, il fiume Tonle' Sap inverte nuovamente il suo corso e le acque del lago possono defluire.
Questo straordinario fenomeno fa del T. Sap uno dei bacini d'acqua dolce piu' ricchi di pesce al mondo e la principale fonte di cibo della Cambogia, sfamando piu' del 40 % della popolazione.
Indovinate un po'? e' uno degli ecosistemi piu' a rischio a causa delle dighe progettate sul Mekong e che servono soprattutto alla Cina e alla sua voracita' di kilowattora. La Cambogia e' il Paese dove un kw/h costa di piu', sembra, al mondo, ma anche uno di quelli che consuma di meno, come molti Paesi poveri.
Visitiamo anche il wat Athvea (che vuol dire tempio del niente perche' non se ne sa nulla), fuori dai circuiti turistici, in mezzo la campagna che circonda S.R. Ci raggiungono correndo due ragazzi a servizio dai monaci del tempio nuovo; come per molti altri, questo e' l'unico modo per avere un'educazione e aiutare le famiglie: lavorare per i bonzi, preparando il cibo, pulendo e seguendone la faticosa routine che inizia alle 3.30 della mattina. Ci parlano del tempio, ma soprattutto di loro e dei loro sogni di adolescenti nella Cambogia in mutamento. Ci mostrano anche dove i resti dei poveri (che non possono perrmettersi le mini pagode per le loro ceneri) vengono tenuti: dietro l'altare del Buddha, in pezzi di stoffa in foggia di stupa, in attesa di tempi migliori.

Ritorni
Lasciamo S.R. per Sisophon, citta' crocevia delle due uniche strade maggiori asfaltate. Lungo la strada vediamo tante persone pescare nell'acqua marrone-aranciato di pozze e canali a bordo strada. Chi immerso, chi lanciando reti rotonde con ai bordi pesi per imprigionare i pesci in una sorta di sacca, chi a mani nude. Quasi nessuno con la canna.
Ci superano furgoni iper stipati di persone, camionette iper stipate di persone e cose con motorini che penzolano giu' per meta' e c'e' pure sopra il proprietario che si tiene. Un tizio in motorino affianca Gaia e dopo le solite domande di rito le chiede se quello avanti (Ale) sia suo padre!
Dormiamo in una bella casa di legno che sembra vecchia e gia' al tramonto udiamo dei canti (gia' sentiti alla periferia di S.R.) che sembrano funebri. Gaia va a sbirciare ed effettivamente alcuni stendardi bianchi e la presenza di monaci segnalano che e' in corso una veglia. I canti sono tristi, struggenti, ma non disperati. Ricordano un blues degli schiavi africani o le canzoni irlandesi per quelli che partivano per gli Stati Uniti. Si fermano poco dopo il tramonto e riprendono prima dell'alba. Una voce di donna si alterna a quella di un uomo.
La mattina dopo, l'oste, che parla un ottimo inglese, ci spiega che sono proprio lamentazioni funebri che ricordano che, quando sei vivo, non pensi alla morte, ma poi quando muori quello che hai fatto conta, perche' altre esistenze si aprono.
La tristezza non e' totale, e' la tristezza di una partenza; la morte, anche qui in terra khmer, e' solo un passaggio: altre vite attendono le anime khmer.
Anche noi siamo tristi. Anche noi partiamo. Lasciamo Sisophon per passare la frontiera questa volta a Poipet-Aranya Prathet per approdare in terra thai insieme ad una miriade di carri e carretti (i piu' strani hanno la trasmissione manuale fatta da una sorta di pedale con una lunga catena connessa alla ruota anteriore), poveri come chi li spinge: sono i cambogiani della "DDR" che vanno a rifornirsi di ogni tipo di mercanzia nella "BRD", sotto gli occhi impassibili dei doganieri...
Ora, arrivati a Sa Kaeo, 300 km ci separano dalla capitale e solo 10 giorni dal nostro ritorno.

mercoledì 18 novembre 2009

Se non ritornerete come bambini...

Ebbene si, siamo ancora in Thailandia! Il "richiamo della foresta" e la poca voglia di passare un'altra frontiera ci fanno tardare la visita all'antica civilta' khmer. L'annuale, famoso, raduno degli elefanti di Surin e' tra qualche giorno. Gaia dice che e' stufa di pedalare, ma di perdersi alcuni eventi unici, solo per pochi giorni... Ale non resiste al fascino dei pachidermi...
Cosi' decidiamo di prenotare l'hotel, comprare i biglietti prima che finiscano e visitare i "dintorni" di Surin per una settimana, in attesa del grande evento. Questo ci da' modo di conoscere e scoprire meglio una parte dell'Isan poco frequentata.

Giostra khmer
Lasciamo Ubon Ratchathani, un esempio di politiche pubbliche: su impulso della regina, sono stati creati molti parchi e in particolare ce n'e' uno, in pieno centro, tutto dedicato alle attivita' all'aria aperta, sfruttato per ogni genere di attivita' artistica, sportiva e ricreativa, di giorno e di notte grazie alla perfetta illuminazione. Il parco non ha cancelli ed e' aperto alla citta', al pubblico, appunto; e' soprattutto pieno di giovani che ballano, preparano coreografie, mettono in scena rappresentazioni, si divertono, stanno insieme. Anche genitori e nonni accompagnano le giovani generazioni, passeggiando con i piu' piccoli. Nella stessa citta' c'e' anche uno spazio pensato per i ragazzi dove internet e' gratuito (wireless e non). Chissa' che qui non usi ancora la prevenzione in positivo ("Apriamo i parchi senno' i giovani si drogano") anziche' quella in negativo ("chiudiamo e recintiamo i parchi, che i ragazzi si drogano")!
Sulla strada per Uthumpon Phisai, c'e' un serpente gigante morto, ma di fresco, stiamo procedendo affiancati; Ale dice a Gaia:"Attenta!" e lei:"Tanto e' morto"; Ale:"Allora cosa fai, ci passi sopra?" e Gaia (ormai c'e' una prassi in proprosito): "No, odio passare sui serpenti...". Arrivati in citta', ci fermiamo in un ristorante, ma la cuoca ci fa capire che ha troppi clienti da servire e quindi di andare da un'altra parte! Sfamatici altrove (la concorrenza qui davvero non manca), andiamo a visitare il Prasat Hin Wat Sa Khampaeng, una delle vestigia khmer coeva ad Angkor. Nel verdissimo prato, ci sono anche delle upupe!
Da qui proseguiamo e lungo la strada ci fermiamo a visitare il tempio di Prasat Sikhoraphum, in un contesto splendido, circondato da un fossato ad U originale del XII secolo.
Prima di raggiungere Surin, un'altra piccola deviazione ci consente di vedere anche il prasat Muang Thi, piccole vestigia sopravvissute alla sabbia del tempo, attaccate al nuovo wat. All'ingresso in citta', per procurarci una cartina, ci fermiamo alla TAT (ufficio turistico thai): non c'e' nessuno, ma e' aperto. Ale ne approfitta per un self-service. Poco dopo, tornano le impiegate con il loro cibo in mano... se non ti danno la pausa pranzo, te la prendi!
Noi, invece, pranziamo in un "ristorante" dove entra con il motorino acceso un signore, parcheggia al termine del salone, mette il casco ad una nonnetta e la carica prima di ripartire.
Surin ha un mercato diurno ben fornito ed uno notturno molto vivace, sito in una via chiusa al traffico la sera. Dove si mangia bene, troppo bene...
Per rifornirci di bevande, visitiamo un OTOP dove Gaia, vedendo una misteriosa bibita scura, esclama: "Ho proprio voglia di moa berry!" (Ale la guarda perplesso); va da se' che si acquista la trilogia intera di bottiglie dedicate a questa ed altre bacche. Ottime e senza zucchero che qui e' una rarita'!

Tema: Una gita fuori porta
Svolgimento. Venerdi' 13 novembre con la classe, siamo stati in gita a Ban Ta Klang che e' il villaggio (ban vuol dire proprio questo) con piu' elefanti al mondo. La maestra ci aveva detto che questo villaggio era a 40 km ca. da Surin e noi ci crediamo sempre a quello che dice la maestra (soprattutto la mia compagna di banco). Cosi', dopo essere stati in Comune per avere tutte le informazioni necessarie per assistere al raduno degli elefanti (anche questo il piu' grande al mondo), ci siamo recati con le nostre biciclette sulla strada 214 verso nord. Al km 36, segnalato dalla pietra miliare (ma il nostro contachilometri ne segnava gia' 40!), abbiamo visto il cartello stradale azzurro con una freccia bianca che diceva: "Ban Ta klang, villaggio degli elefanti. Per di qua". Appena presa quella strada che diceva la freccia bianca, c'era un altro simpatico cartello azzurro con disegnato un bell'elefantino sopra e il cartello diceva: "Per Ban Ta Klang, il villaggio degli elefanti, mancano 22 km". Allora noi, che sappiamo fare le addizioni a due cifre, abbiamo preso foglio e penna e abbiamo fatto il conticino e la verifica. Il risultato faceva 62 km. Che poi se aggiungi altri 62 km per tornare fa 124 km che non e' mica tanto una gitarella fuori porta! Il mio compagno di banco si e' un po' arrabbiato. La mia compagna di banco ha esclamato: "Va beh, prendiamola come viene!".
Ci siamo fermati sotto un chioschetto, che le persone usano per ripararsi dal sole mentre aspettano i bus o altro, a mangiare dei semi di non sappiamo cosa. Sono semi trovati in PDR Lao e poi ancora a Khong Chiam. Sono buoni, ma molto calorici e tostati nell'olio di palma. Sono soprattutto tanti perche' ne abbiamo comprati tanti. la mia compagna di banco ha detto che lei non ne mangia piu' di 5 al giorno. Il mio compagno di banco ha detto che se lo scordi che se li mangi tutti lui! Pero' quel giorno ne abbiamo mangiati abbastanza, soprattutto il mio compagno di banco che quando e' arrabbiato mangia tutto!
Questi ultimi 20 km sono stati su una strada tutta tra risaie, lontani dal traffico, nell'Isan piu' profondo. Qui la campagna e' davvero bella, anzi bellissima, e ricorda l'Oltrepo' pavese che e' una zona della Lombardia, se non fosse che ci sono tannte bufale nelle risaie e alcune immerse completamente nelle pozze o nei canali e poi martin pescatore verdi con la testa arancione e tanti contadini che ci salutavano, mica come nell'Oltrepo' che nessuno ti saluta! Ci siamo fermati poco prima dell'ingresso del villaggio degli elefanti a pranzare perche' erano gia' le 12 e il ristorante ci piaceva molto, anche se non era proprio un ristorante. Abbiamo fatto bene, era buono e c'era tanta gente che mangiava con noi. Siamo arrivati a Ban Ta Khlang sotto la canicola, ma siamo stati accolti da tantissimi elefanti, alcuni nelle risaie che rimpiazzavano le bufale di prima, altri all'ombra degli alberi e altri ancora ai vari angoli del paese. Due simpatici signori ci hanno detto che alle 14 c'era lo scio', costava 100 baht e durava 50 minuti. Abbiamo deciso di fermarci e nel frattempo abbiamo bevuto un po' che faceva caldissimo e abbiamo assistito al lavaggio di qualche elefante con la canna: che bello! Gli elefanti si riempiono la proboscide da soli con la canna e poi si spruzzano la schiena come fanno gli elefanti. Poi ce n'era uno che non gli piaceva l'acqua negli occhi e quando il suo padrone lo spruzzava chiudeva gli occhi come un bambino piccolo sotto la doccia: che buffo!
Poi siamo andati a sederci all'ombra, ma lo scio' non iniziava ed erano gia' le 14.20 e allora abbiamo fatto i conti che ci vogliono quasi tre ore di pedalate per tornare e abbiamo pensato che alle 17.30 e' gia' un po' buio. Qundi, alle 14.30 siamo andati a slegare le nostre bici e le signore che ci hanno venduto i biglietti e ci hanno visto un po' tristi, ci hanno detto: "Non andatevene!" e ci hanno offerto un passaggio per quando finiva lo spettacolo sul loro pick-up, mica come il signore dell'altra volta di Meuk Lek!
Tutti contenti, siamo tornati a sederci. Il presentatore ha detto che Ban Ta Klang dista 62 km da Surin: la maestra si era proprio sbagliata! Allo scio' abbiamo visto: elefanti sulle zampe posteriori, elefanti che facevano la verticale, elefanti che scoppiavano palloncini tirando freccette con la proboscide, elefanti che tiravano a canestro. Ma quello che ci e' piaciuto di piu' sono gli elefanti che tiravano i rigori prendendo la rincorsa e uno parava! E poi hanno preso tre signori, li hanno fatti sdraiare per terra e gli elefanti ci passavano sopra, scavalcandoli. Alla fine un elefante ha fatto il massaggio thai con le zampe a un signore francese. Pero' pensandoci bene, la cosa che ci e' piaciuta proprio di piu' e' l'elefante pittore che ha fatto un disegno molto piu' bello di quello che la mia compagna di banco ha fatto per dire nei ristoranti che non vuole ne' carne ne' pesce.
Il ritorno sul dietro del pick up seduti con le bici e' stato bello e, forse per la luce e i tanti elefanti sulla strada e nelle risaie, sembrava quell'altra gita in Africa... Il ritorno e' stato velocissimo: un'ora, invece che tre!
Questa gita ci e' piaciuta molto anche se quella alla Centrale del latte di Monza ci era piaciuta tanto perche' ci avevano regalato la crema al cioccolato e alla vaniglia buonissime e le pannine che poi la gente aveva vomitato sull'autobus.

Con un piede nella fogna
Prima di lasciare Surin, passiamo in Comune ad acquistare i biglietti per il festival degli elefanti; nell'attesa dell'arrivo dell'impiegata, Gaia (che ha mangiato troppo la sera prima e non ha digerito) vomita; Ale chiede se se la sente di iniziare la tappa e lei risponde che adesso che ha vomitato sta meglio. Dopo 4 km, e' ancora crisi: ci appoggiamo a delle pietre davanti ad un mega hotel super frequentato. Gaia prima vomita dalla bici, poi vomita giu' dalla bici, quindi si "ameba" su un pietrone (la pressione continua a fare sbalzi). Qualcuno guarda e sembra voglia chiederci se abbiamo bisogno di aiuto, ma solo una ragazza in moto si ferma a chiederci se puo' aiutarci portandoci in ospedale o acquistando per noi uno "sniffa-naso" di quelli anti svenimento di una volta. Noi decliniamo le offerte, ma lei poco dopo torna con due salviette rinfrescanti nel ghiaccio appositamente acquistate! La ringraziamo tanto e lei se ne va piu' contenta. Appena Gaia sta meglio, torniamo indietro ad un pompa di benzina con un'area di servizio superattrezzata, appoggiamo tutto e ci sediamo sulle panchine all'ombra. Gaia beve un po' d'acqua, poi una Sprite e poi vomita entrambe. Ha freddo e continui sbalzi di pressione: restermo li' tutta la mattina. Alle 12, le condizioni sembrano piu' stabili, Gaia non ha piu' freddo e la testa non gira piu'. Decidiamo di raggiungere Prasat che e' a soli 28 km da li'. Qui scopriremo che Gaia ha la febbre e ci dovremo fermare due giorni per recuperare le forze e la temperatura giusta. Soggiorneremo nel secondo esemplare di "topaia autocosciente" fin qui trovata.
Il secondo giorno, per fare qualche passo, decidiamo di andare nell'internet point li' vicino: Gaia inciampa mettendo un piede nella fogna, fortunatamente senza conseguenze. Siamo pronti a ripartire!

Teddy bear
Questa parte del basso Isan e' costellata di villaggi artigiani "a tema": chi fabbrica questo, chi quello... c'e' addirittura il villaggio che si occupa dell'approvvigionamento di poveri grilli per l'industria della cuisine qui fait croque... Si pubblizza come "Cricket village", ma qui nessuno gioca al popolare sport inglese...
Raggiungiamo finalmente Chaloem Phrakiat il paese da dove, scarichi, andare al parco archeologico di Phanom Rung: e' uno dei siti archeologici piu' belli tra quelli visitati ed e' sito in cima ad un vulcano estintosi piu' di 900.000 anni fa.
Il tempio, dell'XI secolo, e' dedicato come sempre a Shiva e ricorda nell'impianto wat Phu, in PDR Lao. Il nome significa in lingua khmer "grande montagna" e infatti dalla pianura di risaie si sale a quasi 400 metri. Dalla cima si gode di uno splendido panorama, esattamente come a wat Phu.
Da qui scendiamo per raggiungere Meuang Tam (la citta' bassa), un prasat ancora piu' antico. Anche questo e' meravigliosamente restaurato e conserva, cosa unica in Thailandia, il bordo dei suoi fossati ad L in forma di naga, il serpente sacro del fiume a 5 teste.
Il caldo e' tanto e si continua a sudare. Gaia scopre che, se volesse fondare una setta, avrebbe gia' la sua sindone, non un volto qualsiasi, ma quello di un... orsetto! Le orecchiette i seni, il faccione del plantigrado il ventre della pedalatrice, impressi dal sudore sulla maglietta quasi nuova.

Arriva la bufera
La notte e' stata fresca per una bella brezza che la mattina si trasforma in un vento teso che viene da nord, direzione verso la quale, guarda caso, dobbiamo pedalare. Cosi' quello che doveva essere un trasferimento defatigante (il giorno prima abbiamo comunque fatto i nostri 100 km), si trasforma in un'estenuante tappa controvento! In quasi 11 mesi di bici, ogni volta che c'e' stato vento forte, e' sempre stato a sfavore.
Gaia, che non si e' ancora rimessa, si sente stanchissima, le gambe proprio non vanno e viaggia tra i 14 e i 19 km/h. I pantaloncini sono da buttare, come lei. Ma anche Ale lamenta difficolta' ad andare e poi, come sempre, fame! Gaia lo becca a mangiarsi i tanto vituperati semonidinonsappiamocosa...mentre e' in attesa di essere raggiunto.
Le rondini sono tornate, in forze, proprio in tempo per la raccolta: lungo la strada per Buriram vediamo che la macchina mietitrice e' seguita da nugoli di rondini che godono degli insetti che si alzano al passare del veicolo. Basse basse, sembrano voler mangiare il riso anche loro. Nel cielo, due falchi approfittano del trambusto per cacciare forse uno dei numerosi rettili.
L'hotel che abbiamo selezionato e' in ristrutturazione, ma questa volta chiuso. Ripieghiamo su un altro vicino alla stazione dove, al rientro in stanza, nel tardo pomeriggio, una selva di pulitrici e pulitori, sdraiati o seduti per terra, sembrano tutti in attesa di entrare proprio nella nostra stanza!
Buriram e' una cittadina senza interesse, in cui pero' sono presenti turisti attempati (del genere gia' trovato a Nong Khai) che si riuniscono in locali ambigui, spesso frequentati da ragazze la cui presenza non e' chiara, mentre la faccia sfatta dei farang lascia intendere una certa propensione ad ogni genere di vizio...
La sera incappiamo in una festa della nutrita comunita' cinese locale: c'e' l'operetta cinese, il mondo del cibo di strada, giostrine varie ed un palco allestito con uno spettacolo "per giovani" (ragazze discinte che cantano male e sculettano peggio...).
La notte il forte vento ha fatto scendere di molto la temperatura e fa quasi freddo! Come solo poche altre volte ci era capitato, dormiamo senza ventilatore.
Domani riprenderemo la strada per Surin dove ci godremo il piu' grande raduno al mondo di elefanti con relativo banchetto entrato nel guiness dei primati, prima di ripartire questa volta si spera davvero, alla volta della Cambogia democratica...

martedì 10 novembre 2009

Scampoli di Laos

Il titolo rende anche omaggio alle artigiane della seta e del cotone della PDR Lao, che abbiamo lasciato per fare ritorno in Thailandia per il nostro giro a chiocciola che ci riportera' infine a Bangkok.
I delfini dell'Irrawedy cosi' come le cascate sul Mekong restano un miraggio e una meta per un prossimo, forse, viaggio, causa mancanza di tempo (il visto scadeva!).
Le informazioni raccolte rispetto alle strade cambogiane ci sconsigliavano di entrare dal Laos, soprattutto con le nostre bici non MTB.
Le dispute di attribuzione tra Thailandia e Cambogia ci impediscono anche di visitare il mitico Preah Vihear, chiuso dalla parte thai e irrangiungibile, di fatto, da quella cambogiana. Sembra che il governo thai abbia addirittura ritirato le proprie rappresentanze diplomatiche dallo Stato vicino e consigli ai propri cittadini di rientrare. Forse c'e' di mezzo lo zampino dell'ex premier Taksin...
Siamo ad Ubon Ratchathani, una citta' in piena espansione dove ritroviamo le cose che ci mancavano: i dolcetti di strada e il mercato della sera dove cenare bene e a poco prezzo. Inoltre, possiamo fare rifornimento di pezzi di ricambio (Gaia ha rotto un pezzo del freno e Ale la pedaliera e un copertone, pure lui). Mr. Tuffy ha di nuovo un sellino degno di questo nome, i testicoli ringraziano.
Ieri abbiamo fatto conoscenza del sig. Michele, un simpatico pugliese in pensione che fa il volontario per la ONG Reability che si occupa di aiutare la popolazione Karen in Birmania (clandestinamente) e in Thailandia. Ci siamo divertiti ad ascoltare la sua esperienza di farang immigrato in terra thai.

Khai Pii o la transustanziazione
Da Savannakhet, nonostante il raffreddore di Ale e la durezza del suo pseudo sellino, riprendiamo la R13 dopo aver raggiunto un paese chiamato Ban Lak 13 (villaggio km 13, tanti sono i paesi chiamati con il numero del km stradale, che fantasia questi comunisti!).
E' un mercato-paese davvero interessante, pieno di prodotti che spesso non si trovano nemmeno nelle citta'. I 200 km che ci porteranno a Pakse sono nel nulla, ma un nulla, come quello australiano, solo ai nostri occhi occidentali. In realta' ci sono tanti villaggi con case tipo queenslander, su pilastri, ben rialzate da terra per difendersi dalle inondazioni. Altre case sono in stile europeo-sfarzoso-arabeggiante-cinese. Non vediamo la miseria delle montagne del nord. Molte delle case piu' belle, pero', sono vuote forse perche' i proprietari sono emigrati...
Tanta campagna, risaie, alberi, fiumi, fascine e cumuli di paglia su cui i bimbi si tuffano dal balcone della loro casa; tutto e' ben tenuto, ordinato, insomma c'e' un po' di campagna francese, oltre alla baguette.
Ci fermiamo sul ponte di un imponente fiume per una foto, ma veniamo raggiunti da un soldato sedicenne con il mitra portato sulla spalla come fosse il bastone che regge un fagotto. E', ci pare, chiaro segno di non belligeranza, sembra volerci dire che non lo userebbe mai (dai ai nostri sedicenni un fucile e ti diventano dei bulli...). Ci fa capire che non possiamo fermarci sul ponte a far foto perche', forse, presidio militare "strategico".
Facciamo tappa a Phouangsavan dove troviamo l'unico posto dove dormire su 130 km, il bagno non ha il lavandino, il water non ha lo sciacquone, ma va bene. E' pieno di "ristorantini" la cui specialita' sono le khai pii, di cui vi andiamo a dare la ricetta: prendete delle uova crude, degli spiedini di legno, bucate con un coltellaccio top e bottom delle uove e versate il contenuto in un recipiente, conservando i gusci intatti. Sbattete bene a mo' di frittata le uova con un po' di pepe e erbe fini, quindi riversate con pazienza il contenuto miscelato nei gusci, mantenendoli inseguito orizzontali e infilzateli nello spiedo (qui tre uova per spiedo). Fate cuocere le uova al vapore (qui usano gli stessi recipienti dei panini cinesi) fino a che diventano sode e non per immersione perche' altrimenti il contenuto uscirebbe dalle uova. La "transustanziazione" e' avvenuta: le uova, rassodate vengono servite con del riso glutinoso e la loro particolarita' e' che non c'e' piu' distinzione tra rosso e bianco, un po' come in politica... Very good!!!
Il giorno dopo raggiungiamo Pakse, non prima di aver visto alcuni dei danni prodotti dalle alluvioni del mese scorso, piccoli canyon creati dall'acqua, alberi sradicati, fiori di loto cresciuti troppo alti rispetto a quel che rimane ora dell'acqua negli stagni.
L'aria e sempre tersa, il cielo di un azzurro incredibile, stelle e luna come non ne vedevamo da tempo. Di notte fa fresco e riusciamo finalmente a dormire senza ventilatore! Le farfalle lasciano il posto ad uccelli variopinti e i serpenti escono dopo le grandi piogge.
Anche i maiali, oltre alle altre bestie, occupano placidi la carreggiata.
Pranziamo in un "ristorante" con la solita zuppa (che tu la voglia o no, quella c'e'!) dove scorazzano galline e pulcinotti tutti bianchi che con le anatre si abbeverano in un secchio vicino alla cucina. Il gallo vola tra le padelle a controllare gli avanzi... forse della famiglia!

Transitare
Lasciamo subito Pakse per raggiungere Chempasak dove ci aspetta un altro sito patrimonio UNESCO, il sito archeologico piu' importante del Lao (senza la s), Wat Phu.
La traversata del Mekong avviene su una via di mezzo tra una chiatta e un ponte levatoio... molto pittoresco, ma ti chiedi per quanto resitera'! La chiatta imbarca un camion cisterna e dei sawng theaw stracarichi di merci e persone. Gaia chiede se tengano conto del peso, Ale impassibile risponde che no. Se non altro il fiume non e' piu' largo di due km...
Iscrizioni in sansicrito e fonti cinesi testimoniano l'importanza del sito fin dal V secolo, per i devoti induisti, e dei regni che si sono succeduti. La montagna sulla quale il sito e' dislocato su piu' livelli ricordava ai fondatori un fallo naturale e dunque Shiva. Alla base di questo monte di 1400 m e' stata fondata la citta'. Un viale fiancheggiato da falli di pietra conduce al complesso, passando per un enorme stagno che risale alla fondazione del tempio stesso, ancora pieno d'acqua. Ripide scalinate all'ombra di frangipane conducono all'ultimo livello da cui si domina con lo sguardo la piana del Mekong. I lavori di restauro, ben lungi dall'essere conclusi, sono stati curati da una nota archeologa italiana. Il museo, ben tenuto, offre spiegazioni e ricostruzioni storiche chiare anche in inglese. Il giorno della nostra visita, forse a causa del plenilunio, e' di festa, con tanti adulti intenti a giocare alla petanque, assistere a combattimenti di galli e bere birra, i bimbi sulle giostrine.
Lasciamo a malincuore questa amena localita' di fiume che sembra fatta apposta per il riposo e torniamo a Pakse, sempre col simpatico chiattone! Questa citta' ci fa da base per la visita dei paesini circostanti e del Bolaven plateau, prima di riattraversare la frontiera.
Nella zona, a Ban Ko Phoung, un villaggio di proto malesi di etnia khalun, gli abitanti si costruiscono ancora oggi da se' la propria bara e praticano una religione animista, mentre a Tat Sung i disegni tradizionali ricordano quelli degli aborigeni australiani a supporto della tesi di un'unica origine austroasiatica. Qui si occupano, da sempre, di addomesticare branchi interi di elefanti.

Transumanza
Mentre siamo tra i monti, ancora una volta, per salire l'altipiano di Bolaven, Ale in bici vede un mandriano che segue le sue mucche sul ciglio della strada; ricorda un uomo del passato, un mondo che da noi non c'e' piu'. Poco oltre, gli suona il cellulare, va avanti a parlare per un po', poi sale su un motorino e supera Ale: e' lui che ora lo guarda e gli sorride. Chissa' se se e' Ale in bici a ricordargli un mondo che non c'e' piu'...
La regione del Bolaven e' una delle piu' povere del Lao, avendo sofferto durante tra il Pathet e le forze realiste; i ponti della strada 23 sono stati tutti distrutti dai bombardamenti americani e non sono mai stati ricostruiti. E' stata lentamente sminata ed ora grazie all'incredibile clima produce una notevole varieta' di frutta e verdura ma, soprattutto, il rinomato caffe' uno dei piu' costosi, buoni e noti, agli esperti, del pianeta. Se in tutto il Lao il caffe' e' ottimo, qui supera se' stesso e lo si puo' bere anche biologico e solidale! Oltre ad alcune piantagioni di caffe', vediamo una delle piu' belle cascate della zona, quella piu' alta del Lao, Tat Fan, che si getta in una vertiginosa gola di 200 metri in mezzo alla giungla.
Mentre l'andata sono oltre 40 km di salita leggera, ma sempre salita, il ritorno e' fantastico: 40 km di discesa che non devi neanche frenare, ma non pedali mai! In meno di un'ora siamo di ritorno.
Il giorno successivo, lo spendiamo per visitare il villaggio di tessitori di Ban Saphai e l'isola fluviale di Don Kho. Questa e' costituita di case di contadini-pescatori, sempre tutte in legno, ma perfettamente tenute alcune delle quali sono anche homestay, si puo' cioe' soggiornare chez l'habitant, un'esperienza che forse meritava di essere fatta; l'elettricita' e'arrivata solo di recente, ma per il resto tutto e' ancora arcadia.

Transazioni
Puo' sembrare strano, ma comprare in Lao non e' cosi' semplice. La scarsa verve negli affari dei laotiani, o almeno di molti commercianti, ci appare paradossale viste le condizioni economiche del Paese. Sembra sempre che sia tu, cliente, a dover convincere lui, venditore, a concludere l'affare. C'e' una inspiegabile indifferenza al turista cliente potenziale. Gli uomini sembrano piu' interessati alla petanque, le donne alle tremende telenovelas che passano in TV (chi si ricorda di "Paco e Chico"?). Al bazaar di Pakse, ci mostriamo interessati all'acquisto di un pezzo di stoffa; sembra che siamo gli unici clienti. Dopo aver guardato e riguardato i pezzi esposti e le 4 (quattro) commesse, ci rivolgiamo direttamente ad una di loro chiedendo il prezzo. Con una smorfia quasi di dolore, alza la faccia dalla sua zuppa (chi non ne mangia una?) e risponde in laotiano. Alla nostra richiesta di digitare la cifra sulla calcolatrice come fanno tutti, lei, visibilmente scocciata, lenta come solo il Mekong, allunga un braccio, afferra l'attrezzo e continuando a darci la nuca ci mostra la cifra. Poco oltre, chiediamo ad un'altra venditrice il prezzo di un'altra stoffa: qui non e' il cibo, ma la telenovela a rendere la transazione fastidiosa (per lei). E gli aneddoti potrebbero continuare...
Il pranzo tipico quotidiano (la zuppa), quando non siamo per strada con le bici, cerchiamo di averlo di buona qualita'. Cosi' come a L. Prabang, anche a Pakse troviamo un posto di fiducia dove sorbirla. Gaia apprezza cosi' tanto che ci lascia letteralmente il portafoglio che siamo percio' costretti a tornare a cercare. Per fortuna la signora, oltre a fare un'ottima zuppa, e' anche molto onesta e ce lo restituisce subito, appena ci rivede, chiedendoci anche di verificare che ci siano tutti i (pochi) soldi!
Prima di lasciare il Lao, incappiamo nel false friend dei false friends. Gaia, come sempre intenerita dalle vecchine, decide di acquistare un misterioso pacchetto in foglia di banane, costosetto, ma che sembra essere una polpettina di mais e banana. Ale avverte che lui non lo mangera'. La vecchietta gliel'ha fatto assaggiare e lui lo ha liquidato con un "pannocchietta insapore"... A pranzo, Gaia apre il prezioso involto e scruta attentamente: la "cosa" e' una schiacciatina di vermi bianchi genere "cagnottone", probabilmente una prelibatezza per i locals, ma non per Gaia vegetariana, ne' per Tuffy che riassaggia, ma nuovamente non gradisce, aggiungendo che gli fa pure un po' senso...

Sic transit gloria mundi
Lasciamo Pakse pedalando sul ponte piu' lungo del Lao, con i suoi 1380 m. contro i 1240 del primo Ponte dell'Amicizia a Vientiane. Attraversiamo un'altra volta il Mekong e questa volta sara' l'ultima; qui possiamo fermarci per la foto di rito essendoci una bella corsia pedonale. Il fiume che e' stata la culla di numerosi imperi e di grandi civilita', lo ritroviamo la sera alla sua confluenza con il Mun nella piacevolissima cittadina di Khong Chiam, per poi lasciarlo. Passare la frontiera tra Vang Tao e Chong Mek e' davvero veloce e senza stress. Appena di qua, l'asfalto torna ad essere di velluto, il paesaggio da coltivato e monotono diventa lussureggiante ricordandoci zone lacustri europee. Pero' il caldo torna ad essere infernale.
A Khong Chiam la confluenza dei due fiumi e' chiamata "fiume bicolore" data la differenza tra il blu del Mun e l'arancio-marrone del Mekong, una differenza maggiormente visibile in aprile. La passeggiata lungo fiume, in tipico Thai touch e' ben curata ed illuminata. Anche questo paesino ci serve come base per la visita al vicino parco nazionale di Pha Taem, dove c'e' l'insieme di pitture rupestri (di 3000/4000 anni fa) piu' lungo del mondo che rappresenta oltre agli animali della zona (tra cui elefanti e il pesce gatto gigante del Mekong) attrezzi da pesca ancora oggi usati, mani, umanoidi e un reticolato che forse raffigura le prime risaie. Il sentiero rupestre parallelo al Mekong e' ben curato con alcune piattaforme di osservazione per poter vedere al meglio le pitture. Il paesaggio e' davvero molto simile a quello della Dordogna. Si vede che gli esseri primitivi, che erano pur sempre esseri umani, amavano allo stesso modo i luoghi riparati, di facile accesso e vicini all'acqua.
Nella zona vi sono anche curiose formazioni rocciose a fungo chiamate qui Sao Chailing, presenti anche in altre parti del mondo.
Varie pietre segnalano che questo e' il luogo piu' ad est della Thailandia, quello in cui sorge prima il sole, quello in cui si puo' vedere sorgere il sole prima, il parco nazionale piu' ad est; insomma, siamo nell'est piu' a est della Thailandia!

Tutti a letto! (coi trans)
I piu' attenti tra voi si saranno accorti che il titolo di ogni paragrafo ha al suo interno il termine trans che di per se' non ha alcun significato particolare.
Lo abbiamo fatto perche' ancora una volta colpiti dalle vicende italiane, il caso Marrazzo nella fattispecie. Vorremmo solo dire che non ci interessa che il presidente della regione Lazio abbia frequentato dei "trans" (se questi sono consenzienti e maggiorenni!), ma ci interessa eccome che un politico faccia uso di cocaina e accetti i ricatti delle "forze dell'ordine". Vorremmo poi anche dire che sia in Thailandia che nel povero Lao, i cd. transessuali sono perfettamente integrati nel tessuto sociale e, culturalmente accettati, svolgono qualsiasi tipo di professione senza suscitare resistenze o risatine pruriginose.
Laddove la cultura scarseggia o e' assoggettata bigottamente alla religione e dove la societa' e' ormai disgregata, l'integrazione diventa invece un problema per tutti...

Velocita' alla quale un ragno di medie dimensioni, attaccato alla sua ragnatela, si stacca da una bicicletta
33.2 km/h.
O almeno questo ragno.

Da Ubon Ratchathani ci dirigeremo ora verso sud ovest per passare nella polverosa Cambogia alla volta dei templi di Angkor. Speriamo di tornare!

giovedì 29 ottobre 2009

En suivant le Mekhong

Come gia' anticipato, prendiamo un bus da Luang Prabang per fare ritorno a Vientiane (giusta traslitterazione: Vieng Chan). Da li', riprendiamo a pedalare, ora in direzione sud, con a destra il Mekong e, al di la' del fiume, la Thailandia, mentre a sinistra la catena dei monti Annamiti e il Vietnam, vicinissimo, a un giorno di bici. Ora siamo fermi a Savannakhet a causa di un "guasto tecnico" legato al trasferimento in sawngthaew...
Immaginateci, ora, voltare le spalle al nord, allo splendore di L. P. e delle sue montagne. Immaginateci lasciare Vientiane in bici e prendere la R13. Immaginate di pedalare lungo il Mekong. Immaginate mr. Tuffy pedalare senza sellino!

Incidenti
Appuriamo in questi mesi di sud est asiatico che i galli sono stupidi quanto le galline, anche se solo queste sono il termine di paragone per il detto. I galli, infatti, ne' piu' ne' meno delle galline e di vario pollame, si tuffano tra i raggi di bici e moto e sotto le ruote delle auto invece che scappare o semplicemente stare fermi dove sono. E lo fanno cosi', inaspettatamente.
La strada tra L.P. e la capitale, a ritroso, non e' faticosa (in bus), ma solo lunga e pericolosa. Partiamo alle 7 e arriviamo alle 18. All'alba, uscendo con le nostre bici dall'hotel, vediamo decine di monaci in fila per la questua rituale. Uno spettacolo che attrae numerosi turisti da tutto il mondo. Dopo le prime salite, vediamo un camion precipitato da un tornante piu' sopra e volato, letteralmente, su un motorino, speriamo vuoto; il camion cisterna, e' completamente appiattito e deformato per l'impatto.
L'umore di tutti i passeggeri migliora solo grazie a una "squadra di prevenzione" che sale poco dopo per reclamizzare l'uso dei preservativi, con battute e canti. I passeggeri gradiscono, ridendo e tenendo il ritmo con le mani. Il team leader e' un anziano signore molto grintoso. Peccato non capire. La marca e' la Number 1, un preservativo distribuito da una ONG e dunque senza scopo di lucro. Meglio che cercare di rifilare padelle...
Poco dopo che il gruppo e' sceso, lasciando uno strascico di risate, un pick up lanciato a tutta velocita' su per la salita, in curva, perde aderenza e ci viene a sbattere contro, proprio a meta' del bus. Tanto spavento, pick up distrutto, ma nessun ferito. Aspetteremo pero' due ore, in curva, con il solito ramo a segnalare la presenza di veicoli fermi, che arrivino due poliziotti, in motorino, a prendere le misure e a stendere il verbale. Durante l'attesa, come tutti gli altri passeggeri, anche Ale sale e scende piu' volte dal bus e regolarmente va a sbattere contro lo specchietto retrovisore. La sera si contano quattro bernoccoli di cui uno con sangue: che gallo, Ale!
Arriviamo a Vientiane al tramonto e raggiungiamo l'hotel al buio.

Capperi!
Vi avvisiamo: in questo paragrafo parleremo di capperi di altre cose di cui forse non vorreste sentir parlare.
La capitale e' meglio di come ci era sembrata, ha molto da offrire, senza essere troppo caotica e vi si trovano prodotti (yogurt e marmellate favolose) introvabili nel resto del Laos grazie ai progetti del comercio equo-solidale. Un progetto e' in cantiere per rifare finalmente il lungo fiume, mentre fervono altrove i preparativi per abbellire la citta' in vista degli imminenti giochi del sud est asiatico (SEA games).
Noi come moltissimi altri, ci ritroviamo in coda al consolato thai per riottenere un nuovo visto. Siamo il numero 419 quando lo sportello segnala il numero 60: tiriamo fuori i dadi! L'attesa e ' meno lunga di quanto temessimo, ma il giorno dopo aspetteremo ancora per ritirare i passaporti vistati.
Anche da qui, decidiamo di spedire un pacco a casa. Gaia entra percio' nell'enorme edificio delle poste centrali dove viene accolta da uno selva di impiegati. Il posto e' un misto tra i nostri uffici statali negli anni '70, quelli francesi e i sovietici. Soprattutto, c'e' del sud est asiatico: un'impiegata allo sportello, gomito appoggiato al bancone, tiene fisso l'indice destro nella narice destra, a ravanare. Gaia la fissa affascinata, ma lei non recede dalla ricerca! Avere le informazioni e' un po' come essere nella casa della burocrazia de "Le 7 fatiche di Asterix". Qui non esistono i fazzoletti e per strada tutti sembrano dei calciatori durante la partita...
A proposito di frutti del nostro corpo (come canta Elio)... ammettiamolo: il ciclo mestruale ci fa compagnia, quando non da' troppi problemi, ci ricorda che il corpo ha un ritmo che e' quello della natura e che come tale va rispettato. Pero', capperi (!), Gaia sperava di essersi liberata degli assorbenti degli ani '80 che solo nella pubblicita' ti consentivano di volare e lanciarti dall'aereo, ma che in realta' ti andavano in mezzo alle chiappe e si staccavano costantemente dagli slip: beh, qui quei maledetti ci sono ancora. Qui, i bimbi non usano quasi i pannolini e le donne possono acquistarli in confezioni da 4 (?!?), che li fanno sembrare dei prodotti di lusso, ma che in realta' contengono dei superati assorbenti degli anni '80...

SEA 2009
Lasciamo Vieng Chan, imboccando l'avenue des baguettes ovvero uno stuolo di venditori di strada che occupano i primi km di R13 per vendere il mitico pane francese. In centro fatichi a trovarle e costano il doppio. Perche' siano tutti qui, e' per noi un mistero... la R13 riserva pero' altre sorprese: e' infatti per lunghisimi tratti in fase di rifacimento (in previsione dei giochi) cosi' ci toccano polvere, pietre, sterrato e buche. Quando finalmente usciamo dall'incubo, uno strano rumore accompagna la pedalata di Gaia; pensiamo si tratti del cappello di paglia che ha trovato per terra e che siccomee'ildestinochel'hamessosullasua strada, Gaia raccoglie e attacca alle borse. Invece bang! esplode il copertone. Giusto il giorno prima Ale si era rifiutato di acquistarne uno nuovo, profetizzando che avrebbe retto per altri 500 km...che gallo, Ale! Ne abbiamo pero' di scorta.
Sulla strada visitiamo il wat Phabat Phansane con uno stupa decorato con tantisimi animali, davvero originale e nel wat la sacra improntona (piu' di un metro) del Buddha! Se Ale fatica a trovare il suo 44... capiamo perche' Lui andasse a piedi nudi!
A pranzo, ci tocca una delle zuppe piu' stomachevoli di questo lungo viaggio; nonostante, come al solito, chiediamo una zuppa senza muu (maiale), onnipresente, ci arriva uno zuppone coperto di frataglie che fanno inorridire pure mr Tuffy, mentre Gaia rispedisce la sua al mittente chiedendo di asportare il materiale organico. Ale mangia a testa bassa, scartando pero' la busecca... il colore della zuppa e' rosso sangue di bue. Al mercato vicino vediamo prendere le tartarughe vive con le pinze e metterle in un pentolone...
Gaia ribattezza tutto cio' che abbia forma vagamente sferica, dal contenuto poco chiaro e che occhieggia da una bancarella o dal piatto di Tuffy: "palla di pelo del Mekong".
Dormiamo a Thabok e quindi a Paksane, dove il mercato e' pieno di prodotti thai e c'e' un internet point (l'unico) in un garage su palafitta, scricchiolante, traballante, polveroso e pieno di ragnatele; il software e' cinese e i pc miracolosamente funzionano.
Da Paksane raggiungiamo Namthone, un paese un po' "pulcioso", cosi' come la guesthouse dove dormiamo, sebbene di pulci, fortunatamente, non ce ne siano.
La strada e' monotona fino alla confluenza del Nam Kading con il Mekong. Il punto e' meraviglioso, sia per il paesaggio a monte che per lo strano contrasto tra le acque limacciose del Mekong e quelle limpide del Kading. L'effetto ottico e' quello di un fiume che sbatte sulla spiaggia. Qui la strada segue il Kading per qualche km e la zona protetta che lo circonda dove c'e' infatti anche la sede della World Conservation Society. Una meraviglia. Questa zona e' quella dove c'e' la maggior concentrazione di animali selvatici anche in via di estinzione del sud est asiatico. A differenza delle montagne del nord, dove c'e' un silenzio assordante causato dalla fame che ha fatto si' che tutti gli animali, anche i piu' rari, finissero nelle pentole dei poveri paesani, qui ancora se ne possono trovare, mentre gli uccelli volano nel cielo senza timore di essere abbattuti: non ci sentiamo piu' soli (la mattina dopo Gaia ritrovera' dopo tanto tempo una ranocchietta nella sua scarpa!). Le farfalle, invece, sono una costante, sono l'unico essere che evidentemente e' stato risparmiato dai morsi della fame e ne siamo sempre circondati dal nostro ingresso in Laos. Sono di tutte le forme, dimensioni e colori, come i pappagallini in Australia. Un mondo in cui ci sono farfalle, pappagalli e il canto del kukaburra e' un mondo in cui certamente si sta meglio.
In mezzo a questa natura ancora non distrutta dalle dighe (c'e' di mezzo anche l'italiana CMC di Ravenna) in progetto qui in Laos, il sellino di Ale si rompe. Viene riparato come possibile, giusto per non fare la fine del ragionier Fantozzi...
E' un tripudio di nascite, adesso, il Laos: bufalini, caprettini, vitellini, gattini, cagnolini, esserini umani. E' finita la stagione delle pioggie e il ritmo della natura da spazio alla nuova vita. Tutte le mamme, umane e non, allattano i propri cuccioli.
Lasciamo la pianura, per salire ancora una volta le montagne, per l'ennesima deviazione, questa volta sulla R8 che ci porta a Na Hin ad 80 km ca. dal Vietnam. La strada e' spettacolare, sembra di entrare in un quadro di Turner, non tanto per il soggetto rappresentato, quanto per la relazione tra essere umano e natura, in cui il primo ridiviene parte di quella natura della quale fa parte di per se', ma dalla quale e' tanto spesso alieno. Qui e' lei a farla da padrone e ci sente ominidi insignificanti.
Raggiunto il punto piu' alto, uno spledido belvedere ci consente di riposare ammirando la vallata e i pinnacoli di roccia calcarea che, affilatissimi e dalle forme piu' strane, somigliano a dei gargoyles. Il paese di Na Hin ci serve come base per andare alla scoperta della famosa grotta di Kong Lor. La strada per raggiungerla attraversa una vallata coltivata circondata da una catena montuosa posta ad anfiteatro. Il posto e' di quelli che meritano il viaggio, un luogo raro al mondo dove su una piroga si attraversa un fiume sotterraneo per 7 km sotto un'enorme galleria naturale, tra stalagmiti e stalattiti, che raggiunge in alcuni punti i 100 metri di larghezza. Occorre guadare a piedi nei punti dove piccole rapide impediscono alla piroga di andare contro corrrente. Dall'altra parte, un'ansa del fiume crea un piccolo lago verde in mezzo alla fitta vegetazione.
Purtroppo, condiviamo quest'esperienza unica con un inglese reduce da Vang Vieng, con tanto di abrasioni e occhio pesto per essersi tuffato ubriaco nel fiume. Parla in maniera sconclusionata e sembra soto l'effetto di qualche sostanza. Gaia che non tollera i trentenni adolescenti, alla sua domanda se ci siano animali pericolosi li dentro (precisa: coccodrilli, squali...) risponde: "Si, tu!". Ale fa il bagno nel tratto di fiume antistante l'ingresso della grotta. Veniamo anche invitati a bere da una comitiva di laotiani di ritorno dal lavoro nei campi.
Il mattino successivo, la tappa termina alle 7.35, quando ad Ale nel tentativo di sistemare il sellino rotto resta in mano la vite di accciaio di 5 mm di diametro che fissa la sella al tubo.
Decidiamo percio' di prendere un sawngthaew (una sorta di Ape Piaggio formato gigante con due panche, per il trasporto di persone e cose per tratti medio-brevi) alla volta di Thakhek. Ale, infatti, non puo' far altro che stare in piedi sui pedali, come i veri grimpeurs...
Qui troviamo una vite e un sellino semi usato e leggermente meglio di quelli da Graziella che ci sono in giro. Cosi' possiamo continuare a pedalare, Ale con un po' piu' di problemi al fondoschiena!
Del viaggio in sawngthaew diremo che: c'e' posto per tutto e tutti, o quasi; vengono imbarcate, oltre alle nostre bici, vari tipi di derrate, dal riso al carbone; alcuni viaggiano attaccati fuori, altri masticano noci di betel, sputando poi la saliva rossa in un sacchetto trasparente, proprio davanti a noi. Questo, come le bottiglie di plastica, viene poi lanciato fuori dal mezzo, come gia' a Sumatra. Ci si libera la vescica, quando ci sono fermate con passeggeri lenti. Viene rifiutata una malata causa mancanza di posto adeguato. Due masochiste/contorsioniste fanno il viaggio nell'esiguo spazio dietro il posto guida, con le gambe in bocca.

Sabadi'!
In questa zona, il centro del Laos, per qualunque genere di consumo, l'economia sembra dipendere dall'importazione dalla Thailandia. Grandi camion attraversano il Laos, si dirigono in Cina o in Vietnam e viceversa, trasportando e scaricando lungo la strada ogni genere di prodotto. Degli yogurt, delle marmellate e del caffe' equosolidale laotiano trovati a L.P. e Vientiane non c'e' piu' traccia. Le strade peggiorano notevolmente e ricordano a tratti grattugie. Nella zona di Thakhek, seguiamo la R12 che si snoda tra le falesie, come la R8, per deviare poi su un lungo sterrato che ci conduce alla grotta Tham Pha Ba (anche se sui cartelli stradali il nome sembra essere scritto in alfabeto farfallino...), recentemente scoperta da un cacciatore di pipistrelli e contenente 229 statuette di bronzo del Buddha di tutte le dimensioni dei primi secoli d.C. Passiamo vicino a varie pozze dove fare il bagno, ma in una di queste sguazzano tre serpentelli, facendoci cambiare idea.
La citta' e' disseminata dalle vestigia coloniali della dominazione francese, alcune in rovina, altre ben ristrutturate. Una di queste e' uno splendido hotel-resto' dove non dormiamo, ma Ale mangia il calamaro gigante del Mekong e Gaia un curry giallo (qui sono anche rossi e verdi) a base di cocco e, finalmente, la mitica insalata di papaya verde, che non osiamo mangiare dai venditori di strada in quanto cruda. Buonissimi!
Nella tappa sucessiva, copriamo i facili 132 km che ci separano da Savannakhet, pianura a grattugia, a parte il tratto finale super liscio, dove raggiungiamo velocita' insperate superando piu' volte (a piu' di 40 km/h) i nostri amati trattorini a trasmissione lunga, i dok dok.
Lungo la strada, faciamo sosta da un venditore di pomeli, la cui attivita' principale e pero' quella di saldatore/pulitore di argento, che non disdegna nemmeno i piccoli lavori di sartoria e che ci parla in inglese: altro che i nostri manager multitasking!
Savannakhet ci delude un po', ma anche qui ci sono splendidi edifici ex coloniali, case cinesi tipo shophouse e qualche edificio art deco'. Ci appare un po' spenta e spettrale e la sera ci sono pochissime luci e fatichiamo a trovare un ristorante aperto. Ma una zuppa qui non te la nega nessuno: molte case si aprono sulla via e vendono le semplici zuppe che caratterizzano la cucina laotiana. Il mercato centrale pullula invece di vita e di prodotti, sempre pero' thai (qui c'e il secondo Ponte dell'Amicizia...). Nonostante la citta' non invogli a restare, la gola di Ale infiammata a causa della "gita" in Ape Piaggio, ci obbliga a sostare piu' di quanto vogliamo a sopportare il raffredorone del Tuffy.
Nelle vicinanze c'e' l'antico stupa That Inhang, un'interessante commistione indo-buddhista di stile khmer-laotiano, in un piacevole contesto bucolico.

Struttura e sovrastruttura
Un ultimo omaggio va fatto alle donne di qui, ma soprattutto a quelle del mercato di L.P. che, instancabili, preparano e spreparano le bancarelle, piegano e ripiegano tutti i prodotti, attendono pazientemente i clienti che non arrivano, a volte, mai per poche ore, nel frattempo allattando piccoli o preparando altri manufatti da vendere; donne che a volte sono piccole donne che, anziche' giocare a fare come se io ero la commessa, la venditrice la fanno davvero anche se hanno 8/9 anni, magari col fratellino sulla schiena; quelle stesse bimbe che gia' in montagna portano gerle colme di legna sulle spalle, ma che lo stesso hanno la voglia di sorridere e salutare i falang in bicicletta urlando il loro: "Sabadi!". Donne anziane che ne hanno viste tante, anche loro costrette a continuare a lavorare anziche' godersi il meritato riposo della vecchiaia, costrette a stare in un mercato a vendere prodotti senza nemmeno saper dire quanto costano in una lingua che non e' la loro, ma quella del commercio che le dovrebbe sostentare. Vecchine che gli compreresti tutto, per i bei visi che hanno, vecchine anche loro, spesso, con i nuovi nati sulle spalle...

Da qualche tempo a questa parte, quando la fatica si fa sentire di piu', Gaia ha un sogno ad occhi aperti che coniuga il desiderio di un letto comodo a quello di un riposo prolungato: il sogno e' quello, molto borghese e contingente, di poter proseguire il viaggio, novella Ali' Baba', su di un ... materasso volante. Un mezzo ad impatto zero e che al contempo consenta una visione a volo d'uccello, lenta e il piu' naturale possibile... Gaia si immagina sdraiata su un fianco come il Buddha, con una mano a sostenere il capo e lo sguardo un po' ebete. Sara' forse che l'eta' avanza e che ha avvistato su una tempia il primo (di cui lei sia a conoscenza) capello bianco?
Ale, che di capelli bianchi ne ha tanti e da tanto tempo, da qualche tempo fa i sogni (veri!) a macchie. Lasciando stare quelle famose di Rorschach, i soggetti dei sogni piu' che la forma reale ne conservano la sagoma e i colori... eppure non stiamo assumendo nessun farmaco!

Domani da qui dovremo poter partire per tentare di raggiungere il sud del Laos e il nuovo obiettivo-chimera: i mitici delfini dell'Irrawedi...

sabato 17 ottobre 2009

La Cina e' vicina

Dopo un po' di riposo e il massaggio thai a Nong Khai, siamo entrati in territorio laotiano.
A Vientiane abbiamo steso un mini itinerario. Ale voleva andare a sud, cosi' come previsto da mesi; Gaia non voleva perdersi Luang Prabang a nord. Ale ha proposto una separazione momentanea, Gaia una mediazione: tutti a Luang Prabang!
E cosi' eccoci a Luang Prabang, a un giorno di viaggio con mezzo motorizzato dal confine cinese, tre giorni in bici. La tentazione e' forte, Ale vagheggia Pechino, la Transiberiana... ma quello e' un'altro viaggio.
Diremo solo che questa deviazione di circa 400 km ci e' costata "lacrime e sudore" ma, come spesso ci e' capitato, ne valeva la pena!

Cementiamo l'amicizia
L'ultimo incomprensibile scambio di battute in terra Thai e' avvenuto nel parcheggio di un supermercato: i soliti locals si avvicinano attratti dalle nostre bici, una signora si siede sul portapacchi di Ale mentre sta per partire e ride sotto lo sguardo incredulo dello stesso. La bici si imbizzarrisce sotto il peso della signora e la comitiva ride. A questo punto un signore del gruppo tocca la gomma ed esclama rivolgendosi ad Ale: "Lek, lek?!?" Tutti si fanno una grassa risata.
La strada che porta al Ponte dell'Amicizia che unisce la Thailandia al Laos e' breve e anche le formalita' doganali: in un attimo abbiamo visto e via libera per poter passare il ponte sul Mekong con e sulle nostre bici, nonostante il divieto segnalato da un cartello. E' emozionante, sia per la valenza simbolica, sia per la vista e il paesaggio che si godono dal ponte: vorremmo fermarci ma non osiamo tanto.
I due stati hanno deciso di sancire la fine delle tensioni da guerra fredda, costruendo tre ponti (dell'amicizia, appunto) sul Mekong che ora li uniscono.
Arrivare a Vientiane e' semplice, anche se non vediamo mai nessuna segnalazione per la capitale. All'ingresso, fermi ad un semaforo, siamo approcciatri da un emigrato in Michigan, anche lui cicloturista, che ci propone di andare insieme a Luang Prabang. Siamo un po' disorientati e non abbiamo ancora in mente la nostra agenda; dopo averci fotografato ripetutamente, ci lascia il suo numero locale di cellulare. Non riusciremo a ricontattarlo.
La citta' e' cosmopolita, ma ci appare piu' piccola di quanto forse non sia. Notiamo una forte presenza di turisti ed internazionali impegnati in vari tipi di missione.
Decidiamo di ripartire subito e di esplorarala al nostro ritorno dal nord.

Verso nord
Velocemente, arriviamo a Phon Hong, la prima tappa in direzione L.P. Pur nella sua brevita', abbiamo il tempo di notare alcuni netti cambiamenti. Come direbbe Lapalisse, il Laos non e' la Thailandia.
Ritorniamo, dopo 9 mesi, alla guida a destra, Ale e ' frastornato e piu' volte imbocca la via dalla parte sbagliata, il cervellino semplice di Gaia apprezza immeditamente.
Passiamo da una lingua tonale a 4 toni (in cui la stessa parola, a seconda del tono utilizzato, assume 4 significati diversi!), ad una tonale a 6 toni! Nonostante questo, la comunicazione con i laotiani ci pare da subito piu' facile. Anche i cartelli sono molto di piu' in alfabeto latino a causa della colonizzazione francese che ha lasciato nei piu' vecchi anche la lingua, mentre i piu' giovani o quelli che non avevano imparato il francese, parlano la lingua dei nuovi coloni: l'inglese dei turisti. Da farang che eravamo in Thailandia (straniero bianco), diventiamo falang.
La raccolta della pattumiera, anche lei, somiglia piu' a quella indonesiana che a quella del vicino.
I cani, come per incanto, da cattivissimi e abbaianti, diventano buoni: fin'ora nessun cane ci ha abbaiato mai!! Quelli che vediamo sono poi molto ben tenuti, nonostante il livello della vita sia piu' basso. Fanno la loro ricomparsa i gatti coda mozza lasciati in Malesia e visti raramente gia' a partire dal sud della Thailandia.
Scompaiono quasi completamente i distributori di benzina che punteggiano le strade thai e anche l'asfalto cambia notevolmente di qualita', cosiccome il traffico diminuisce.
Non ci sono cartelli stradaIi, al loro posto solo pietre miliari consunte indicano, a turno, ora una destinazione, ora un'altra, probabilmente per "ottimizzare".
Il cibo di strada praticamente scompare, per non parlare dei dolci, in strada e non solo: si prospetta dieta ferrea e assenza di dolcezza... La prima sera, al posto del nostro solito dolce, siamo costretti a ripiegare su dei crackers all'alga.
Mentre ceniamo, a Phon Hong possiamo vedere come e' lecito lavare qui i bimbi piccoli: catinone a bordo strada, si spogliano nudi, li si fa sedere nel catinone di metallo e con la canna (acqua, ovviamente fredda) li si innaffia. Poi uno dei due bimbi, viene sollevato dal catinone e posto in un vaso per fiori di loto usato come lavandino e risciacquato sotto un rubinetto. I bimbi paiono, comunque gradire.

Vang Vieng
Il giorno dopo, raggiungiamo la cittadina di Vang Vieng, dove passiamo due notti anche per onorare la bellezza del luogo e della stanza dove soggioniamo, dopo i tanti posti senza interesse dove spesso dobbiamo pernottare. Anche questa e' una citta' sul fiume, posta al centro di un insieme di colline meravigliose con caverne e falesie. Anche qui, come altrove, veniamo salutati lungo la strada, ma quasi solo dai bambini; gli adulti ci sembrano un po' spenti, forse dalla "dittatura dolce", forse dalla guerra sporca statunitense, forse da entrambe le cose.
Lungo il tragitto, attraversiamo un paese interamente dedito al pesce secco, di fiume: bancarelle si susseguono senza fine, proponendo pesce secco in ogni forma. Noi, ci buttiamo sulla frutta, ma qui sembra essere solo stagione di pomelo e banane. Passiamo campi dove, a mano, contadini che sembrano usciti dalle foto degli opuscoli turistici, tagliano il riso davvero, con i loro cappelli di paglia a forma di cono e la falce. Lungo la strada ci sono anche tantissime bandiere laotiane e molte bandiere rosse con la falce e il martello, a ricordarci dove siamo.
Nonostante le numerose attrattive naturali, Vang Vieng e' purtroppo diventata soprattutto una sorta di divertimentificio, dove sui menu' di alcuni ristoranti compaiono numerose droghe e dove girano senza vergogna, come fossero in casa loro, numerosi occidentali (di entrambe i sessi) seminudi, alcuni con le sole mutande. Questi personaggi, che vagano sempre ubriachi per le vie, ci chiediamo cosa cerchino qui e che ricordi avranno del Laos. E' sempre per loro che vengono offerte attivita' ad alta adrenalina che spesso, sembra, si concludono con incidenti fatali. Il paese e' cosi' diviso tra un'area fuori dalle regole, dove si urla fino a notte tarda, e quella meravigliosamente tranquilla e piacevole degli altri turisti "normali".
La nostra gita ad una caverna (Tham Phou Kham), ci fa percorrere una strada sterrata dove, al posto dei taxi collettivi genere Apecar, il servizio e' svolto da trattorini con rimorchio tipo carro di legno con un lunghissimo albero di trasmissione (2 metri ca.), come le long tail boat thai.

Inizia la salita!
Pochi km dopo l'uscita da Vang Vieng, la strada si inerpica tra le falesie di pietra calcarea che sembrano castelli di sabbia modellati dai bimbi sul bagnasciuga. Sono ricoperte di foresta, con alberi anche giganteschi e le nubi che giocano ad appiattirsi nei fondovalle: il paesaggio e' fatato.
In questi primi giorni di Laos, incontriamo 4 coppie di cicloturisti, non tutti simpatici, ma tutti sembrano sfoggiare grande sicurezza lontano dalle montagne. Il primo giorno di montagne, le salite ci sembrano gia' dure. Le prime due coppie che incontriamo, provenienti da nord, non ci dicono pero' nulla di particolare riguardo il proseguo del percorso. La terza coppia, lui di Chicago, lei del Minnesota, accennano alle "few hills" che ci attendono in direzione L.P. Restano vaghi rispetto al loro itinerario futuro e passato.
Prima del nostro stop notturno, incontriamo una coppia di neozelandesi che ci raccontano di essere reduci da 8 giorni di infezione intestinale che li ha molto debilitati e di avere percio' deciso di prendere il bus per saltare le montagne che ci attendono. Lui mostra ad Ale una cartina con l'altimetria e le pendenze del successivo tratto di strada e iniziamo a renderci conto precisamente cio' che ci aspetta: ad esempio, i 900 metri di dislivello in 25 km. E questo sara' solo l'antipasto.
Per questo, decidiamo, avendo gia' percorso in salita piu' di 80 km, di fermarci proprio li' dove siamo, in una guesthouse-ristorante in mezzo ai bricchi. Questi ragazzi, sono gli unici che, pur avendo fatto la strada solo in bus, ci dicono che le salite sono terribili.
I due ragazzi ci raccontano poi di aver pedalato in Borneo, a Sumatra, di essere passati dalla costa est della Malesia al Laos. Forse, come i gatti dalla coda mozza, han trovato un modo per saltare la Thailandia! Siamo troppo stanchi tutti e 4 per andare avanti a parlare dei rispetivi itinerari e ci congediamo, rassicurandoli che la strada, ormai alle nostre spalle, per loro sara' in discesa.
Dormiamo in un piccolossimo bungalow, dove dobbiamo condividere il bagno con due ragni da competizione australiana; inoltre, due simpatici geki sul soffitto lasciano cadere le loro copiose deiezioni su di noi: la notte dormiamo solo grazie alla zanzariera che fa da protezione psicologica e non solo, usando il piumino a disposizione, vista la temperatura molto bassa.
Il giorno dopo, riprendiamo con una discesa di pochi km, prima della salita interminabile di 17 km che ci portera' intorno ai 2000 metri. Il paese che raggiungiamo e' lo snodo viario per il Vietnam, a destra, mentre noi proseguiamo a sinistra in direzione Cina. Lungo le pendici delle montagne, avvistiamo solo le poche persone che le abitano, attraversando i loro poverissimi villaggi.
Dopo esserci rifocillati con banane fritte, frittelle di mais, pomeli, una scatola di biscotti e l'ottimo caffe' laotiano, sapendo che non c'e' quasi nulla tra noi e la successiva fermata, Kiew Ka Cham, ripartiamo gia' provati. La strada prosegue solo o in salita o in discesa, gli oltre 250 km che separano Vang Vieng da L.P. prevedono non piu' di tre km di piano. Anche il paesaggio subisce mutazioni continue, dalle falesie passa alle montagne piu' massiccie, meno ricche di foresta, a cespugli stile macchia mediterranea, per ritornare poi ad essere piu' coltivato. La situazione di alcuni villaggi appare miserevole come quelle di certe zona di Sumatra, con case di bambu' e terra battuta intorno, gli abitanti costretti a lavarsi solo nei fiumi o alla fontana, quando c'e' grazie a qualche progetto di questa o quella ONG. Potremmo essere in un villaggio medioevale.
Ancora indonesiana, appare la situazione scolastica: bimbi che non vanno a scuola e bimbi che escono molto presto da scuola. Bimbi che lavorano. Le divise, pero', soprattutto quelle femminili, sono elegantissime: la gonna tradizionale e una camicia bianca.
Oltre al solito pollame, circola ben poco: mano a mano che ci si addentra nel cuore di questa zona, la poverta' cresce e spariscono anche i pochi animali domestici che usualmente accompagnano la vita contadina. Vediamo adulti senza incisivi, come in Madagascar, a causa della malnutrizione. Queste sono anche le zone una volta abitate dall'etnia Hmong che a causa del sostegno agli americani durante il conflitto in Vietnam, e' stata cacciata nei boschi e percio' costetta a sopravvivere come ai tempi dell'eta' della pietra. Ora si sono reinsediati nelle antiche aeree, ma la poverta e' notevole. Vediamo pero' donne ancora con gli antichi, bellissimi, costumi tradizonali.
Arriviamo a destinazione sfatti, dopo che, nell'ultima, ennesima, salita, sfrecciano in direzione opposta, tantissime scolare, probabilmente uscite dall'ultimo turno. Ci sorridono e salutano, velocissime, volando con le loro bici. Un'immagine che ci scalda il cuore e ci da energie sufficienti per arrivare in vetta, dove ci attende una guesthouse che e' una delle topaie piu' topaie mai incontrate nella nostra vita: solo in India, in un paio di occasioni, forse, abbiamo dormito in un posto cosi'!
Pochissime le macchine che incontriamo tra le montagne, qualche minivan nuovissimo trasporta turisti, qualche altro mezzo di trasporto piu' o meno omologato come "automezzo" trasporta locals, qualche camion diretto in Cina e ...nessun cicloturista!
Uno di questi nuovi van, da cui scende un gruppo di turisti thai per la pausa pomeridiana, si ferma proprio davanti a noi; increduli, i thai ci fotografano e riprendono e ci chiedono da dove abbiamo pedalato, commentando tra loro. Saremo sull'album virtuale delle vacanze laotiane di uno di loro.

Arrivo in discesa
La mattina dopo, sono 20 km di discesa, tra la nebbia fitta e il freddo-umido (che ci obbligano a fermarci ogni ca. 5 km per sgranchire le mani che devono frenare in continuazione), seguiti da 22 km di salita. Oltre al restante kilometraggio che ci aspetta per giungere, infine, a LP!
Appena scollinato, c'e' una sorta di baracca-caffe' con una vista meravigliosa sulla vallata incisa dal fiume Nam Khon, che entra nel Mekong prorpio a L.P.: giu', molto giu', c'e' il paese di Xieng Ngeun, dove ci fermiamo poi per pranzare con un'ottima zuppa, prima degli ultimi km, fortunatamene non impegnativi.
Dopo un'ultima salitina inaspettatamente ripida, ci sono gli ultimi 5 km di discesa facile che ci portano a destinazione.
Questi 400 km, tra Vientiane e Luang Prabang, ne valgono 1000 per la durezza della catena montuosa tra qui e Vang Vieng, ma siamo orgogliosi di averli pedalati! Tra le montagne, irte, da tappa pirenaica, non abbiamo incontrato nessun cicloturista e questo ci fa sospettare qualcosa...di certo, solo un giapponese, un giorno prima di noi, le ha pedalate in questi giorni.
Dato che non torniamo in Italia in sella alle bici (impiegheremmo troppo e i sensi di colpa e gli affetti essendo troppo forti), torneremo nella capitale in bus anche noi, per proseguire il nostro viagggio questa volta verso sud.
Ad eccezione della parentesi in alta quota, qui fa caldo, ma il cielo, a differenza di quello thai, e' sempre limpido perche' la stagione delle pioggie sembra essere passata.
Luang Prabang, citta' patrimonio mondiale UNESCO, e' una meraviglia, pure lei, un gioiello incastonato tra le montagne e posta alla confluenza di due fiumi, di cui uno, il Mekong, di per se' mitico.
I suoi templi sono caratteristici, ben conservati o appena restaurati, le case coloniali e tradizionali si susseguono, cosiccome le sue vie di pave' e sono in vendita le miriadi di oggetti dell'artigianato tradizionale delle mille etnie che abitano queste zone, in particolare sete e cotoni. Per noi mancherebbe solo una passeggiata lungo fiume, come a Melacca, ma stare qui 3 giorni e' stato davvero rilassante (le ginocchia, invece, urlano ancora vendetta!). La cascata visitata oggi (Tam Sae) compete per bellezza con quella vista a Kantchanaburi. Farsi il bagno e' rinfrescante e ripaga della fatica che si fa per raggiungere qualsiasi posto nei paraggi!

L'attesa per la sorte della coop continua...il Comune ha rimandato di una settimana la sua decisione.

mercoledì 7 ottobre 2009

E in mezzo scorre il fiume

Siamo finalmente giunti a Nong Khai, cittadina al confine con il Laos dove il confine e' il maestoso Mekong, un fiume il cui nome pensavamo di continuare solo a leggere sulle cartine e che invece e' qui, di fronte a noi. Da una parte la Thailandia, in mezzo il fiume, dall'altra parte, visibile dalla finestra della maggior parte delle pensioni, il Laos.
Arrivare e' stato davvero un'emozione. Proprio un posto carino dove riposare, Nong Khai...ed e' qui che, infatti, ci siamo finalmente concessi un rinomato massaggio thai!
Siamo in attesa di passare il famoso Ponte dell'amicizia, uno dei tre costruiti sul Mekong, che unisce i due stati. Ma l'attesa principale non e' questa: il 15 c.m. il Comune di Milano dara' la risposta alla cooperativa in merito a quali rapporti resteranno attivi nel prossimo futuro...

C'era una volta un re...
Non ne abbiamo parlato tanto, ma il re, forse questo in particolare (Rama IX), e' l'idolo nazionale. Le sue foto e quelle della sua reale consorte, sono ovunque. Molte sono foto di gioventu' che lo vedono impegnato, come tutti i bravi re, nelle piu' disparate attivita': agricoltura, industria, educazione, cultura. Questo re e' stato promotore di molte iniziative sociali e culturali. Molte altre foto riguardano la sua esperienza come monaco: come ogni buddista che si rispetti, anche lui ha fatto il suo periodo di noviziato. In quasi tutte le foto, il re ha pero' la faccia triste, raramente sorride, mentre la moglie sfoggia sempre bellissimi sorrisi thai. Nel periodo da monaco, le foto hanno addirittura un che di inquietante: il re, in saio color zafferano, indossa sempre degli occhiali scuri che lo fanno sembrare un militare golpista. Ma sono le foto piu' recenti, quelle di un re ormai vecchio, che fanno piu' pena: appare visibilmente sofferente, forse ha una qualche malattia degenerativa, fatto sta che il paragone con la moglie e' ancora piu' stridente. I figli raramente compaiono, ma sono bruttarelli, tipo sorellastre di Cenerentola (ovviamente sara' il maschio a succedergli). La sorella e' invece un'attivissima donna dal bel volto che tutte le volte che vediamo un tg fa qualcosa da qualche parte, occupandosi soprattutto di promozione della cultura e delle tradizioni thai.
La real foto, come gia' detto ubiqua, alla quale siamo piu' affezionati e' quella che si faceva largo, in un ristorantino, sulla stessa parete tra un'immagine sacra (del Buddha), un calendario per camionisti, un poster semi porno di donna discinta e quello di una nota marca di birra.
Per noi, a causa dei suoi gusti, restera' sempre e soltanto re Carciofo!

Quel gusto western: Ayutthaya-Muak Lek
La notte piove tantissimo, partiamo che tutto e' bagnato e il cielo coperto. La strada e' tra le risaie, tra stormi di cicogne che si spaventano al nostro passaggio e volano via. Moltissime buche, canali esondati, fango. Gli auspici sono pessimi: Ratatouille spiaccicato per terra, stavolta e, a qualche metro da noi, un bel cane investito in pieno da un pick up. Per fortuna muore sul colpo. Noi per non vederlo, preferiamo attraversare la strada e procedere contromano, struzzi di sensibilita'. Il sole si affaccia tra le nuvole e nelle ore piu' calde si fa poi largo definitivamente a testate. Partiti senza crema solare, arriviamo scottati! A circa 40 km dalla meta (ma noi pensavamo ne mancassero 25), ci fermiamo ad una bancarella, una delle rarissime oggi, ad acquistare cachi (la varieta' persiana dura che si trova qui). Si ferma anche un signore, in tenuta da golf, pick up vuoto, per guardare la merce. Si rivolge a noi, in inglese, chiedendoci dove siamo diretti; rispondiamo: "Muak Lek" e lui entusiasta: "Anch'io vado a Muak Lek!". Il nostro sguardo va dai suoi occhi al pick up vuoto (grande che ci stanno bici, noi, le borse e ce n'e' d'avanzo) ed esclamiamo: "Ahh!". Lui sorride, non acquista niente, ci augura buon viaggio e tentennante riparte. O golfista, tu che ti muovi sul green in trattorino, tu che sai che mancano 40 km a Muak Lek e che la strada e' un inferno, con cementifici e camion che si susseguono, tu che sai che ci sono piu' di 6 km di salita giusto prima di Muak Lek. O golfista col pick up vuoto perche' ci dici che anche tu vai a Muak Lek se non ci offri un passaggio?
Infatti, dopo la pausa pranzo il paesaggio cambia drasticamente, si vedono le montagne e sulla nostra sinistra, dalla parte dove pedaliamo, iniziano a comparire dei mostri altissimi: siamo arrivati ad una zona superindustriale e non un'industria qualsiasi, ma il complesso fantozziano megagalattico dei cementifici Siam City cement pubblic co. Simbolo, che sembra uscito da un fumetto di Batman, come il nome, e' una testa d'aquila antipatica, pronta probabilmente a gettarsi su qualsiasi cosa sia cementificabile, in terra thai e non solo...c'e' anche uno svincolo assurdo, targato Siam City e anche una diga, poco oltre: chissa' chi c'e' dietro. Pedaliamo gli ultimi km in salita incolonnati tra camion stracarichi che procedono lenti quanto noi, a volte anche meno, visto che li superiamo. La citta' dove finiamo e', chissa' perche', sede di un annuale Country Festival. Vediamo anche due spaesanti steak house e un villaggio finto vecchio West con tanto di tepee indiano. Pure l'hotel in cui finiamo, sull'autostrada, e' in stile old, wild West: anzi, e' una vera topaia western! In questo pezzo di paesaggio, ci chiediamo cosa ci faccia un'impresa Danish-Thai di mucche da latte!

Vita da cani: Muak Lek-Sung Noen
La salita non e' ancora finita, la mattina, Ale stacca Gaia e arriva in cima. Quasi in cima, passa accanto a un pit bull che sbadiglia e si accuccia. La prassi di aspettare Gaia in caso ci siano cani, viene percio' accantonata. Gaia riconosce, controsole, la sagoma del pitbull, ma anche a lei pare tranquillo e prosegue lentamente, spostandosi solo un po' piu' a destra. Quasi passata il cane, la bestia si alza e fa scattare la poderosa mascella, mancando la gamba di Gaia (scientemente?) che lei comunque alza immantinente. I secondi che seguono sono convulsi, Gaia urla, scende dalla bici e una donna arriva in motorino e richiama l'animale che pero' ha gia' morso la cinghia della sacca. Gaia piange dallo spavento e da allora gira con un buco di dente di pitbull sulla sua borsa. Ale da lontano non si accorge di nulla, ma la vede arrivare spingendo la bici.
Come gia' accennato, sulla strada i cani, abbandonati, selvatici o solo nullafacenti che ci abbaiano e ricorrono, sono tanti. La situazione dei cani in Thailandia e' brutta e si capisce che abbiano da ridire, povere bestie: malati di cimurro, filariosi, rogna o magrissimi per la fame, fanno spesso pena. Ma quasi sempre trovano la forza quantomeno di abbaiarci contro. La situazione degli animali e' specchio di quella degli umani: esseri liberi, di per se' non e' positivo. Non avere la catena non produce di per se' benessere. Alla liberta' di (muoversi, comunicare, fare) deve sempre essere accompagnata la liberta' da (dalla fame, dalle malattie, dalla paura). Cosi' per gli esseri umani, cosi' per le bestie. Altrimenti non si danno esseri, umani e non, felici.
Ci riprendiamo dallo spavento con dei buonissimi pomeli scelti con cura da una simpatica coppia di venditori di strada, che ci fanno spazio all'ombra della loro baracchina.
Il paesaggio prosegue, con tratti magnifici di collina, un lago artificiale lunghissimo punteggiato di ristorantini con vista e il misterioso Buddha park (un parco a tema?). Forse lo sbeffeggiare gli idoli locali ci procura una foratura nei pressi di una zona di bancarelle delle statuette in gesso et simili piu' disparate. Due per tutte: galli e buddha. Siamo costretti ad usare una di queste come appoggio per cambiare la camera d'aria.
La particolarita' dell'hotel di oggi non e' certo quella di essere sull'autostrada, bensi' il suo bagno. Annesso al balconcino e non direttamente accessibile dalla stanza, e' opera di un architetto pazzo: molto piccolo, ha la doccia di fronte alla porta e il wc e il lavandino completamenti attaccati, a destra dell'ingresso, in modo che il lavandino sia rivolto verso il wc e risulti pertanto inutilizzabile. Per scherno, c'e' anche lo specchio sopra il lavandino, ma l'unico modo per potercisi vedere e' salire sul wc!
La giornata si chiude com'era iniziata: questa volta e' il branco di oche dell'hotel, a sferrare un attacco ai due ciclisti, al loro rientro. Va detto peraltro che le povere bestie hanno come sempre le loro ragioni: il ristorante dove mangiamo ha tra le specialita' oca e anatra e lo si capisce perche' sull'insegna campeggia, insieme ad un'oca...Paolino Paperino!!!!

Monsoon wetting: Sung Noen-Phimai
(No, non e' un errore di scrittura: il titolo vuole essere un omaggio al matrimonio di Viviana da poco celebrato, ma anche ricordare l'acqua che abbiamo preso in questi giorni).
Questa mattina, Gaia non indossa nemmeno le calze: piove gia' cosi' tanto alla partenza che decide che e' inutile. Alla pioggia sottile si alterna pioggia fitta, e' la coda del tifone che si sta abbattendo, scopriamo poi, nel sud della Thailandia, Suratthani in particolare.
Quando piove cosi' tanto, e' buona cosa avere una meta, un posto dove sai che troverai da dormire. Il viaggio si perde. Non c'e' paesaggio, solo i campi di riso e il loro verde e qualche trampoliere che si stringe tra le piume e qualche altro che pesca e il grigio del cielo. Vai solo dritto alla meta, che arrivare e' gia' qualcosa.
Phimai e' proprio come ce l'aspettavamo, il suo tempio khmer (modello per i templi di Angkor) meraviglioso, il museo (che ricostruisce la storia dell'Isan dall'eta' del bronzo) ben fatto e interessante. La citta' e' posta, come piaceva agli antichi, all'incrocio di tre fiumi il Moon, affluente del Mekong, il Khem e il Chakorat, su di un'isola da essi formata. Visitiamo anche il suo famoso fico di Giava (baniano), vecchio di oltre 350 anni, il piu' grande della Thailandia che ha formato una vera foresta (anche qui, foto del re!) sull'acqua.

Phimai-Ban Phai. Motel Agip.
Alcuni di voi ricorderanno forse la stagione dei motel Agip: in genere ecomostri, si ergevano tronfi nei posti piu' impensabili della rete autostradale italiana. Brutti, costavano in compenso tantissimo. Qui, invece, lungo l'autostrada troviamo spesso hotel migliori di quelli in citta' e a prezzi abbordabili. Alla tristezza del fermarsi nel nulla, fa da contraltare in questo caso, la qualita' dell'offerta. In questo bell'hotel/motel/bungalow in particolare decidiamo anche di cenare sotto il suo berceau, circondati dai bambini dei proprietari che dopo i primi timidi approcci, cercano di comunicare con noi con il poco inglese che pero' gia' conoscono a 9 anni.
Oggi, davanti ai nostri occhi, sulla strada vediamo scorrere: granchietti di acqua dolce che escono dalle risaie (quindi il fantomatico gatto pescatore...); camioncino/taxi collettivo che trasporta, oltre ai normali passeggeri, un motorino con il motociclista in sella; aquiloni coloratissimi con faccina di pipistrello o panda i piu' belli, a forma di aereo e colore mimetico quelli da boicottare; salsicce di ogni forma e dimensione, per lo piu' collane di salsicce, specialita' dell'Isan.

Poker di polli: Ban Phai-Khon Kaen
Cerchiamo l'hotel di legno segnalato dalla guida, sperando di ritrovare un po' di heritage smarrito a Hua Hin. Invece, troviamo solo la topaia. Gaia chiede ad Ale di entrare a vedere la stanza, perche' non e' convintissima. Finiamo col prendere la peggiore, che non solo non e' di legno, ma e' veramente schifosa. Pero' ormai siamo li', siamo stanchi e soprattutto costa veramente poco. Come sempre, per una notte, va bene tutto.
Khon Kaen ha un bellissimo e ricco mercato diurno, mentre quello notturno e' deludente. Mangiamo in un ottimo ristorante vegetariano, zeppo di locals. Ogni tanto la guida anziche' farci incazzare, ci da qualche dritta giusta! Anche la cooperativa di donne che vende stoffe e' il luogo perfetto per fare acquisti e dove i soldi vanno direttamente nelle mani di chi produce.
Lungo la strada, oggi, moltissime bancarelle propongono la specialita' locale per antonomasia: il pollo grigliato servito su degli spiedi. Data l'elevata competizione, alcuni venditori propongono superofferte come quella di uno di loro che, in piedi sul ciglio dell'autostrada, sbandiera quattro spiedi con altrettanti polli infilzati sopra, reggendoli a mo' di poker di carte, proteso verso le macchine che sfrecciano.
Gaia ha mal di testa, Ale e' isterico e insopportabile, come sempre: insomma, formiamo proprio un'irresistibile coppia.

Khon Kaen-incrocio strada 2023
Il posto dove ci fermiamo oggi e' uno di quegli agglomerati che sorgono spesso qui in prossimita' degli incroci tra strade ed autostrada e non sappiamo nemmeno se abbia un nome. Non volendo dormire ad Udon Thani, decidiamo di fermarci in un hotel che ci pare carino, in mezzo al nulla, ma tra le risaie. Il paesaggio e' da Oltrepo' pavese misto a canna da zucchero e con tantissime bufale, che finalmente vediamo immerse nell'acqua coi loro piccoli, alcune anche chiare che paiono albine. Con il sole, rivediamo le farfalle, nere e gialle, enormi, o nere con la coda a goccia e i puntini giallorossi, bellissime.
La serata e' caratterizzata dal primo plenilunio di ottobre e percio' anche da grandi festeggiamenti, con scoppio di mortaretti e piccoli fuochi d'artificio fino a notte inoltrata. La luna sembra gradire le offerte e stasera non solo e' ben visibile, ma anche incredibilmente rossa.

Incrocio-Nong Khai: great balls of fire
Buttata fuori dalla porta, Udon Thani rientra dalla finestra: attraversarla ci porta via un sacco di tempo e ci costa anche una litigata (oggetto: banane grigliate e acqua). La citta' sembra molto ricca ed e' caratterizzata dalla forte presenza di militari ed, in comune con Bangkok, ha il cattivo sapore dell'acqua e l'elevato numero di donne per uomini soli...
Incontriamo, alle porte di Nong Khai, un altro caso di false friend: le bancarelle vendono noci di cocco rapate che sembrano passate alla brace. Per Gaia, c'e' dentro del riso cotto...insomma, li si deve provare! Trattasi di semplici noci di cocco ben pulite messe sotto ghiaccio per essere servite fredde. Berne il latte buonissimo in una giornata cosi' calda come questa e' veramente una goduria, false friend o meno! Anche la polpa, che mangiamo all'arrivo, meritava d'esser tenuta!
Arrivati in citta' scopriamo che e' in corso il festival (che credevamo essere alla fine di ottobre) detto delle palle di fuoco del Mekong. Il festival ha a che fare anche con uno strano fenomeno, non si sa se naturale o artificiale: l'emersione dalle acque del fiume, una sola volta l'anno, di luci che la fantasia popolare vuole essere il fuoco sputato dal dragone che ne abita le acque.
Temiamo di non trovare posto da dormire, ma per fortuna e' lunedi' e il grosso dei turisti thai se ne e' andato. Veniamo sopraffatti dalla vista del fiume che domina la cittadina che vediamo anche dal tranquillo hotel che scegliamo. La sera, camminiamo lungo fiume, c'e' una passeggiata meravigliosa e circa a meta' inizia la festa: bancarelle di cibo, di birra e cose thai, buddiste o pagane. Le piu' belle sono degli enormi cilindri di carta di riso, aperti sotto che, grazie al piccolo fuoco acceso sotto, come le carte delle arance a Natale, si innalzano e volano per centinaia di metri nel cielo, illuminandolo. Non sappiamo che significato abbiano, ma quelli in alto si aggiungono al firmamento e con la luna piena l'effetto e' proprio scenografico. Poi ci sono, sul fiume, giganteschi fiori di loto illuminati galleggianti e una barca con le lucine a formare un dragone. L'unico neo e' che anche qui vengono sfruttati elefantini, portati in giro per avere i soldi dei turisti. Il giorno dopo vediamo la regata sul Mekong che chiude in qualche modo il festival: grandi imbarcazioni con piu' di venti vogatori con l'uniforme dai colori fluo si danno battaglia sul Mekong.
Visitiamo poi un parco (il Salakaewkoo), che ricorda per visionarieta' quello dei mostri di Bomarzo: qui ci sono statue di oltre 20 metri di altezza raffiguranti scene di vita del Buddha e idoli di varie religioni. Il tutto nello stile molto personale di un artista-santone fuggito dal Laos all'inizio della dittatura.
Gaia riesce anche a ricomprarsi le ciabattine rubatele al tempio!
A risentirci dal Laos, se va tutto bene.