domenica 19 luglio 2009

A nord del Krakatoa

Traghettino un po' da paura, aria condizionata a manetta, sospetto tentativo di furto delle bici e dalla Malesia sbarchiamo a Dumai, Sumatra. L'impatto e' di quelli duri. La tristemente nota haze (la densa cappa derivante dal taglia e brucia, dallo smog e dall'incendio dei rifiuti per le strade) indonesiana avvolge tutte le cose. Fa caldissimo appiccicosissimo.

Primi passi in Indonesia
Check-in e check-out tipo aereoporto. Solo che qui ci puntano un pistolone misura temperatura alla testa e sembra che possiamo passare...non sappiamo se vogliamo davvero! Gaia ha il suo tremendo mal di testa che arriva ogni tanto. Sul traghetto Indomal proiettano improbabili film cino-americani e video assurdi di cantanti neomelodici indonesiani; stessa musica alla Nino D'Angelo. Pazzesco, ma e' cosi'. Dopo 5 ore non vedi l'ora di sbarcare e lo shock termico e culturale e' immediato. La strada che esce dal porto in direzione della citta' e' enorme, ma sembra la Mostar-Sarajevo dopo il conflitto. C'e' polvere dappertutto, smog, rumore e moto che sembrano star scappando dall'ennesima eruzione. Arriviamo ad un hotel. Non esiste doccia, ma solo un vascone di acqua putrida con un mestolo per vuotarsela addosso. Il cesso e' davvero un cesso, ma tutti se la tirano, manco fossimo al Ritz...

Mangiamo in un posto defilato, costa "caro", ma probabilmente solo per noi...Le banche sono gia' chiuse e cambiamo da un gioielliere. Nessuno vende cartine di Sumatra.
Torniamo in albergo, dove Gaia si addormenta e russa. Ale si fa la doccia. Gaia si sveglia e vomita, dopo aver puntato l'orologio per l'indomani mattina (sono circa le 18). Continuera' per 5 volte, nonostante non abbia mangiato nulla. Vomitare in una turca non e' semplice, specie alla quinta volta! Naturalmente, non esiste lo sciacquone e per "tirare l'acqua" si usa il mestolo di cui sopra...anche questo non e' semplice se non si e' in formissima.

In sella!
Ci svegliamo prestissimo con il muezzin. Dopo la colazione, che decidiamo di continuare ad autogestirci per cercare di nutrirci in maniera adeguata almeno la mattina, ci immergiamo nel traffico gia' caotico con una visibilita' di 250 metri ca. L'aria e' irrespirabile, gli occhi bruciano. Siamo usciti da Dehli ed entrati a Jaipur in bici ed era meglio!

Ma dove va tutta questa gente? Il traffico ci assale ad ondate e non cessa nemmeno dopo molti kilometri dalla citta'. Il paesaggio e' inesistente: non ci sono case in nessuno stile, ma blocchi di cemento e lamiera, non ci sono alberi, ma solo qualche moncone bruciato. Auto, moto, camion, bus non danno tregua. L'unica regola sembra essere il piu' grosso passa, non prima di aver suonato.

Come B. Chatwin ci chiediamo: "Ma che ci faccio io qui?"
Unica nota interessante un serpentello nascosto in una buca della strada (quindi esistono davvero animali!) e i portapacchi delle moto in vimini e a bilanciere. Ne incontreremo anche di piu' raffinati, a bilanciere-baule di legno.

Arriviamo a Duri sfatti come se avessimo pedalato tutto il giorno e decidiamo di fermarci, anche se e' presto, perche' non sappiamo se ci sara' da dormire piu' oltre. Siamo neri di smog. Sumatra ci appare come il girone dantesco dove finiscono tutti quelli che usano troppo l'auto e l'aria condizionata: un inferno irrespirabile e bollente. Tutta questa zona ha abbandonato la produzione di caffe' quando e' stato scoperto il petrolio. Ora il simbolo della Chevron campeggia ovunque e si vede la pipeline per moltissimi km.

La stanza dell'hotel ha un lavandino, ma e' intasato di vomito e non e' quello di Gaia...pero' ha la colazione compresa...il misterioso lontong. Scopriremo che si tratta di una zuppetta di latte di cocco e spezie, salata, con verdure, patatine stile "ali di drago" cinesi e cubetti di bianco d'uovo sodo. Anche mr. Tuffy lo avanza...

Ci rimettiamo in marcia per arrivare a Pekanbaru, il traffico che si e' fermato solo poche ore, durante la notte, riprende piu' tremendo che mai. La strada e' poi una sorta di montagna russa del luna park e respirare sembra impossibile; in alcuni punti e' interrotta e ci sono delle donne che lo segnalano tenendo in mano dei cestini della pattumiera dove alcuni infilano dei soldi per il servizio reso. Iniziamo a chiederci se abbia senso pedalare a Sumatra. Il pane c'e', ma di rose nemmeno l'ombra...

A Pekanbaru, altra citta' infernale e gigantesca, riusciamo finalmente e recuperare una cartina di Sumatra in un mega centro commerciale che coesiste nel delirio di una citta' simil baraccopoli. La cartina e ' di quelle che andrebbero appese in classe, ma qui non molti bammbini vanno a scuola. Dormiamo pero' in una casa privata, in una zona residenziale relativamente tranquilla. Riusciamo a mangiare quel che vogliamo, un po' perche' abbiamo imparato qualche parola-chiave in lingua locale, un po' perche' qui qualcuno parla un po' di inglese.

Incontriamo un siciliano espatriato (viaggiatore amante dell'oriente) che ci dice che a lui l'Indonesia non e' piaciuta per niente, ma ci rassicura sul fatto che ad ovest c'e' molto meno traffico e il panorama e' diverso.
Decidiamo percio' di prendere un bus per Bukittingi, da dove riprenderemo a pedalare in direzione nord.

Con mezzi non propri
Arrivati alla stazione degli autobus (e similari!), contrattiamo il nostro trasporto con bici al seguito; il bus e' stranamente vuoto e infatti pochi kilometri dopo, dobbiamo scendere e salire su di un altro, gia' pieno, dove vogliono che paghiamo altri soldi per far salire le bici: non se ne parla! Forti dei molti viaggi fatti, insistiamo che abbiamo gia' pagato per le bici e quando sembra che le cose si stiano mettendo male, chiediamo con una certa fermezza di aver i soldi indietro: a questo punto ci imbarcano.

Il viaggio e' un'epopea di 250 km, ma 8 ore che vedra' tra i suoi protagonisti venditori di ogni genere di cibo, improbabili suonatori di chitarra e umanita' varia. Da segnalarsi in particolare una coppia di menestrelli in cui uno canta e suona, piuttosto male, mentre l'altro batte le mani ad minchiam. E' difficile non scoppiare a ridere.

Bukittingi e' per fortuna una bella cittadina a circa 1000 metri di altitudine, pulita e con qualcosa da offrire a noi turisti. Molti la usano come base per la scalata del li' vicino vulcano Merapi.
Finalmente, cessato il rumore e dissoltasi la cappa di smog, possiamo apprezzare il panorama e i venditori di cibo di strada, ognuno contraddistinto da un suono diverso per ogni diversa specialita'.

Facciamo una passeggiata che, passando il canyon li' vicino e la jungla, ci porta ad un bel villaggio con le tipiche case locali col tetto a forma di corna di bufalo in mezzo alle risaie: finalmente si respira! Qui c'e' anche uno dei mercati piu' belli mai visti, dove acquistiamo il preziosissimo yogurt di bufala, venduto in recipienti ricavati da canne di bambu' tagliate. Molte delle case sono nello stile tipico di qui e la pattumiera non e' ovunque. Anche le fogne a cielo aperto sono piu' discrete.

Da qui pedaliamo alla volta del lago (danau) Maninjau che occupa il cratere di un vulcano spento. La strada per arrivarci e' impegnativa, ma bella, nella foresta, dove ci sono anche molte scimmie e ben 44 tornanti (tutti segnalati e numerati) per ridiscendere al livello del lago.
Dormiamo in un piccolo hotel super basic, ma con una straordinaria terrazza comune sul lago e le circostanti montagne: stupendo. Qui i villaggi si susseguono e sembrano dediti alla pescicoltura oltre che alla risicoltura. Il posto merita anche per la sua tranquillita'. Vediamo degli strani uccellini con il cappuccio bianco tipo aquila americana.
Bambini e adulti sono impegnati a far volare dei bellissimi aquiloni fatti da loro. Ci dicono che dopo il raccolto, quando c'e' vento, lo fanno "just for fun".

Simpang Empat, Rau, Panyabuang, Padang Sidempuan
Da qui, pedaliamo per strade e sostiamo in luoghi che non ci dicono molto, ad eccezione della bella foresta vicino a Panti, dove pero' non scorgiamo alcuna forma di vita se non alcuni scoiattoli. E dire che Sumatra e' casa oltre che dell'omonima tigre, anche del recentemente fotografato rinoceronte nano!

Salite e discese ugualmente impegnative si susseguono e in alcuni tratti il traffico riprende, mentre in altri la strada e' un gruviera che non ci consente quasi di rispondere al profluvio di saluti che ci giungono da ogni angolo delle strade e della foresta.
In alcuni momenti e' persino imbarazzante, nenache fossimo il pontefice sulla papamobile che attraversa il Vaticano, o un gruppo pop. Ci dicono, senza badare al nostro sesso, indistintamente: "Hello Mister" (con l'accento grave, come fosse un mistero francese...) o "Hello Miss". Alcuni si limitano a richiami piu' o meno gutturali. Tutti vogliono un saluto. Noi predilegiamo i bambini e quelli con il machete...

Veniamo anche fotografati con il cellulare da alcuni. In un villaggio, dove siamo fermi per il pranzo, chiamano l'insegnante di inglese che arriva trafelata ad intrattenerci.
Lungo una strada di montagna, sembrano essersi passati parola e ci sono gruppetti appostati per il saluto o la foto d'occasione. Alcuni in moto si accodano e quando li "sgami", sorridono ingenuamente.

Quando alcuni ci chiedono da dove veniamo, alla risposta "Italia" non sanno cosa dire perche' non la conoscono nemmeno.
Ma ora sappiamo cosa potremo rispondere: veniamo dal Paese dove un comico forse diventera' segretario di partito!! Forza l'Italia!

La nostra destinazione e' ora il lago Toba, un altro lago vulcanico, quindi cercheremo di fare trekking per vedere gli orang utan, prima di rientrare in Malesia, che in questo momento ci manca tanto!

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