domenica 2 agosto 2009

Orang utan, orang, barat e francesi!

Siamo di nuovo in piattaforma continentale euroasiatica. Sono successe un po' di cose. Un po' belle, un po' no. Ma Georgetown e' ancora piu' meravigliosa dell'ultima volta che l'abbiamo vista, 7 anni fa. Una societa' in declino o in avanzamento, la si vede anche da come gestisce i suoi piani urbanistici, la sua ricchezza; beh, qui decisamente, sono avanzati molto piu' che a Milano! Tentiamo di scrollarci di dosso un po' di squallore milanese per continuare a raccontare.

Finalmente, anche le rose!
Lasciamo Padang Sidempuan alla volta di Tarutung, solo un'altra tappa nel percorso di avvicinamento al lago Toba. La strada e' di quelle ipermontuose, e sara' cosi' ancora per molti giorni. L'asfalto e' per lunghi tratti inesistente; alcune buche sono profonde meta' ruota e interamente piene d'acqua. Passiamo dei villaggetti che occupano quel che resta della strada con teloni lunghi metri per stendere ad asciugare le derrate agricole piu' disparate. Finalmente, pero', una citta' degna di questo nome con un fiume che la taglia a meta', un piano urbano minimo, non troppo traffico. E' zeppa di sartorie. Le cuoche del sottostante ristorantino del tipico "hotellaccio" dove alloggiamo, sembrano bambine e ci spiano e salutano dalla porta della cucina. Anche la sera, qualcuno cerca un saluto dalla finestra: "Hello, Miss" (chissa' se e' diretto a Gaia o ad Ale!). Tutti sono, come sempre, gentilissimi.
Il giorno dopo, proseguiamo, sempre in salita, per Dolok Sanggul e lungo il percorso ci salutano persino i bambini che, essendo domenica, si stanno lavando nei vari corsi d'acqua e sono completamente nudi, ma lo stesso fanno capolino festosi escalmando "Horas!" (il saluto locale) o altre parole di saluto, tipo: "Ajo' ", che non e' un richiamo sprezzante, ma un'altra parole di benvenuto. E' interessante vedere come i fiumi si riempiano di persone che si lavano e lavano ogni genere di cose nello stesso posto, all'indiana, dalla biancheria al motorino, nei giorni di festa.

Religo.
In questa zona, oltre alle moschee, che si fanno piu' rade, spuntano tantissime chiese cristiane soprattutto protestanti. Anche se l'Indonesia e' il Paese al mondo con piu' fedeli musulmani, qui la minoranza cristiana si fa maggioranza: come i partigiani, qui i cristiani sono proliferati in montagna! Sara' un caso, ma qui e' l'unica zona dove qualcuno ci domanda dei soldi (la tipica brutta abitudine indotta da certa Chiesa...). Ripensando alle missioni del centro Australia e alla dipendenza indotta proprio dalla presenza cristiana, viene automatico fare delle analogie.
La particolarita' dell'Islam di Sumatra e' data dal richiamo del muezzin che qui, prima della vera e propria chiamata alla preghiera, intona lunghe melodie in lingua locale e dal fatto che i rapporti uomo-donna sono molto piu' paritari. Nella parte orientale della Malesia, invece, addirittura le panchine sono divise per sesso e nessuno si sogna di sedersi in bus vicino a qualcuno dell'altro sesso che non sia suo parente naturale o acquisito. Qui, poi, molte donne hanno il velo, ma molte altre no.

Orang
A Dolok Sanggul incontriamo due businessmen di Jakarta che ci chiedono preoccupati se abbiamo paura o pensiamo di andare via dall'Indonesia a causa delle bombe che hanno fatto saltare il mega hotel di lusso.
A cena, un avventore locale, che parla un po' di inglese, si preoccupa di farci da interprete, verificando che il cibo sia di nostro gradimento e ricordandoci che possiamo averne dell'altro se quello che abbiamo non ci basta!
In un negozio, dove acquistiamo una delle due birre Bintang che beviamo a Sumatra, un altro avventore English speaking scambia due chiacchiere con noi e ci dice che il business locale e' legato all'ingrediente delle sigarette che qui producono che viene anche usato in Thailandia per pregare; chissa' di cosa si tratta...questo spiega la presenza di cosi' tante persone in posto altrimenti dimenticato da dio...
Da qui, ci aspetta l'ennesima salita prima di un'impegnativa e pericolosa discesa di 22 km che ci porta al lago Toba, sulla penisola/isola di Samosir. La discesa ha una pendenza per alcuni tratti improponibile e presenta lunghi tratti non asfaltati, costringendoci a scendere dalla bici per evitare cadute e rotture dei cerchioni (Ale ne ha due nuovi, ora!).
Ma la prudenza si limita all'uso della bici: Gaia infatti scende dal mezzo per fare una foto al cratere sottostante (scendiamo dal rim di un antico vulcano verso il suo centro, il lago appunto) e scivola da un masso coperto di ghiaietta sbucciandosi il gomito e battendo anca e macchina fotografica! Lo spavento e' maggiore dei danni, per fortuna.
Dopo tanta fatica e sangue, a Pangururan (il primo paesino, dove pranziamo) ci aspetta, incredibile a dirsi, della mozzarella locale di bufala! una delle piu' buone mai mangiate! roba da indigestione o tbc bovina (pero' per fortuna non ce n'e' a sufficienza...)! Non la ritroveremo da nessuna altra parte, pare che piaccia solo ai locals...
Scopriamo che il meraviglioso Danau Toba e' cio' che resta di un'eruzione esplosiva di 100.000 anni fa, la piu' imponente che si conosca; Pulao Samosir e' invece cio' che rimane di un'ulteriore eruzione di 30.000 anni fa. Il lago e' il piu' grande del sud est asiatico e uno dei piu' alti al mondo (e' a ca. 1000 msl).
Questo posto ci riconciglia definitivamente con Sumatra per tranquillita' e bellezza. Mangiamo anche meravigliosamente al Caffe' Juwita (gado-gado e curry di jackfruit, curry di patate dolci, cap cay, tra i piatti locali che ci rimarranno nel cuore), dove la signora Edi (che tiene anche lezioni di cucina) ci intrattiene piacevolmente nel dopo cena, raccontandoci di lei e soddisfando alcune nostre curiosita'. Qui, ad es. in molti sanno qualche parole di italiano perche' fino agli anni novanta era pieno di turisti anche italiani che evidentemente hanno costretto i locali ad imparare la loro lingua, oltre che a fare la pizza (alcuni ristorantini la propongono). La vendita di benzina per le strade e' legale ed e' un servizio legato alla presenza di pochi distributori ufficiali. Il prezzo e' percio' maggiorato anziche' scontato come pensavamo.
In questa zona ci sono anche finalmente dei resti storici visitabili, cioe' antiche case Batak (la popolazione locale) in legno, tombe dei relativi re e un luogo sacro dove si prendevano decisioni importanti soprattutto in materia di giustizia. C'e' anche il posto dove avvenivano le esecuzioni capitali. Tutto e' fatto di pietra. Molti dei piccoli villaggi lungo lago sono nello stile tipico.
In tutta la zona Batak, ivi compresi gli altipiani, veniamo salutati con l'appellativo di barat che, ci dicono in seguito, si traduce come straniero che viene da occidente e ha la pelle chiara. Per estensione, turista.

Dormire a Bethseda
Lasciato il lago in traghetto (diquellichedicibellopero'nonvorrestimaichefosseinmareperche' affonderebbedisicuroequialmenopuoiarrrvareallarivaenoncisonoglisquali!), ci attende nuovamente la salita che ci riporta in quota sulla sponda opposta. Tra le montagne incontriamo anche dei ragazzi in motorino con due fucili a tracolla. Rispondiamo prontamente al loro saluto con il sorriso delle migliori occasioni, cerchiamo di non pensare alla frase buttata li' da uno di loro ("I'm looking at you"...) e alla domanda "dove state andando" Ale risponde "verso nord' indicando un punto vago in direzione del sole.
La strada e' molto impegnativa, sempre in salita, ma la fatica e' finalmente ripagata dal paesaggio rigoglioso e dagli splendidi scorci sul lago che possiamo vedere per km e km. Decidiamo di fermarci in un posto chiamato Bethseda, non segnalato da alcuna cartina solo perche' siamo sfatti e vediamo un'insegna: "Guesthouse +/- 100 mt." La ricerca ci portera' al locale ospedale dove i sanitari, dopo una lunga attesa e la domanda ripetuta sulla durata del nostro soggiorno, ci conducono in una stanza decente, messa probabilmente a disposizione dei parenti dei pazienti (per fortuna e' sabato e non c'e' nessuno).
Mangiamo nell'unica rumah makan degna di questo nome, dove la proprietaria decide che dobbiamo assaggiare un succo fatto, lo scopriamo poi, di rapa e custard apple locale: delizioso!!! Ha una bimba celebrolesa ed e' qui, infatti, che lasciamo l'unica mancia di tutto il viaggio.

Francesi
Arriviamo a Berastagi, un'amena localita' (montana bien sure) per fare trekking sul locale vulcano, il Sibayak.
Anche questo paese e' molto bello, vale per panorama, aria buona e frutta: Berastagi e' infatti al centro di cio' che viene definito il granaio di Sumatra e vi si trova ogni tipo di frutta e verdura. La sera, oltre ai ristoranti, ci sono decine di bancarelle estemporanee di cibo che proviamo ripetutamente perche' offrono specialita' differenti, ivi compreso un dolcetto al cocco fatto cuocere al vapore dentro pezzetti di canna di bambu' (putu' bambu).
Il trekking sul vulcano e' impegnativo, ma stupendo: si passa tra la jungla fitta prima, per poi salire e proseguire tra le fumarole, camminare sulla crosta della caldera e ridiscendere per un erto sentiero che riprecipita nella foresta.
Alla base del vulcano, finito il trekking, ci si puo' poi rilassare nelle splendide pozze di acqua termale calda. Per tornare in citta' facciamo l'autostop e ci carica un camion vuoto. Viaggiamo gratis nel suo rimorchio godendoci la strada senza pedalare, dall'alto!.
Ma facciamo un passo indietro.
A Cairns avevamo incontrato l'ennesimo francese strano di quest'annata di viaggio, un ragazzo che parla come il romano incaricato di seguire Asterix nel film "Le sette fatiche di Asterix". Scambia nella cucina dell'ostello le seguenti battute con una ragazza cinese:
fr. "Ho mangiato cibo cinese una volta era tremendamente piccante" Cinese "No, il cibo cinese, assolutamente non e' piccante!"
fr. spalancando gli occhi e inarcando il sopracciglio "Allora, ho sbagliato Paese!"
Un tedesco li' vicino allora interviene dicendogli: "Perche' sei stato in Cina?"
fr. "No, solo a Hong Kong"...
A Bukkitingi abbiamo incontrato Benoit, un francese in viaggio per l'Indonesia che, viste le nostre bici, ha iniziato a raccontarci di quando ha viaggiato in bicicletta in Sud America sulle Ande raggiungendo altitudini, ci tiene a sottolinearlo, ben al di sopra del Monte Bianco, per poi chiederci noi fino a che altezza avevamo pedalato e commentando i nostri 2.000 metri con un "sono molto deluso". Ci dice di avere un blog dei suoi viaggi e, quando gli diciamo di aver incontrato una coppia di cicloturisti polacchi che pero' non parlavano inglese, lui stupito ci dice: "Perche' non parlate polacco? Io si'!" tutto in francese!
A Berastagi, infine, ci aggancia nostro malgrado un ragazzo francese logorroico che ci da consigli non richiesti su scalata del vulcano e trasporto locale e ci suggerisce di non mangiare nell'hotel perche' non e' buono. Ce ne liberiamo a fatica anche la sera quando tenta di autoinvitarsi a giocare a carte con noi. Lo vediamo per due giorni di seguito mangiare il cibo dell'hotel mattina, mezzogiorno e sera! Nonostante ripetiamo piu' volte che viaggiamo in bici e siamo davanti alle bici quando lo diciamo, continuera' a chiederci se usiamo bus o taxi per spostarci! Sul cratere del vulcano, una famiglia francese visibilmente disorientata ci chiede indicazioni in un inglese stentato, non sembra crederci e poi ci pedina quando prendiamo il sentiero per discendere. Non li vedremo mai arrivare alla base della montagna...se non avevamo preconcetti, ora scappiamo a gambe levate non appena udiamo l'idioma transalpino!

Orang utan
Lasciamo Berastagi per l'ultima tappa a lungo desiderata: Bukit Lawang e il suo santuario degli oranghi, il Taman National Gunung Leuser. Il villaggio si e' appena ripreso da una tremenda alluvione nel 2003 essendo posto alla confluenza di tre fiumi che spesso straripano. Ma come ha detto una guida, "No rain, no rainforest"...
Per andare da una parte all'altra della sponda del fiume ci sono solo tre ponti sospesi mobili pedonali estremamente... mobili! Per recarsi al parco nazionale, invece, si passa il fiume in canoa. Decidiamo di fare un trekking di un giorno nella foresta dove vediamo, con l'ausilio di una guida, un'oranga incinta: e' un momento davvero emozionante e lei e' piu' umana di molti umani che conosciamo. Orang utan significa infatti "persone della foresta" e va ricordato che questi primati condividono con noi il 97% del patrimonio genetico. La loro pelliccia, cosi' arancione da vicino, nel folto della foresta si mimetizza incredibilmente con i colori che la circondano. Gli oranghi di qui sono piu' piccoli di quelli del Borneo e vivono solo sugli alberi a causa della presenza di numerosi predatori, tra cui la famosa tigre di Sumatra, in via di estinzione anche lei.
Ci guardiamo a lungo e lei si gratta la testa e pare pensosa come tante altre mamme in attesa.

Si ritorna
Da Berastagi, raggiungiamo poi Medan dopo un'altra faticosa tappa che dai 1400 metri ci porta quasi al livello del mare, tra la jungla e la selva di camion ed autobus che corrono all'impazzata per ottimizzare i tempi. Pedaliamo pochissimo, ma le nostre mani soffrono per il continuo frenare e il cuore per la paura costante di essere stirati da tergo o da davanti!
A Medan purtroppo scopriamo che dobbiamo prendere il traghetto il giorno dopo o attendere 4 giorni, che ci paiono davvero troppi, per il successivo, anche se questa citta' e' la meno brutta tra quelle grandi viste.
Sabato ci imbarchiamo in un viaggio della speranza, su un "traghetto veloce" che ci pare piu' una carretta e che sopporta il mare mosso dello stretto di Melacca per ben 6 ore. E noi con lei! All'arrivo non si attracca: i marinai tengono la barca vicina al molo e c'e' solo una passerella ancora una volta estremamente mobile per toccare la terraferma.
Di Sumatra ci manchera' soprattutto l'incredibile benvenuto ricevuto dalle persone ovunque siamo stati.
E, insomma, eccoci a Penang, Malesia.

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