giovedì 29 ottobre 2009

En suivant le Mekhong

Come gia' anticipato, prendiamo un bus da Luang Prabang per fare ritorno a Vientiane (giusta traslitterazione: Vieng Chan). Da li', riprendiamo a pedalare, ora in direzione sud, con a destra il Mekong e, al di la' del fiume, la Thailandia, mentre a sinistra la catena dei monti Annamiti e il Vietnam, vicinissimo, a un giorno di bici. Ora siamo fermi a Savannakhet a causa di un "guasto tecnico" legato al trasferimento in sawngthaew...
Immaginateci, ora, voltare le spalle al nord, allo splendore di L. P. e delle sue montagne. Immaginateci lasciare Vientiane in bici e prendere la R13. Immaginate di pedalare lungo il Mekong. Immaginate mr. Tuffy pedalare senza sellino!

Incidenti
Appuriamo in questi mesi di sud est asiatico che i galli sono stupidi quanto le galline, anche se solo queste sono il termine di paragone per il detto. I galli, infatti, ne' piu' ne' meno delle galline e di vario pollame, si tuffano tra i raggi di bici e moto e sotto le ruote delle auto invece che scappare o semplicemente stare fermi dove sono. E lo fanno cosi', inaspettatamente.
La strada tra L.P. e la capitale, a ritroso, non e' faticosa (in bus), ma solo lunga e pericolosa. Partiamo alle 7 e arriviamo alle 18. All'alba, uscendo con le nostre bici dall'hotel, vediamo decine di monaci in fila per la questua rituale. Uno spettacolo che attrae numerosi turisti da tutto il mondo. Dopo le prime salite, vediamo un camion precipitato da un tornante piu' sopra e volato, letteralmente, su un motorino, speriamo vuoto; il camion cisterna, e' completamente appiattito e deformato per l'impatto.
L'umore di tutti i passeggeri migliora solo grazie a una "squadra di prevenzione" che sale poco dopo per reclamizzare l'uso dei preservativi, con battute e canti. I passeggeri gradiscono, ridendo e tenendo il ritmo con le mani. Il team leader e' un anziano signore molto grintoso. Peccato non capire. La marca e' la Number 1, un preservativo distribuito da una ONG e dunque senza scopo di lucro. Meglio che cercare di rifilare padelle...
Poco dopo che il gruppo e' sceso, lasciando uno strascico di risate, un pick up lanciato a tutta velocita' su per la salita, in curva, perde aderenza e ci viene a sbattere contro, proprio a meta' del bus. Tanto spavento, pick up distrutto, ma nessun ferito. Aspetteremo pero' due ore, in curva, con il solito ramo a segnalare la presenza di veicoli fermi, che arrivino due poliziotti, in motorino, a prendere le misure e a stendere il verbale. Durante l'attesa, come tutti gli altri passeggeri, anche Ale sale e scende piu' volte dal bus e regolarmente va a sbattere contro lo specchietto retrovisore. La sera si contano quattro bernoccoli di cui uno con sangue: che gallo, Ale!
Arriviamo a Vientiane al tramonto e raggiungiamo l'hotel al buio.

Capperi!
Vi avvisiamo: in questo paragrafo parleremo di capperi di altre cose di cui forse non vorreste sentir parlare.
La capitale e' meglio di come ci era sembrata, ha molto da offrire, senza essere troppo caotica e vi si trovano prodotti (yogurt e marmellate favolose) introvabili nel resto del Laos grazie ai progetti del comercio equo-solidale. Un progetto e' in cantiere per rifare finalmente il lungo fiume, mentre fervono altrove i preparativi per abbellire la citta' in vista degli imminenti giochi del sud est asiatico (SEA games).
Noi come moltissimi altri, ci ritroviamo in coda al consolato thai per riottenere un nuovo visto. Siamo il numero 419 quando lo sportello segnala il numero 60: tiriamo fuori i dadi! L'attesa e ' meno lunga di quanto temessimo, ma il giorno dopo aspetteremo ancora per ritirare i passaporti vistati.
Anche da qui, decidiamo di spedire un pacco a casa. Gaia entra percio' nell'enorme edificio delle poste centrali dove viene accolta da uno selva di impiegati. Il posto e' un misto tra i nostri uffici statali negli anni '70, quelli francesi e i sovietici. Soprattutto, c'e' del sud est asiatico: un'impiegata allo sportello, gomito appoggiato al bancone, tiene fisso l'indice destro nella narice destra, a ravanare. Gaia la fissa affascinata, ma lei non recede dalla ricerca! Avere le informazioni e' un po' come essere nella casa della burocrazia de "Le 7 fatiche di Asterix". Qui non esistono i fazzoletti e per strada tutti sembrano dei calciatori durante la partita...
A proposito di frutti del nostro corpo (come canta Elio)... ammettiamolo: il ciclo mestruale ci fa compagnia, quando non da' troppi problemi, ci ricorda che il corpo ha un ritmo che e' quello della natura e che come tale va rispettato. Pero', capperi (!), Gaia sperava di essersi liberata degli assorbenti degli ani '80 che solo nella pubblicita' ti consentivano di volare e lanciarti dall'aereo, ma che in realta' ti andavano in mezzo alle chiappe e si staccavano costantemente dagli slip: beh, qui quei maledetti ci sono ancora. Qui, i bimbi non usano quasi i pannolini e le donne possono acquistarli in confezioni da 4 (?!?), che li fanno sembrare dei prodotti di lusso, ma che in realta' contengono dei superati assorbenti degli anni '80...

SEA 2009
Lasciamo Vieng Chan, imboccando l'avenue des baguettes ovvero uno stuolo di venditori di strada che occupano i primi km di R13 per vendere il mitico pane francese. In centro fatichi a trovarle e costano il doppio. Perche' siano tutti qui, e' per noi un mistero... la R13 riserva pero' altre sorprese: e' infatti per lunghisimi tratti in fase di rifacimento (in previsione dei giochi) cosi' ci toccano polvere, pietre, sterrato e buche. Quando finalmente usciamo dall'incubo, uno strano rumore accompagna la pedalata di Gaia; pensiamo si tratti del cappello di paglia che ha trovato per terra e che siccomee'ildestinochel'hamessosullasua strada, Gaia raccoglie e attacca alle borse. Invece bang! esplode il copertone. Giusto il giorno prima Ale si era rifiutato di acquistarne uno nuovo, profetizzando che avrebbe retto per altri 500 km...che gallo, Ale! Ne abbiamo pero' di scorta.
Sulla strada visitiamo il wat Phabat Phansane con uno stupa decorato con tantisimi animali, davvero originale e nel wat la sacra improntona (piu' di un metro) del Buddha! Se Ale fatica a trovare il suo 44... capiamo perche' Lui andasse a piedi nudi!
A pranzo, ci tocca una delle zuppe piu' stomachevoli di questo lungo viaggio; nonostante, come al solito, chiediamo una zuppa senza muu (maiale), onnipresente, ci arriva uno zuppone coperto di frataglie che fanno inorridire pure mr Tuffy, mentre Gaia rispedisce la sua al mittente chiedendo di asportare il materiale organico. Ale mangia a testa bassa, scartando pero' la busecca... il colore della zuppa e' rosso sangue di bue. Al mercato vicino vediamo prendere le tartarughe vive con le pinze e metterle in un pentolone...
Gaia ribattezza tutto cio' che abbia forma vagamente sferica, dal contenuto poco chiaro e che occhieggia da una bancarella o dal piatto di Tuffy: "palla di pelo del Mekong".
Dormiamo a Thabok e quindi a Paksane, dove il mercato e' pieno di prodotti thai e c'e' un internet point (l'unico) in un garage su palafitta, scricchiolante, traballante, polveroso e pieno di ragnatele; il software e' cinese e i pc miracolosamente funzionano.
Da Paksane raggiungiamo Namthone, un paese un po' "pulcioso", cosi' come la guesthouse dove dormiamo, sebbene di pulci, fortunatamente, non ce ne siano.
La strada e' monotona fino alla confluenza del Nam Kading con il Mekong. Il punto e' meraviglioso, sia per il paesaggio a monte che per lo strano contrasto tra le acque limacciose del Mekong e quelle limpide del Kading. L'effetto ottico e' quello di un fiume che sbatte sulla spiaggia. Qui la strada segue il Kading per qualche km e la zona protetta che lo circonda dove c'e' infatti anche la sede della World Conservation Society. Una meraviglia. Questa zona e' quella dove c'e' la maggior concentrazione di animali selvatici anche in via di estinzione del sud est asiatico. A differenza delle montagne del nord, dove c'e' un silenzio assordante causato dalla fame che ha fatto si' che tutti gli animali, anche i piu' rari, finissero nelle pentole dei poveri paesani, qui ancora se ne possono trovare, mentre gli uccelli volano nel cielo senza timore di essere abbattuti: non ci sentiamo piu' soli (la mattina dopo Gaia ritrovera' dopo tanto tempo una ranocchietta nella sua scarpa!). Le farfalle, invece, sono una costante, sono l'unico essere che evidentemente e' stato risparmiato dai morsi della fame e ne siamo sempre circondati dal nostro ingresso in Laos. Sono di tutte le forme, dimensioni e colori, come i pappagallini in Australia. Un mondo in cui ci sono farfalle, pappagalli e il canto del kukaburra e' un mondo in cui certamente si sta meglio.
In mezzo a questa natura ancora non distrutta dalle dighe (c'e' di mezzo anche l'italiana CMC di Ravenna) in progetto qui in Laos, il sellino di Ale si rompe. Viene riparato come possibile, giusto per non fare la fine del ragionier Fantozzi...
E' un tripudio di nascite, adesso, il Laos: bufalini, caprettini, vitellini, gattini, cagnolini, esserini umani. E' finita la stagione delle pioggie e il ritmo della natura da spazio alla nuova vita. Tutte le mamme, umane e non, allattano i propri cuccioli.
Lasciamo la pianura, per salire ancora una volta le montagne, per l'ennesima deviazione, questa volta sulla R8 che ci porta a Na Hin ad 80 km ca. dal Vietnam. La strada e' spettacolare, sembra di entrare in un quadro di Turner, non tanto per il soggetto rappresentato, quanto per la relazione tra essere umano e natura, in cui il primo ridiviene parte di quella natura della quale fa parte di per se', ma dalla quale e' tanto spesso alieno. Qui e' lei a farla da padrone e ci sente ominidi insignificanti.
Raggiunto il punto piu' alto, uno spledido belvedere ci consente di riposare ammirando la vallata e i pinnacoli di roccia calcarea che, affilatissimi e dalle forme piu' strane, somigliano a dei gargoyles. Il paese di Na Hin ci serve come base per andare alla scoperta della famosa grotta di Kong Lor. La strada per raggiungerla attraversa una vallata coltivata circondata da una catena montuosa posta ad anfiteatro. Il posto e' di quelli che meritano il viaggio, un luogo raro al mondo dove su una piroga si attraversa un fiume sotterraneo per 7 km sotto un'enorme galleria naturale, tra stalagmiti e stalattiti, che raggiunge in alcuni punti i 100 metri di larghezza. Occorre guadare a piedi nei punti dove piccole rapide impediscono alla piroga di andare contro corrrente. Dall'altra parte, un'ansa del fiume crea un piccolo lago verde in mezzo alla fitta vegetazione.
Purtroppo, condiviamo quest'esperienza unica con un inglese reduce da Vang Vieng, con tanto di abrasioni e occhio pesto per essersi tuffato ubriaco nel fiume. Parla in maniera sconclusionata e sembra soto l'effetto di qualche sostanza. Gaia che non tollera i trentenni adolescenti, alla sua domanda se ci siano animali pericolosi li dentro (precisa: coccodrilli, squali...) risponde: "Si, tu!". Ale fa il bagno nel tratto di fiume antistante l'ingresso della grotta. Veniamo anche invitati a bere da una comitiva di laotiani di ritorno dal lavoro nei campi.
Il mattino successivo, la tappa termina alle 7.35, quando ad Ale nel tentativo di sistemare il sellino rotto resta in mano la vite di accciaio di 5 mm di diametro che fissa la sella al tubo.
Decidiamo percio' di prendere un sawngthaew (una sorta di Ape Piaggio formato gigante con due panche, per il trasporto di persone e cose per tratti medio-brevi) alla volta di Thakhek. Ale, infatti, non puo' far altro che stare in piedi sui pedali, come i veri grimpeurs...
Qui troviamo una vite e un sellino semi usato e leggermente meglio di quelli da Graziella che ci sono in giro. Cosi' possiamo continuare a pedalare, Ale con un po' piu' di problemi al fondoschiena!
Del viaggio in sawngthaew diremo che: c'e' posto per tutto e tutti, o quasi; vengono imbarcate, oltre alle nostre bici, vari tipi di derrate, dal riso al carbone; alcuni viaggiano attaccati fuori, altri masticano noci di betel, sputando poi la saliva rossa in un sacchetto trasparente, proprio davanti a noi. Questo, come le bottiglie di plastica, viene poi lanciato fuori dal mezzo, come gia' a Sumatra. Ci si libera la vescica, quando ci sono fermate con passeggeri lenti. Viene rifiutata una malata causa mancanza di posto adeguato. Due masochiste/contorsioniste fanno il viaggio nell'esiguo spazio dietro il posto guida, con le gambe in bocca.

Sabadi'!
In questa zona, il centro del Laos, per qualunque genere di consumo, l'economia sembra dipendere dall'importazione dalla Thailandia. Grandi camion attraversano il Laos, si dirigono in Cina o in Vietnam e viceversa, trasportando e scaricando lungo la strada ogni genere di prodotto. Degli yogurt, delle marmellate e del caffe' equosolidale laotiano trovati a L.P. e Vientiane non c'e' piu' traccia. Le strade peggiorano notevolmente e ricordano a tratti grattugie. Nella zona di Thakhek, seguiamo la R12 che si snoda tra le falesie, come la R8, per deviare poi su un lungo sterrato che ci conduce alla grotta Tham Pha Ba (anche se sui cartelli stradali il nome sembra essere scritto in alfabeto farfallino...), recentemente scoperta da un cacciatore di pipistrelli e contenente 229 statuette di bronzo del Buddha di tutte le dimensioni dei primi secoli d.C. Passiamo vicino a varie pozze dove fare il bagno, ma in una di queste sguazzano tre serpentelli, facendoci cambiare idea.
La citta' e' disseminata dalle vestigia coloniali della dominazione francese, alcune in rovina, altre ben ristrutturate. Una di queste e' uno splendido hotel-resto' dove non dormiamo, ma Ale mangia il calamaro gigante del Mekong e Gaia un curry giallo (qui sono anche rossi e verdi) a base di cocco e, finalmente, la mitica insalata di papaya verde, che non osiamo mangiare dai venditori di strada in quanto cruda. Buonissimi!
Nella tappa sucessiva, copriamo i facili 132 km che ci separano da Savannakhet, pianura a grattugia, a parte il tratto finale super liscio, dove raggiungiamo velocita' insperate superando piu' volte (a piu' di 40 km/h) i nostri amati trattorini a trasmissione lunga, i dok dok.
Lungo la strada, faciamo sosta da un venditore di pomeli, la cui attivita' principale e pero' quella di saldatore/pulitore di argento, che non disdegna nemmeno i piccoli lavori di sartoria e che ci parla in inglese: altro che i nostri manager multitasking!
Savannakhet ci delude un po', ma anche qui ci sono splendidi edifici ex coloniali, case cinesi tipo shophouse e qualche edificio art deco'. Ci appare un po' spenta e spettrale e la sera ci sono pochissime luci e fatichiamo a trovare un ristorante aperto. Ma una zuppa qui non te la nega nessuno: molte case si aprono sulla via e vendono le semplici zuppe che caratterizzano la cucina laotiana. Il mercato centrale pullula invece di vita e di prodotti, sempre pero' thai (qui c'e il secondo Ponte dell'Amicizia...). Nonostante la citta' non invogli a restare, la gola di Ale infiammata a causa della "gita" in Ape Piaggio, ci obbliga a sostare piu' di quanto vogliamo a sopportare il raffredorone del Tuffy.
Nelle vicinanze c'e' l'antico stupa That Inhang, un'interessante commistione indo-buddhista di stile khmer-laotiano, in un piacevole contesto bucolico.

Struttura e sovrastruttura
Un ultimo omaggio va fatto alle donne di qui, ma soprattutto a quelle del mercato di L.P. che, instancabili, preparano e spreparano le bancarelle, piegano e ripiegano tutti i prodotti, attendono pazientemente i clienti che non arrivano, a volte, mai per poche ore, nel frattempo allattando piccoli o preparando altri manufatti da vendere; donne che a volte sono piccole donne che, anziche' giocare a fare come se io ero la commessa, la venditrice la fanno davvero anche se hanno 8/9 anni, magari col fratellino sulla schiena; quelle stesse bimbe che gia' in montagna portano gerle colme di legna sulle spalle, ma che lo stesso hanno la voglia di sorridere e salutare i falang in bicicletta urlando il loro: "Sabadi!". Donne anziane che ne hanno viste tante, anche loro costrette a continuare a lavorare anziche' godersi il meritato riposo della vecchiaia, costrette a stare in un mercato a vendere prodotti senza nemmeno saper dire quanto costano in una lingua che non e' la loro, ma quella del commercio che le dovrebbe sostentare. Vecchine che gli compreresti tutto, per i bei visi che hanno, vecchine anche loro, spesso, con i nuovi nati sulle spalle...

Da qualche tempo a questa parte, quando la fatica si fa sentire di piu', Gaia ha un sogno ad occhi aperti che coniuga il desiderio di un letto comodo a quello di un riposo prolungato: il sogno e' quello, molto borghese e contingente, di poter proseguire il viaggio, novella Ali' Baba', su di un ... materasso volante. Un mezzo ad impatto zero e che al contempo consenta una visione a volo d'uccello, lenta e il piu' naturale possibile... Gaia si immagina sdraiata su un fianco come il Buddha, con una mano a sostenere il capo e lo sguardo un po' ebete. Sara' forse che l'eta' avanza e che ha avvistato su una tempia il primo (di cui lei sia a conoscenza) capello bianco?
Ale, che di capelli bianchi ne ha tanti e da tanto tempo, da qualche tempo fa i sogni (veri!) a macchie. Lasciando stare quelle famose di Rorschach, i soggetti dei sogni piu' che la forma reale ne conservano la sagoma e i colori... eppure non stiamo assumendo nessun farmaco!

Domani da qui dovremo poter partire per tentare di raggiungere il sud del Laos e il nuovo obiettivo-chimera: i mitici delfini dell'Irrawedi...

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